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Il Ruolo del Padre secondo Laura Gutman

Secondo la psicoterapeuta argentina il padre ha due ruoli: quello di sostenere e quello di separare.

Nel suo libro Maternità tra estasi ed inquietudine, la scrittrice Laura Gutman dedica un intero capitolo alla figura del padre. Secondo lei la funzione paterna è fondamentale in due precisi momenti: il primo, tra la nascita e i due anni, coincide con il sostegno attribuito alla diade mamma-bambino e  il secondo, dopo i due anni, che invece si riferisce alla separazione, che corrisponde alla strutturazione del proprio “io” da parte del bambino, insieme al distacco emozionale della mamma. Sempre secondo la Gutman sostenere la maternità significa che l’uomo deve:

  • proteggere la mamma e facilitare la sua fusione con il neonato - perciò darle la possibilità di delegare tutte quelle faccende che non sono imprescindibili per la sopravvivenza del piccolo, facendosi lui carico di dirigere la routine domestica (scrive a tal proposito Clara Scropetta: “ciò che si osserva spesso nell’uomo è una specie di fuga dalla realtà, una tendenza a farsi carico di ogni possibile altra attività o altro compito, fenomeno esacerbato dalla famiglia nucleare e dal ruolo che in essa l’uomo riveste in qualità di care-giver unico per la compagna);

  • difendere la mamma dal contatto con il mondo esterno - il padre dovrebbe custodire il nido e trasformarsi in un intermediario tra il mondo esterno e quello interno (è interessante osservare l’universo degli uccelli: il maschio entra ed esce dal nido portando cibo e vigilando che nessun intruso si avvicini, mentre la femmina non si muove dal riparo);

  • accettare e amare la propria donna - quando nasce un figlio non è il momento di litigare, anche se spesso finisce così, ma anzi mai come in questo momento la coppia deve essere unita e collaborare.

“NON E’ FONDAMENTALE CHE UN PADRE SAPPIA CAMBIARE I PANNOLINI, SE POI NON E’ IN GRADO DI SOSTENERE EMOZIONALMENTE LA SUA COMPAGNA”.

Ogni donna è in condizione di cambiare i pannolini al suo bambino ma questo, o qualsiasi altro compito, diventa difficile se non può contare su un sufficiente sostegno emotivo, ciò non significa che il padre deve fare la mamma, ma piuttosto deve appoggiarla nel suo ruolo di madre. La psicoterapeuta racconta che durante la sua esperienza professionale ha incontrato principalmente donne che sostengono emotivamente il loro uomo: “la donna spesso si fa carico della vita emozionale dell’uomo (lo aiuta a studiare, lo appoggia nella carriera, lo aiuta a mantenere una sana relazione con la propria famiglia di origine) e contemporaneamente studia, lavora, si dedica alla sua famiglia e agli amici. Il sostegno emozionale è delegato alla donna, mentre quello economico all’uomo e tutto funziona bene durante l’innamoramento. Poi nasce il primo figlio: il parto, l’allattamento, le visite pediatriche e la stanchezza. La madre è concentrata solamente sul figlio, non ha più uno spazio individuale, dal momento che la cura di un bambino consuma tutta la sua energia; perde la sua identità, i suoi luoghi di riferimento, in alcune occasioni il suo posto di lavoro, i suoi momenti di ozio, alcune amicizie e persino la sua libertà personale. Si sente stanca ma, abituata a farsi carico da sola della sua sfera emozionale, non le viene in mente di chiedere aiuto”. Dall’altro canto può capitare che il padre si senta geloso nei confronti del figlio e reclami anche lui la sua parte di attenzioni.

DIVENTARE GENITORI RICHIEDE APPOGGIO RECIPROCO ED E’ IMPORTANTE NON CONFONDERE IL SOSTEGNO VERSO LA MADRE CON L’AIUTO NELLA CURA DEL BIMBO, POICHE’ SONO DUE SITUAZIONI BEN DISTINTE.

E il padre chi lo sostiene? Anzitutto, spiega Laura Gutman, l’uomo è sostenuto dalla sua struttura emozionale che ovviamente non è stata devastata dall’irruzione del vulcano interiore conseguente al parto. Seppur emozionato per la nascita di suo figlio, la psiche del papà è integra come il suo corpo, a differenza invece della mamma. In più, il padre è sostenuto dal lavoro, dalla posizione sociale e dall’identità che occupa nel mondo esterno. Nell’ambito lavorativo produce denaro, il posto fisso gli dà sicurezza e qui è riconosciuto per le sue attitudini psichiche e intellettuali. E’ sostenuto pure dal tempo dell’ozio: quella mezz’ora della quale dispone per fare un aperitivo o andare in palestra, il tempo che dedica alla sua igiene personale o alla sua pennichella, cose semplici che però agli occhi di una neomamma possono sembrare quasi impossibili da fare.

IL PROCESSO DI SEPARAZIONE EMOZIONALE COMINCIA SOLO INTORNO AI 2 ANNI E TERMINA CON L’ADOLESCENZA.

Tra i 20 e i 30 mesi, con l’inizio del linguaggio verbale, il piccolo incomincia a separarsi dalla fusione emozionale con la madre ed è questo il momento ideale per il papà per intervenire e rompere la fusione mamma-neonato che ha caratterizzato i primi anni. Sappiamo che la tendenza femminile è verso la fusione, mentre quella maschile è verso la separazione, per questo una madre non può produrre da sola l’allontanamento necessario. Spiega così la scrittrice: “il padre contribuisce alla separazione spinto da due interessi principali: recuperare la sua donna come soggetto sessuale e d’amore e relazionarsi direttamente con il figlio, ora che è diventato “più simile a una persona”. Il padre si relaziona direttamente con il bambino accompagnandolo verso il mondo esterno, ma affinché si realizzi una buona separazione, è importante sapere che spesso si confonde separazione con autoritarismo. Il padre può separare affettuosamente, al contrario un padre che picchia o minaccia perde credito di fronte ai propri figli e non realizza una sana separazione. Inoltre, è indispensabile rispettare i tempi reali della maturazione dell’essere umano per adattare i propri desideri alla sfera del possibile, in questo senso se un padre pretende di recuperare la sua donna dopo 3 mesi dal parto, semplicemente la sottomette a una sua necessità personale, ignorando e contrastando i reali bisogni della diade madre-figlio. Molto spesso le madri si lamentano della mancanza di interesse che alcuni uomini dimostrano verso i loro bambini. Ciò accade perché l’avvicinamento di un uomo verso il figlio è un processo sostenuto dall’amore per la donna che è diventata madre. Questa situazione si modifica quando i bambini raggiungono l’adolescenza, età in cui i padri si possono relazionare tra loro senza la mediazione materna”.

IN UNA FAMIGLIA ARMONIOSA I GENITORI CREDONO IN UNA RELAZIONE DI SOSTEGNO RECIPROCO E INSIEME SI OCCUPANO DEL FIGLIO. 

Laura Gutman sostiene che solo una coppia armoniosa può garantire la stabilità emozionale della famiglia e per farlo ci sono tre aspetti principali da coltivare:

  • il contenimento dell’altro;

  • la libertà, perché altrimenti il contenimento si trasforma in controllo;

  • il desiderio di accompagnare l’altro nel suo sviluppo personale.

Solo quando questi tre atteggiamenti vengono messi in pratica dalla coppia, uomini e donne saranno in condizione di evolversi a partire dai ruoli primari. Quando ci sono i figli i ruoli si costruiscono ed è necessario coltivarli essendo disponibili verso l’altro, poiché con la genitorialità aumenta la fragilità di ciascuno, ognuno è più esposto, stanco e perso nelle difficoltà del vivere. Conclude Laura Gutman: “dobbiamo cercare di offrire il meglio di noi stessi alla persona amata, invece di costruire aspettative su quello che può offrirci l’altro. Intraprendere un progetto di famiglia richiede il massimo della generosità e la consapevolezza dell’importanza di costruire una catena di sostegni affinché la crescita dei bambini sia possibile”.

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silvia c. silvia c.

Investire nel Percorso della Maternità

Diventare madre ti cambia la vita e questo cambiamento spesso ci appare terribilmente faticoso.

I primi tempi, cioè subito dopo la nascita, sono i peggiori. Il corpo del bambino appena nato è veramente molto instabile, tutti i suoi sistemi fisiologici devono ancora calibrarsi, inoltre la mancata produzione di melatonina nei primi tre mesi fa sì che il bambino non abbia ancora acquisito il ritmo sonno-veglia. Lui si deve adattare alla vita fuori dall’utero e questo adattamento è consentito solo grazie alla presenza della mamma. Il corpo materno è il facilitatore per quello del bambino. Attraverso il contatto corporeo, il contenimento e l’allattamento al seno egli si tranquillizza. Ma questo attaccamento così intenso, così esclusivo non è sempre semplice da gestire per la mamma. Suo figlio la vuole tutta per sé, la vuole sempre e la vuole subito, ma non lo fa perché è viziato, sarebbe sciocco pensarlo visto che tutti i neonati del mondo si comportano pressoché allo stesso modo. Non piangono per capriccio, piangono perché esternano un bisogno: hanno bisogno della figura materna che si occupi di loro.

MA ALLA MAMMA, INVECE, CHI CI PENSA?

Sicuramente i 9 mesi di gravidanza aiutano la mamma a prepararsi a far fronte a questa nuova sfida. Infatti, il periodo gestazionale con i suoi stravolgimenti ormonali, i suoi malesseri e perché no, anche con le sue limitazioni, obbliga la donna a rallentare, a prendersi del tempo per capire ed approfondire i propri ritmi fisiologici, la obbliga a rivedere i suoi comportamenti e a a rielaborare la propria storia personale. La donna incinta affronta un terremoto interiore che all’esterno è solo in parte percepibile. Ed è già qui, durante la dolce attesa, che deve iniziare l’investimento: lasciarsi indietro le preoccupazioni della vita di tutti i giorni per concentrarsi sulla propria maternità, fare spazio per favorire il radicamento, intraprendere un percorso di evoluzione che coinvolga anche il partner, perché dopo la nascita del bambino la tua vita non sarà più la stessa e tu dovrai adattarti a una nuova realtà. In fondo, è un po’ quello che succede sia prima del parto che dopo: la mamma vive in un continuo stato di adattamento nei confronti della sua creatura. Tutto quello che succederà in gravidanza, nel bene e nel male, avrà delle ripercussioni sul benessere di mamma-bambino e sulla loro stessa relazione, poiché endogestazione ed esogestazione sono i termini di una continuità generativa che lega la vita intrauterina allo sviluppo post-natale. E’ pertanto necessario sgravare la futura madre di tutti quei compiti che non hanno a che fare con la cura del bambino e darle tutto il sostegno necessario, affinché lei possa svolgere il suo ruolo nel miglior modo possibile e nel rispetto dei suoi valori.

PER QUESTO MOTIVO E’ MOLTO IMPORTANTE RIVEDERE LA CONDIZIONE FEMMINILE E MASCHILE, CERCANDO DI DARE IL GIUSTO VALORE AD ENTRAMBE LE IDENTITA’, SENZA TENTARE DI OMOLOGARLE, MA ANZI TUTELANDO LE DIFFERENZE E LE PECULIARITA’ CHE LE CARATTERIZZANO, IN UN’OTTICA DI COLLABORAZIONE E COMPLEMENTARIETA’.

Purtroppo la struttura della nostra società ha fatto in modo che venisse meno il senso di gruppo e il contenimento sociale intorno alle famiglie, che associato alla forte medicalizzazione del processo nascita, all’isolamento abitativo, allo stile di vita che non concede pause e ai forti pregiudizi sulla maternità, ha prodotto come risultato quello di creare donne e uomini sempre più intimoriti nei confronti della genitorialità. La procreazione e l’accudimento sta diventando sempre più un fatto esclusivamente privato (quando è anche un evento sociale) e vengono vissuti come un fastidio, infatti, se notiamo bene i luoghi e le circostanze in cui i bambini sono davvero i benvenuti stanno piano piano riducendosi a quelli specificatamente creati per loro, fuori dalla vita adulta normale. Questa mancanza di sostegno e attenzione da parte delle istituzioni sta mettendo in crisi l’idea stessa di famiglia, perché se per fare una famiglia tutto il peso deve ricadere sempre e solo sulla donna e all’uomo non vengono concesse le giuste condizioni per dedicarsi a suo figlio (vedi la mancanza di adeguati permessi lavorativi), poiché per la società è prima un lavoratore e poi un padre, è normale che le cose vadano male. La donna non può delegare “l’esperienza maternità”, essa si svolge dentro il suo corpo e quindi su di lei ricadono le conseguenze maggiori e allo stesso tempo non può dominarla né controllarla, come pretenderebbe la società, questo ha come conseguenza la solitudine, la frustrazione, lo stress perché ovviamente la donna si sente inascoltata e anche l’uomo allo stesso tempo fa fatica a fare quello scatto di maturità, ad essere consapevole di quello che sta accadendo alla sua compagna, ma anzi spesso tenta di dare interpretazioni “logiche-razionali”, di mettere “ordine” nel caos materno. 

NON SI PUO’ INTERPRETARE LA GRAVIDANZA E IL PARTO IN TERMINI UNICAMENTE ANDROCENTRICI, ANCHE SE PER TANTO TEMPO, CAUSA LA FORTE MEDICALIZZAZIONE DELLA NASCITA, SI E’ FATTO COSI’. LA GRAVIDANZA NON E’ QUALCOSA DI SEPARATO RISPETTO ALL’ESISTENZA FEMMINILE.

Dal libro Fisiologia della nascita: “la lentezza del parto appare una chiara lezione su come deve essere lento il processo di distacco sia al parto sia poi nella vita, con un procedere per esplorazioni e ritorni, con un movimento di fuori e dentro che permane nei lunghi anni che portano alla conquista graduale dell’autonomia. Soltanto alla fine del travaglio, quando il collo dell’utero si è completamente appianato e dilatato, la partoriente può e deve partecipare attivamente alla spinta: per quanto possa apparire paradossale, il primo atto volontario che una mamma può compiere sul proprio bimbo è un atto di allontanamento. Il femminile, caldo e accogliente contenitore, deve inesorabilmente incoraggiare la separazione, la presenza paterna in sala parto è simbolicamente molto significativa: se la mamma è quella che spinge e incalza, il padre è colui che accoglie e protegge. Non va trascurato il profondo significato emotivo di questo passaggio simbolico, che congiunge la donna e l’uomo e li caratterizza come complementari in una cura condivisa della propria prole. I ruoli al parto sono rovesciati”.

GLI AVVENIMENTI PRECEDENTI AL CONCEPIMENTO, I RAPPORTI INTERPERSONALI, L’ASSISTENZA RICEVUTA E LA CONNESSIONE CON IL PROPRIO PARTNER SONO TUTTI ELEMENTI CHE POSSONO INFLUENZARE LA QUALITA’ DELL’ESPERIENZA MATERNITA’.

Ultimamente si parla molto di corsi di accompagnamento alla nascita. Oltre ai famosi corsi preparto che si svolgono nelle strutture ospedaliere, un numero sempre crescente di associazioni ed enti privati propongono percorsi per le donne in procinto di avere un figlio. L’obiettivo di questi gruppi è preparare fisicamente e psicologicamente la donna al parto, ma anche a quello che l’aspetta dopo il parto. I gruppi che si formano dovrebbero rispondere ad alcuni criteri:

  • soddisfare il bisogno di relazione e condivisione,

  • proporre un lavoro sul corpo specifico per prepararsi al travaglio e al parto,

  • insegnare strategie di coping e di gestione del dolore,

  • spiegare la fisiologia della gravidanza e del neonato,

  • offrire strumenti creativi per dare sfogo alle proprie paure,

  • offrire una guida nella costruzione del legame con il bambino,

  • favorire l’apprendimento delle tappe del viaggio della maternità,

  • preparare alla genitorialità,

  • creare un senso di solidarietà tra i partecipanti,

  • fare empowerment.

Approcciarsi a diverse discipline corporee (come ad esempio yoga o acquagym), intraprendere percorsi di rilassamento e mindfulness, frequentare gruppi creativi e cerchi di mamme sono tutte attività che consentono alla donna e quindi anche alla coppia di avere una maggiore consapevolezza e di disporre di maggiori risorse per far fronte alla nascita del bambino. Verena Schmid parla di “maternity plan”, cioè una specie di business plan che può aiutare la mamma a fare chiarezza sulle cose che veramente le servono per gestire la propria maternità, nel tentativo di uscire dallo stereotipo della mamma che sacrifica tutto in nome di suo figlio, ma anzi fissando priorità per il suo benessere, che di fatto poi si traduce nel benessere del bambino. Il “maternity plan” deve aiutare la madre a:

  • riconoscere quali sono i suoi reali bisogni e quelli del bambino, distinguendo da quelli più urgenti a quelli che possono essere rimandati;

  • riflettere sul suo bisogno di sicurezza, cioè cosa la fa sentire sicura e serena;

  • comprendere quali sono le risorse che lei ha, sia interne che esterne, quindi luoghi e persone che possono esserle di aiuto;

  • riconoscere potenziali criticità che possono ostacolarla nel suo management domestico;

  • organizzare la giornata in modo da ritagliarsi dei momenti per sé stessa e per la coppia, ottimizzando i lavori domestici e gli altri impegni;

  • definire un budget economico dando spazio a spese mirate per rispondere ai bisogni essenziali, considerando sostegni pratici per la casa dopo il parto, per almeno il primo mese e sostegni di assistenza qualificata.

“CHI DECIDE DI ACCOMPAGNARE LE MADRI DURANTE IL VIAGGIO DELLA MATERNITA’ DOVREBBE PRIMA FARE UN LAVORO INTERIORE SU SE’ STESSA PER POTERSI SINTONIZZARE CON GLI STATI REGRESSIVI E FUSIONALI DELLE MADRI” (Clara Scropetta).

Per poter accompagnare le donne nella loro personalissima esplorazione e attribuzione di senso all’esperienza di maternità è fondamentale, oltre che essere centrate in sé stesse, saper porsi in un atteggiamento di ascolto empatico, saper accogliere senza giudicare e saper prendersi cura della madre, poiché dalle cure ricevute dipenderà non solo il suo benessere, ma anche quello di suo figlio e per esteso di tutta la famiglia. La mamma non è solo un “mero contenitore” come sosteneva Aristotele o semplicemente “colei che sfama” il piccolo, se lei sta male il neonato ne risentirà, per questo è fondamentale, anche per coloro che si occupano prevalentemente del mondo dell’infanzia partire sempre dallo stato di salute psicofisico della madre. Quindi, cosa può fare l’operatore che lavora nell’ambito della maternità:

  • ridurre lo stress psicofisico nella donna - uno dei problemi più grossi dell’era moderna sta nella difficoltà a mettere in gioco i meccanismi fisiologici che sostengono l’istinto e l’accudimento della prole. Abbiamo già detto che tutti gli eventi della vita sessuale sono accumunati dalla secrezione di specifici ormoni e la liberazione di questi ormoni dipende moltissimo anche dalle condizioni ambientali, per questo motivo è importante che la futura mamma sia attorniata da un contesto familiare, sociale, lavorativo e assistenziale che l’aiuti a rimanere tranquilla e calma;

  • approfondire i bisogni fisiologici di mamma e bambino - la consapevolezza aiuta la donna ad orientarsi nel viaggio della maternità, a riconoscere possibili ostacoli e a superarli;

  • andare oltre i condizionamenti - ci sono dei fortissimi condizionamenti culturali che gravitano intorno a noi e che caricano la maternità di pressioni inutili. Molti delle convinzioni che oggi abbiamo sono il frutto di vecchi schemi di pensiero che spesso sono del tutto sbagliati;

  • rafforzare l’autostima - tutto quello che incrementa la fiducia della madre in sé stessa è importante non solo nella preparazione al parto, ma anche nella preparazione alla genitorialità;

  • educare il partner - purtroppo gli uomini di oggi non hanno molti esempi a cui fare riferimento, perché per anni i padri sono stati in qualche modo estromessi dal menage familiare a dall’accudimento della prole. La nostra società ha distribuito i pesi della famiglia in maniera diseguale. Anche se molti uomini e donne sostengono e credono nel rapporto paritario, all’atto pratico tantissime coppie vivono una profonda crisi, confermando la difficoltà nel superare gli stereotipi trasmessi dalle generazioni precedenti: ancora oggi la maternità ostacola l’emancipazione femminile, rende difficile fare carriera e raggiungere l’indipendenza economica, porta la donna ad accantonare l’idea di proseguire gli studi a favore di una vita domestica che purtroppo non ha il degno riconoscimento a livello sociale, oltre a penalizzarla nel tempo libero (è molto difficile che una mamma di un bambino piccolo possa prendersi una vacanza da sola anche per pochi giorni).

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silvia c. silvia c.

Maternità tra Estasi e Inquietudine. Laura Gutman

Ad ogni madre è concessa un’ulteriore possibilità di crescita spirituale, grazie al ruolo di specchio delle sue parti occulte, svolto dal suo bambino. Il piccolo ha il potere di rappresentare per la mamma quell’occasione per riconoscersi, per porsi delle domande ed iniziare così una trasformazione. 

Nella faticosa ricerca “dell’Io Sono”, la maternità può effettivamente facilitare la strada ad alcune donne, a patto che queste siano disposte a viverla consapevolmente e a crescere i propri figli con autonomia interiore. Altre donne, purtroppo, con la maternità si perdono definitivamente, rese infantili e occupate dalla cura dei figli, chiuse in un mondo domestico e interiore. Questo, è quello che sostiene Laura Gutman, psicoterapeuta argentina di scuola junghiana, specializzata in relazione parentali. Quando si decide di aiutare una mamma con dei bambini piccoli, è importante saper sintonizzarsi con i suoi stati regressivi e fusionali, sostenendo la sua femminilità nel momento di massima potenza, che è appunto la maternità. Laura Gutman, nello specifico, parla della capacità delle professioniste che si occupano delle madri e dei loro figli, ad accompagnare queste donne ad immergersi nella propria “ombra”. 

CHE COS’E’ L’OMBRA?

Questo termine, usato da Jung, non coincide con l’inconscio, ma è una metafora utilizzata per indicare quella parte, che è sia conscia sia inconscia, in cui dimorano i nostri limiti, le nostre paure e tutti quegli aspetti non accettati da parte dell’Io. Jung afferma: “la figura dell’ombra personifica tutto ciò che il soggetto non riconosce e che pur tuttavia, in maniera diretta o indiretta, instancabilmente lo perseguita: per esempio tratti del carattere poco apprezzabili o altre tendenze incompatibili”. Si può dire che il mondo psichico spirituale è formato da una parte luminosa e da una parte oscura che non rappresenta soltanto le cose negative, ma anche aspetti che semplicemente non vengono espressi o realizzati. 

IL COMPITO DI OGNI ESSERE UMANO E’ CERCARE LA PROPRIA OMBRA PER PORTARLA ALLA LUCE ED INTRAPRENDERE UN PERCORSO DI GUARIGIONE.

Nel primo capitolo, la scrittrice parla di fusione emozionale: “nella nostra cultura, così abituata a vedere solo con gli occhi, crediamo che tutto quello che ci sia da sapere sulla nascita di un essere umano, riguardi il momento del suo distacco fisico dalla madre. Tuttavia, se ci pensiamo meglio, riusciamo a immaginare che quel corpo appena nato non è solo materia, ma anche un corpo astratto, emozionale e spirituale. Sebbene la separazione fisica avvenga, persiste un’unione che appartiene ad un altro ordine e che sancisce il legame fusionale tra neonato e madre nella dimensione emozionale. Il piccolo, nato dal corpo fisico e spirituale della madre, rimane completamente congiunto nella sua sfera emotiva…Di fatto tutto ciò che la mamma sente, ricorda, rifiuta, il neonato lo vive come suo, perché sono due esseri in uno”. In pratica il bambino esiste nella fusione con la madre, ma così è anche il contrario, cioè la madre sperimenta uno sdoppiamento del campo emozionale, poiché la sua anima si manifesta sia nel suo corpo, sia in quello del neonato. La donna puerpera ha la sensazione di impazzire, di perdere tutti i luoghi di identificazione e di riferimento, crede di aver perso la razionalità. Lei vive come se fosse fuori dal mondo, ma perché semplicemente vive dentro il mondo-bambino. Questa fusione emozionale è indispensabile perché garantisce le cure necessarie per la sopravvivenza del neonato. 

DURANTE IL PUERPERIO OGNI MADRE DEVE DIVENTARE UN POCHINO “PAZZA”, DEVE PERDERE UN PO’ DI RAZIONALITA’ PER POTERSI CONNETTERE ALLA SUA INTERIORITA’ E PER QUESTO HA BISOGNO DELL’APPOGGIO DI CHI AMA, PER PERMETTERSI, SENZA ALCUN RISCHIO, DI ABBANDONARE IL MONDO LOGICO-MATERIALE, SCANDITO DA ATTIVITA’, DA OBBLIGHI E ORARI.

Il periodo di fusione emozionale mamma-bambino si estende per i primi nove mesi, al termine dei quali il bimbo raggiunge un certo grado di autonomia. Il piccolo appena nato è legato solo all’emozione della madre, poi man mano che cresce, ha bisogno di creare vincoli fusionali con ogni persona o oggetto con cui entra in relazione. Questo stato di fusione del bambino diminuisce con l’avanzare degli anni, quando il suo Io matura dal punto di vista psichico ed emozionale. Tuttavia, se un bambino molto piccolo ha dovuto sopportare grandi separazioni, tenderà a rimanere in relazione di fusione molto più a lungo e una volta adulto rischierà di coinvolgersi in relazioni possessive, basate ad esempio sulla gelosia e sulla non-fiducia, che sono poi manifestazioni della paura della solitudine. 

PERCHE’ E’ IMPORTANTE COMPRENDERE IL FENOMENO DI FUSIONE EMOZIONALE?

Perché il neonato riesce a sentire e a manifestare tutte le nostre emozioni, sopratutto quelle che occultiamo. Quando cerchiamo di comprendere i neonati, dobbiamo ricordare che loro sono anche le mamme che li abitano. Il piccolo sente come propri  i sentimenti della madre, ed in modo particolare, quelli di cui lei non ha consapevolezza. Molto spesso, l’ombra della mamma si materializza in malesseri che si presentano nel neonato. In questi casi non bisogna annullare il sintomo da lui espresso, ma è necessario dare un significato a questi segnali e capire cosa sta succedendo alla mamma. Ciò non vuol dire che la madre deve per forza risolvere le sue difficoltà, basta semplicemente che ne diventi consapevole. 

LA MAMMA CHE SI INTERROGA, CHE DIVENTA CONSAPEVOLE DELLA PROPRIA OMBRA, LIBERA IL FIGLIO DA NUMEROSE PROBLEMATICHE, PERCHE’ LEI STESSA SI FA CARICO DELLA SUA OMBRA.

Il secondo capitolo del libro esplora l’esperienza del parto, inteso come momento di destrutturazione spirituale. Il parto, infatti, non è solo una rottura fisica, ma anche emozionale, per permettere il passaggio “da essere uno a essere due”. Purtroppo, difficilmente la donna è cosciente di ciò che è veramente il parto. Oggi, le nascite indotte, le anestesie, le analgesie di routine e la fretta del sistema di sbrigare rapidamente la pratica-nascita, non consentono alle donne di approfittare di questo momento così importante della loro vita sessuale. Questo perché tale esperienza viene vista come un atto puramente fisico e medico. Le donne sono pertanto costrette a vivere questa rottura emozionale, prive di coscienza, anestetizzate, infreddolite, impaurite, violate ed infantilizzate, lasciate quindi senza strumenti affettivi. 

LA SUCCESSIVA RELAZIONE MAMMA-BAMBINO SARA’ PROFONDAMENTE CONDIZIONATA DAL VISSUTO DEL PARTO E QUINDI DALL’ISTITUZIONALIZZAZIONE DEL PARTO, CON UNA CONSEGUENTE DISUMANIZZAZIONE DELL’EVENTO NASCITA, COSA CHE HA FATTO PERDERE A QUESTO MOMENTO LA SUA CONNOTAZIONE INTIMA, SESSUALE, PERSONALE E AMOROSA. INFATTI POCHE DONNE RIESCONO AD IDENTIFICARSI NEL PARTO CHE HANNO SPERIMENTATO.

La separazione emozionale tra mamma e bambino avviene verso i 2 anni, con lo sviluppo del linguaggio verbale (i figli rimangono comunque legati all’ombra dei loro genitori fino ai 14 anni). Ed è qui che subentra la figura del padre. Durante questa epoca, il padre mette la sua energia maschile al servizio della separazione, che però non significa mettere dei limiti, gridare più forte o imporre castighi. Le funzioni dell’uomo sono quelle di recuperare la donna per sé e portare il bambino verso l’esterno.  

I PADRI COINVOLTI DALL’INIZIO DELLA MATERNITA’, NELLA FUSIONE DELLA DIADE MAMMA-BAMBINO, CHE APPOGGIANO L’INTROSPEZIONE E LA LENTEZZA, SONO QUELLI CHE MEGLIO RIESCONO A INTERVENIRE NELLA SEPARAZIONE EMOZIONALE, POICHE’ IL LORO VINCOLO CON LA DONNA E’ RAFFORZATO.

Molto spesso le madri non sono in condizioni di essere pienamente materne con il bambino, perché devono farsi carico della fragilità emozionale dell’uomo. Quando il padre non agisce come sostegno emozionale della donna puerpera, esistono due opzioni: o rimane separato dalla diade mamma-bambino, sentendosi solo, non amato e geloso o si situa in una posizione infantile dalla quale chiede tutta l’attenzione per sé.

PER POTER EFFETTUARE QUESTA SEPARAZIONE EMOZIONALE IL BAMBINO HA BISOGNO DI SOSTEGNO DA PARTE DEI GENITORI, CHE POSSONO OFFRIRGLIELO ATTRAVERSO LA COMUNICAZIONE.

E’ importantissimo che fin da subito i genitori parlino con il proprio bambino, spiegandogli ogni avvenimento in cui lui è coinvolto. Ad es. quando una mamma dice a suo figlio “vado a lavorare”, il bambino piccolo non dispone di dati sufficienti per costruire la sua comprensione né la sua realtà. Egli si domanda: “che cosa significa lavorare? Quando rientra? Perché se ne va?”. E’ quindi vitale comunicare ai bambini la realtà esteriore con dovizia di particolari, cercando di vedere il mondo con i loro occhi, perché per loro ogni momento è infinito, ogni sensazione è eterna, ma grazie alla magia delle parole si riesce ad avvicinare il mondo del bambino al mondo degli adulti. Tanti genitori si sentono ridicoli quando parlano ad un neonato e pensano che lui non capisca, ma alla fine la comprensione non deve essere necessariamente dimostrata con una risposta verbale. La scrittrice afferma: “da un lato sottovalutiamo la capacità di comprensione dei bambini piccoli, dall’altro pretendiamo che si adattino al mondo degli adulti. Abbiamo fretta che crescano, che diventino cittadini di classe media integrati nella società… I piccoli umani hanno un’evoluzione molto lenta e hanno bisogno di essere accompagnati a lungo per diventare esseri emotivamente indipendenti. Ma lento e prolungato rispetto a quale modello? Io credo che il modello che misura i tempi dell’evoluzione sia costruito intorno a un’organizzazione sociale, di stampo maschile. Noi donne, per desiderio di riconoscimento ed emancipazione, abbiamo fatto il nostro ingresso nel mondo del lavoro e nelle relazioni sociali assecondando e utilizzando comportamenti maschili (rapidità, sicurezza, successo e reddito). Abbiamo ottenuto alcune rilevanti soddisfazioni, ma la grande contraddizione emerge quando alla cura dei figli si antepone lo spazio sociale esterno…Le tendenze in materia di educazione confermano l’impazienza: gli asili nido preferiscono i bambini che hanno abbandonato il ciucciotto, sono in grado di controllare i bisogni fisiologici, non piangono, non sentono la mancanza della mamma e sono autonomi”.

I GENITORI DEVONO CERCARE DI RISPONDERE ALLE RICHIESTE DEI BAMBINI CON LA PRESENZA, DONANDO LORO PIU’ TEMPO.

La psicoterapeuta argentina propone ai genitori un esercizio: organizzarsi in modo tale da rimanere per 15 minuti seduti a terra con il proprio figlio senza far nulla, è sufficiente osservarlo ed essere disponibili. Tante mamme non ci riescono e trovano mille impedimenti. Anzi, quando i bambini sono calmi, di solito le madri scappano a fare le faccende domestiche, approfittando della loro tranquillità. Quindi il bambino interpreta: “quando sono tranquillo e gioco da solo perdo mia madre. Se invece disturbo, reclamo, piango mia madre rimane con me”. Non è una perdita di tempo fermarsi qualche istante, ogni giorno, accanto al proprio bambino, anche quando in apparenza non ci parla, né chiede qualcosa di concreto. In questo modo il piccolo impara  ad auto-soddisfarsi, a rasserenarsi, e realizza di poter chiedere quello che vuole a partire dalla “richiesta originale”, che sarà ascoltata e contemplata; così non diventerà un “bambino senza limiti”, ma un bambino che comunica quello che sente. La scrittrice, alla fine del libro, consiglia ai professionisti nel campo della maternità e dell’infanzia, di entrare sempre in sintonia con la mamma, poiché senza la conoscenza della dimensione personale della mamma, le manifestazioni dei bambini perdono di significato. Sono i bambini che riflettono l’ombra della madre, le sue crisi irrisolte, i suoi nodi, sono loro che riflettono la sua anima.

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silvia c. silvia c.

Essere Madre tra Idealizzazione e Dannazione

La maternità non è solo un processo biologico, ma è anche un evento sociale e a seconda della cultura di appartenenza viene vissuto in modo diverso, infatti essere madre corrisponde ad un ruolo ben preciso e definito all’interno di ogni società. 

Ma se da una parte il sistema esalta la maternità - vedi la quasi morbosa attenzione per il tasso di natalità a scapito delle donne senza figli - allo stesso tempo la denigra, poiché la donna gravida è un peso socialmente parlando. Anzi, la maternità è stata per secoli utilizzata proprio per escludere le donne dalla vita pubblica, per idealizzarle e al tempo stesso ingabbiarle nella famiglia e nelle attività di cura. Maternità, dunque, come un destino ineluttabile o un dovere religioso e sociale. Purtroppo, il dibattito che potrebbe nascere dalla maternità vista proprio dal punto di vista sociale è spesso taciuto, viene tutto ridotto ad una questione prettamente sanitaria. La gravidanza, infatti, è un tema solitamente delegato agli “addetti ai lavori” oppure inteso come un tabù, una cosa da donne, quando invece, considerato il fatto che esso è un fenomeno anche sociale, dovrebbe essere di dominio pubblico, trattato sotto tutti gli aspetti, non solo quelli di pertinenza medica. Non solo, la stessa educazione alla natalità e alla genitorialità è il frutto di un punto di vista medico-sanitario, che non tiene conto di tutti gli altri elementi spirituali, emozionali, sociali, relazionali che sono connessi all’evento nascita. Una donna incinta dovrebbe suscitare l’interesse della società, ed invece viene emarginata. 

NEL CONTESTO MODERNO, LA MATERNITA’ RISCHIA DI ESSERE PERCEPITA NON PIU’ COME UN EVENTO ESISTENZIALE DI PRIMARIA IMPORTANZA, MA COME UNO DEI TANTI IMPEGNI DA SBRIGARE, NON PIU’ COME UN DONO, MA PIUTTOSTO COME UN PROBLEMA.

La maternità, percepita come evento felice, dolce, a volte persino idealizzato, rivela così la sua parte più oscura, lasciando trapelare i dolori, le umiliazioni e le fatiche. Inizialmente la gravidanza viene vissuta dalla coppia un po’ come se fosse un gioco, c’è questa idea romantica di un bambino che dona un senso a tutto, mischiata all’eccitazione per la novità, ma poi non sempre le cose proseguono con altrettanto entusiasmo e molte coppie si trovano a percorrere un’esperienza dai risvolti traumatici e devono comprendere attraverso la mancanza e la sofferenza che cosa significhi veramente accogliere un bambino in casa. Attualmente molte cose sono cambiate, non solo il modo in cui viene vissuta la gravidanza, ma anche come viene vista la figura della donna e anche lo stesso modello di famiglia tradizionale ha subito notevoli scossoni. Le famiglie moderne sono molto diverse da quelle delle nostre nonne, dove il senso di aggregazione e comunità erano molto forti e la neomamma era spesso aiutata da altre figure femminili a soddisfare le sue necessità vitali e ad adempiere ai propri compiti di madre. Inoltre, i ritmi lavorativi erano molto meno stressanti e frenetici. Scrive Verena Schmid: “maternità e paternità si stanno trasformando in un obbligato processo di scelta, in un problema da risolvere, in calcoli economici, in stime di convenienza. A questo si sommano i timori riguardanti il corpo, la salute, la trasformazione, l’intraprendere un percorso che appare costellato da numerosi rischi e possibili traumi. Allora la conclusione razionale facilmente è no, fare un figlio non conviene”. La società non offre molto alle madri e spesso i genitori non sono messi nelle condizioni giuste per accogliere un bambino, a causa degli obblighi lavorativi, ma anche per mancanza di una vera e propria assistenza da parte delle istituzioni, sopratutto qui in Italia. Sempre secondo Verena Schmid: “la domanda del perché fare figli è relativamente nuova. I figli, fino a un recente passato e ancora oggi in molte parti del mondo, sono l’assicurazione per il futuro. Oggi, nelle società del benessere materiale, dove l’indipendenza economica non richiede la presenza di prole come forma di sostegno e le scelte di vita sono vaste, questi significati si sono persi. Un figlio allora è visto piuttosto come un’estensione di sé, come colui che realizzerà i nostri sogni, magari con la perfezione di cui non siamo stati capaci. Su di lui si concentrano le nostre aspettative e ambizioni sociali”.  

OGGI LA DONNA PUO’ SCEGLIERE SE DIVENTARE MADRE O NO.

Nel suo libro “Mamma da grande” Verena Schmid dice: “il tempo biologico per la maternità va dai 15 ai 55 anni circa, il tempo sociale concesso è dai 30 ai 35 anni. Prima dei 30 anni sei considerata un’incosciente: si pretende che prima della maternità tu abbia indipendenza economica e una posizione lavorativa. Dopo i 35 anni sei considerata attempata e trattata a priori come un caso a rischio. Il pensiero della maternità può essere nutrito, o al contrario inibito, da pressioni sociali, aspettative o esperienze familiari, dai desideri del partner, dalle proiezioni sul futuro, ma viene attivato anche dall’innato bisogno fisico del tuo corpo di procreare, di espanderti… Scegliere comporta sempre un’opportunità e un conflitto. La controparte della scelta è la paura: paura di perdere la vecchia vita, paura della trasformazione fisica e sociale, paura dei rischi. Curiosamente, più una società sta bene e vive al sicuro, più forti sono le paure e minore è la fiducia nella vita”.

L’ETA’ MEDIA DELLE DONNE CHE DECIDONO DI AVERE FIGLI E’ AUMENTATA COSTANTEMENTE NEGLI ULTIMI DECENNI.

A 20 anni il corpo femminile è maturo, ma la maturità biologica non corrisponde sempre alla maturità emotiva e sociale, che avviene anche e sopratutto attraverso le esperienze. Purtroppo, verso i 30 anni è il momento in cui una donna comincia ad affermarsi socialmente e lavorativamente e questo la spinge a posticipare il suo desiderio di diventare madre. La donna di oggi, di fatto, non solo deve accudire l’intera famiglia (figli, marito e genitori), ma deve anche lavorare. Infatti, il lavoro delle donne è sempre più necessario, visto che le famiglie con un solo percettore di reddito, sia esso uomo o donna, sono quelle a maggiore rischio di povertà. Purtroppo, il modello da raggiungere, quello con cui tutte noi donne ci confrontiamo, è quello della donna multitasking, cioè la donna perfetta tuttofare, attiva dentro e fuori casa. Ma questo modello è irraggiungibile, in più, è tossico, perché ci fa sentire continuamente sbagliate, continuamente inadeguate, ci fa sentire sole. Questo stato d’animo negativo pregiudica la relazione mamma-bambino. Anzi, la mamma per poter avviare una relazione positiva con suo figlio ha bisogno di delegare, di rallentare e di essere sostenuta, sia prima che dopo la nascita del piccolo.

“TU SEI FATTA DI TANTI STRATI, ASPETTI CHE TUTTI INSIEME FORMANO LA TUA PERSONALITA’. ANCHE L’ESSERE DONNA O MADRE E’ UN ASPETTO DELLA TUA PERSONA NELLA SUA COMPLESSITA’. ED E’ QUESTA TUA PERSONALITA’ NELLA SUA INTEREZZA A ESSERE TOCCATA DALLA SCELTA DELLA MATERNITA’, POICHE’ LA MATERNITA’ E’ ISCRITTA NEL TUO CORPO COME POTENZIALE BIOLOGICO, GENETICO. A QUESTO POTENZIALE TI DEVI RIFERIRE CON LA TUA SOGGETTIVITA’. ESSO VERRA’ ATTIVATO SOLO IN BASE A UNA TUA DECISIONE, CONSCIA O INCONSCIA CHE SIA” (Verena Schmid).

La maternità non è più necessariamente il destino di una donna, che ora può scegliere se essere madre o no, e come e quando esserlo. La libertà sessuale ha aperto spazi completamente nuovi alle donne ed è la premessa per una vera libertà di scelta nella gestione della propria maternità. Questa scelta è spesso e volentieri segnata da molte ambivalenze, la donna è combattuta tra la paura e la gioia. Alcune paure sono fisiologiche e insite nel grande processo di cambiamento qual è la maternità, altre invece sono alimentate dalla nostra cultura che interpreta la maternità come sacrificio, piuttosto che come realizzazione. Il nostro stile di vita di stampo egocentrico e materialista esalta l’individualità, la nostra maturazione avviene più tardi, probabilmente come risultato dell’iperprotezione familiare. Queste condizioni non facilitano l’apertura e lo scambio con un’eventuale partner e ciò induce a rimandare la gravidanza il più possibile. 

NELLA COPPIA SI CREA UNA CONDIZIONE FAVOREVOLE AL CONCEPIMENTO QUANDO OGNUNO SI APRE ALL’ALTRO. MA PER FARE UN BAMBINO NON BASTA SEMPLICEMENTE CHE LO SPERMATOZOO INCONTRI L’OVULO, MA ANCHE IL BAMBINO STESSO DEVE PARTECIPARE. C’E’ IL PROGETTO DEI GENITORI, MA ANCHE QUELLO DEL FIGLIO CHE DECIDE DI VENIRE AL MONDO.

E’ fondamentale, perché il progetto nascita si realizzi, sostenere la maternità, sia prima che dopo il parto. Secondo Laura Gutman sostenere la maternità significa facilitare la fusione mamma-neonato. Nel suo libro “Maternità tra estasi e inquietudine”, la scrittrice afferma infatti, che il bambino esiste nella fusione con la madre, ma così è anche il contrario, cioè la madre sperimenta uno sdoppiamento del campo emozionale, poiché la sua anima si manifesta sia nel suo corpo, sia in quello del neonato. E affinché una madre sia in condizione di immergersi in questa fusione, ha bisogno di spogliarsi di tutte le preoccupazioni quotidiane e materiali. Deve poter delegare le faccende che non sono imprenscindibili per la sopravvivenza del piccolo, ovvero tutto ciò che non riguarda allattare, cullare, calmare e curare il neonato. Sostenere la maternità vuol dire difendere la mamma dal contatto con il mondo esterno, che la “perseguita” con consigli, critiche e sermoni su quello che “bisogna fare”. Vuol dire, anche, permettere alla mamma di esplorare la sua ombra, i suoi conflitti interiori, vivendo con libertà e intimità l’esperienza dell’affioramento della sua madre interiore. In ultimo, sostenere la maternità, significa accettare la mamma per quello che è, senza mettere in discussione il suo operato o le sue intuizioni sottili. Questo aiuto deve essere dato principalmente dal partner, il cui ruolo deve appunto essere quello di sostegno emozionale, ma poi deve essere anche fornito dalla famiglia, dalla società e dalle istituzioni. L’attenzione sulle mamme da parte della società dovrebbe essere prioritaria. E’ impossibile garantire serenità, sviluppo e salute al bambino, se la mamma dietro di lui non sta bene. L’idealizzazione della maternità ha creato molti problemi alle donne e ovviamente anche alle famiglie, creando pregiudizi e aspettative nocive, che dipingono la mamma come una santa votata al sacrificio. E’ necessario, dunque, cambiare questa mentalità in favore di una visione più realistica e soprattuto più umana, tenendo presente che più la mamma si sentirà capita, ascoltata, sostenuta e accolta durante il suo percorso di madre, più lei potrà prendersi cura di suo figlio.

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silvia c. silvia c.

Bebè a Costo Zero. Giorgia Cozza

I bisogni del neonato sono molto semplici. Non è necessario comprare nulla anzitempo, piuttosto accogliete il vostro bimbo con amore, imparate a conoscerlo e sarà lui a dirvi ciò di cui ha veramente bisogno.

Penso che questo libro sia una buona guida per i genitori, sopratutto per quelli che sono in attesa del loro primo figlio. La paura di non essere bravi abbastanza e l’inesperienza spesso portano mamma e papà a credere che sia necessario comprare di tutto, per poter soddisfare in modo adeguato le richieste del proprio bambino, anche se in realtà non è affatto così. La pubblicità e l’industria del settore marciano su queste insicurezze, promuovendo uno stile di accudimento a basso contatto fisico, ma ricco di gadget e surrogati materni.

IL MODELLO DI ACCUDIMENTO A BASSO CONTATTO E’ MOLTO DIFFUSO NELLE SOCIETA’ INDUSTRIALIZZATE E HA COME OBIETTIVO QUELLO DI INSEGNARE PRECOCEMENTE AI BAMBINI AD ESSERE INDIPENDENTI DAI GENITORI DAL PUNTO DI VISTA EMOTIVO.

Diciamo che i modi in cui vengono vissuti la gravidanza, la relazione genitore-figlio, l’allattamento, l’accudimento e il soddisfacimento dei bisogni del bambino permettono di distinguere due tipi di pratiche di maternage, quelle ad alto contatto e quelle a basso contatto. Quest’ultime, come ho già detto, spingono il piccolo a raggiungere il prima possibile una certa indipendenza, promuovendo il distacco e la separazione dai genitori, per paura che lo stretto contatto fisico renda il bambino viziato e troppo dipendente dagli adulti. Questo accade perché nella nostra cultura il bambino bravo è quello che in pratica non rompe, mangia quando glielo dici tu, dorme tutta la notte, non frigna e sopratutto non ti sta sempre addosso impedendoti di fare le tue cose. Sempre secondo questo modello, la gravidanza e il parto sono molto medicalizzati, viene preferita un’alimentazione artificiale, condotta secondo rigidi schemi ed orari, il bambino è spesso lasciato in posizione orizzontale, utilizzando diversi supporti come passeggini, sdraiette, box o altri contenitori che in qualche modo sostituiscano l’abbraccio materno. La relazione mamma-bambino è basata prevalentemente sullo sguardo e sull’espressione verbale. Al contrario il modello di accudimento ad alto contatto è caratterizzato da uno stretto rapporto fisico tra madre e figlio. Il pensiero alla base di questo modello è che più viene assecondata questa richiesta di presenza e vicinanza nelle prime fasi dello sviluppo, più il bambino sarà autonomo e self-confident da grande. Per cui, l’unica cosa che serve veramente al piccolino è il corpo della mamma, che lo abbraccia, che lo nutre, che lo scalda, che lo contiene, che lo calma e lo protegge. L’autrice a tal proposito menziona il pediatra spagnolo Carlos Gonzales, il quale spiega che questo bisogno di contatto non è un vizio del neonato, bensì un istinto di sopravvivenza tipico di ogni essere umano. Basta pensare che il bambino per 9 mesi è stato contenuto nella pancia della mamma, perciò è ovvio che una volta uscito ricerchi in modo costante questo contatto con lei e solo con il tempo e le amorevoli cure dei genitori si abituerà alla vita extra-uterina. Partendo da queste premesse, cioè che a un bambino servono in realtà poche cose e che la cosa più importante di cui ha bisogno è il corpo della mamma, il libro fa un’analisi dei primi anni da genitore, offrendo una serie di consigli pratici per accudire il proprio bambino in modo consapevole, nel rispetto dell’ambiente e senza inutili sprechi di denaro.

COME RISPARMIARE IN GRAVIDANZA

Essendo la gravidanza molto medicalizzata, spesso la donna è sottoposta ad un eccessivo numero di visite ed esami. Le ecografie consigliabili dovrebbero essere non superiori a 3 e non è necessario consultare un ginecologo privato, anzi se si va nel pubblico è molto probabile che si conosceranno i medici e le ostetriche che poi si incontreranno al momento del parto. Inoltre durante l’attesa la mamma non deve fare nulla di particolare se non prendersi cura di sé e riposarsi, non è quindi necessaria nessuna preparazione del seno in vista dell’allattamento. Per quanto riguarda l’abbigliamento è consigliabile di non anticipare i tempi nell’acquisto e comprare di volta in volta soltanto uno o due capi, poiché non è possibile prevedere quale taglia servirà verso il termine della gravidanza. Non occorre acquistare la biancheria in negozi specializzati, vanno benissimo top o reggiseni sportivi, sconsigliate invece guaine e pancere.

COME RISPARMIARE SULL’ALIMENTAZIONE

Ideale per le esigenze del bambino è sicuramente il latte materno. Infatti il latte umano è un alimento specie-specifico, con una composizione disegnata dalla natura per meglio rispondere alle esigenze biologiche e psicologiche del piccolo dell’uomo. In più, con l’allattamento al seno si evitano tutte le spese per l’acquisto di biberon, tettarelle, sterilizzatori e confezioni di latte artificiale, che alla fine incidono notevolmente sul reddito familiare. Solo in determinati casi il latte in formula dovrebbe essere prescritto, perché solo una piccola percentuale di donne soffre di certe condizioni fisiopatologiche che rendono l’allattamento impossibile. Quando il bambino non riesce ad alimentarsi bene è importante capire subito quali possano essere le cause, spesso il problema è semplicemente un attacco sbagliato. E’ altrettanto importante consultare sempre il pediatra quando si tratta di integrare il latte materno. I liquidi aggiuntivi come tisane e camomilla sono da evitare, in particolar modo nel periodo che va dalle 4 alle 6 settimane dopo il parto, cioè quando il neonato apprende l’arte del poppare. In questa fase il seno deve imparare a calibrarsi e a produrre la giusta quantità di latte, mentre il neonato deve imparare ad attaccarsi e a succhiare in modo efficace. A tal proposito, l’uso del ciuccio e del biberon nelle prime settimane di vita può interferire negativamente con la riuscita dell’allattamento al seno, infatti succhiare da una tettarella di gomma è molto meno faticoso e questo può far perdere la voglia al neonato di succhiare al seno. La cosa migliore da fare è quella di praticare un allattamento esclusivo a richiesta almeno fino ai sei mesi, dopo i 6 mesi si può iniziare con lo svezzamento, sempre proseguendo con  l’allattamento per tutto il primo anno di vita e oltre se si vuole. Lo svezzamento va fatto in modo graduale, ciò significa introdurre un nuovo alimento alla volta e attendere alcuni giorni prima di proporne un altro. Si inizia con frutta di stagione, verdure cotte al vapore e poi schiacciate, creme di cereali e pastina. Le pappe pronte, gli omogeneizzati, le farine precotte seppur pratici costano e non sono il pasto ideale per il bambino, poiché sono cibi lavorati industrialmente.

COME RISPARMIARE SULL’IGIENE DEL BAMBINO

Nei primi mesi di vita non servono detergenti perché il bambino non è sporco. Il bagnetto è più che altro un momento di relax ed eventualmente la soluzione più economica e meno aggressiva per lavarlo è usare dell’amido di riso. Passati i primi mesi si può tranquillamente adoperare una saponetta, che oltre che economica è pure ecologica. Per la vasca vanno bene una vaschetta di plastica  per i panni dotata di manici o anche il lavandino del bagno. Per l’igiene intima, invece, è ormai abitudine usare le salviettine umidificate, che in realtà dovrebbero essere usate principalmente nelle situazioni di emergenza, a casa si possono utilizzare tranquillamente delle pezzuoline in stoffa bagnate o del cotone. Un discorso a parte meritano i pannolini. I pannolini non solo impattano sul nostro portafoglio, ma anche sull’ambiente. Possibili soluzioni possono essere i pannolini biodegradabili oppure i pannolini in stoffa lavabili. In ultimo, un buon consiglio dell’autrice riguardo l’abbigliamento è quello di limitare il numero degli acquisti, soprattutto nel primo anno, visto che i bambini in questa fase crescono molto rapidamente.

COME RISPARMIARE SULL’ARREDAMENTO DELLA CASA

Arredare la cameretta quando ancora il bambino è molto piccolo o addirittura prima che nasca, può rivelarsi prematuro. Infatti, nella maggior parte dei casi il bambino dorme con i genitori e durante il giorno comunque non può essere lasciato solo ed è sempre con la mamma o con il papà. La scelta del co-sleeping è molto personale, però possiamo dire che favorisce l’allattamento materno, grazie alla vicinanza tra mamma e bambino e favorisce il riposo familiare. Fino ai 4-5 anni, i ritmi dei bambini sono molto diversi da quelli degli adulti e questo può creare delle difficoltà ai genitori, nonostante ciò è importante capire che i risvegli notturni dei piccoli, seppur stressanti, sono del tutto fisiologici. Per quanto concerne la gestione diurna del bambino è meglio evitare i famosi “contenitori” come box, girelli e sdraiette. Il bambino ha bisogno di potersi muovere, esercitando così la sua muscolatura e sperimentare sia le proprie potenzialità sia i propri limiti. L’unico accorgimento quando il bambino comincia a spostarsi è quello di creare un ambiente sicuro, eliminando oggetti e situazioni potenzialmente pericolosi. Un’altro accessorio non indispensabile è il fasciatoio, per cambiare il bambino si può tranquillamente usare una cerata ed un asciugamano da disporre sopra il letto.

IL BEBE’ A SPASSO

Il primo accessorio che viene in mente per il trasporto del bambino è la carrozzina, che è un accessorio che viene usato solo nei primissimi mesi, a differenza del passeggino che può essere usato per più tempo. Per questo motivo potrebbe essere una soluzione il noleggio o il riciclo. Anche per chi è un po’ restio, noleggiare o riciclare una carrozzina è sicuramente conveniente e spesso si tratta di oggetti quasi nuovi, perché appunto sono stati usati per poco tempo. Ultimamente è stata riscoperta l’arte del portare. L’arte del portare non riguarda solo il portar fuori a spasso il bambino, ma spesso i genitori portano i bambini anche a casa ed è un bel modo per mantenere il contatto e la vicinanza con il proprio cucciolo, pur godendo di una totale libertà di movimento. Il supporto più conosciuto è il marsupio, poi c’è la fascia e il mei tai e mentre per le mamme che vivono nei Paesi in via di sviluppo l’utilizzo di questi accessori è la normalità, per noi invece non lo è e per questo motivo esistono diversi corsi specifici per imparare a “portare i piccoli”.

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silvia c. silvia c.

Il Pianto del Neonato

Tutti i bambini piangono, soprattutto nelle prime settimane di vita. Piangere, per loro, è l’unico modo per poter attirare l’attenzione dei genitori e soddisfare così i loro propri bisogni.

In generale il pianto significa che il neonato non è a suo agio, ma nelle prime settimane di vita, esso non sempre indica che c’è qualcosa che non va. Le ricerche hanno dimostrato che molti neonati piangono perché si stanno sviluppando, ossia perché non si sono ancora adattati alla vita fuori dell’utero o perché qualche aspetto del loro sviluppo neurofisiologico straordinariamente rapido e complesso li mette in tensione e li rende irrequieti. Le cause più comuni di pianto sono:

LA FAME 

E’ il motivo più comune del pianto di un neonato e anche il più facile da risolvere. Il pianto di un piccolo affamato avviene a esplosioni brevi e regolari. E’ un pianto insistente, mediamente acuto, il bambino tenta di portarsi la mano alla bocca oppure ruota il capo in cerca del seno. Il neonato si calma appena riesce a ciucciare qualcosa, che sia il ciuccio o il dito, per poi, però, ricominciare appena si accorge che non è il latte. Perciò quando il bambino ha fame non c’è altro rimedio che il latte per calmarlo. E’ importante sapere che il pianto è l’ultimo dei segnali di fame e che la mamma non dovrebbe arrivare a questo punto per dargli da mangiare. In queste condizioni: stanco, affamato, stressato diventa difficile per lui poppare in modo efficace. Da ricordare, inoltre, che durante gli scatti di crescita, i bambini richiedono poppate più frequenti per alcuni giorni. Queste fasi solitamente si verificano intorno alle 2 settimane, alle 6 settimane ed ai 3/4 mesi del bambino.

LA STANCHEZZA E IL SONNO

Il pianto per stanchezza inizialmente è flebile, come un lamento, per poi intensificarsi fino a trasformarsi in un pianto di forte spossatezza. Il bambino sbadiglia, scalcia come se non trovasse una posizione per addormentarsi e si sfrega gli occhi. In questo caso il neonato più essere cullato in un ambiente tranquillo, magari canticchiandogli sottovoce una canzoncina per farlo addormentare.

IL PANNOLINO SPORCO

Il pannolino sporco e bagnato dà fastidio al neonato, che appunto esprime il suo disagio piangendo.

STIMOLI TROPPO FORTI / FREDDO E CALDO

Rumori improvvisi, l’accendersi inaspettato di una luce abbagliante, mani fredde, acqua troppo calda, solletico, vento, sballottamenti sono tutte cose che possono turbare il neonato. Gli spostamenti repentini, soprattutto se danno al bambino la sensazione di cadere, provocano facilmente spavento. Il fatto che uno stimolo sia troppo forte dipende molto dall’umore e dallo stato d’animo del bambino. Quello che gli procura piacere quando è sveglio, allegro e ben nutrito, potrebbe farlo piangere quando ha sonno, è nervoso o ha fame. E’ contento se lo fate giocare o muovere quando desidera la compagnia degli altri, ma se lo fate per distrarlo quando non ne ha voglia, potreste portarlo a uno stato di vera disperazione.

TROVARSI SVESTITO

La nudità, la mancanza del contatto del tessuto sulla pelle può infastidire il bambino che si calmerà solo dopo essere stato coperto.

LA MANCANZA DI CONTATTO FISICO

Il neonato che smette di piangere quando lo si prende in braccio e ricomincia quando lo si mette nella culla, piange per la mancanza di contatto, cioè di quel benessere che gli viene dalla vicinanza fisica. E’ un bisogno che viene spesso frainteso. Ai genitori la richiesta del piccolo può sembrare irragionevole, quasi un capriccio e spesso non vogliono cedere ad abbracciarlo semplicemente per paura di viziarlo. In realtà è naturale ed istintivo che un neonato si senta meglio in braccio a qualcuno e che soffra quando invece viene privato del conforto del contatto fisico. Il pianto del bimbo che vuol essere preso in braccio o che vuole essere spostato o cambiato di posizione è una specie di lamento continuo, intervallato da pause che sembrano delle attese per vedere se la madre ha captato la richiesta. In questo caso possono essere usati marsupi o fasce per poter favorire così il contatto fisico.

LA NOIA 

Sì, anche i piccolini si annoiano. Questo tipo di pianto è solitamente poco vigoroso è può essere facilmente calmato con la voce di mamma o papà. Ai neonati non piace la solitudine e vogliono essere stimolati, per questo si possono offrire degli oggetti, dei giocattoli da manipolare, anche se nessun oggetto può sostituire le persone. Per questo dopo un po’ il bambino si stanca e piange perché vuole giocare con i genitori.

DOLORE / MALATTIA

Il pianto causato dal dolore è un urlo intenso, con una fase di apnea seguita da altre urla acute. Il neonato non smette quando viene consolato o preso in braccio. E’ inconsolabile, non reagisce a nessuna vostra iniziativa. E’ importante capire se si tratta di un semplice disturbo viscerale o di qualche malattia, per questo bisogna prestare particolare attenzione alle condizioni del bambino: colorito, temperatura, difficoltà ad alimentarsi, sonnolenza. In questo caso potrebbe essere necessario sentire il pediatra.

LA COLICA

C’è un tipo di pianto molto comune che i genitori non riescono a consolare ed è il pianto da colica. In questi casi il pianto si ripete per lo più agli stessi orari, cioè tardo pomeriggio-sera ed riconoscibile perché: è incessante, inconsolabile, accompagnato da agitazione motoria, il bambino piega le gambine sull’addome e inarca la schiena. Un rimedio può essere quello di massaggiare il pancino in maniera delicata, tenendo il piccolo appoggiato in posizione prona sull'avambraccio e di mettere in atto dei movimenti ripetitivi, come per cullarlo. Il medico potrebbe prescrivere delle gocce antispastiche da somministrare al bambino prima dei pasti oppure potrebbe consigliare alla mamma di cambiare tipo di latte, se sta allattando artificialmente. Ad ogni modo, le coliche sono passeggere e questo tipo di pianto che ha la sua massima espressione nel secondo mese, sparisce da solo entro il terzo/quarto mese di vita.

IL TEMPERAMENTO DEL NEONATO

Il tipo e la durata del pianto possono essere influenzati dal carattere del neonato, perciò un bambino molto sensibile può piangere anche quando viene semplicemente toccato. Quindi è importante conoscere il proprio figlio, ascoltarlo, cogliere il suo temperamento per prevenire possibili fastidi. 

RABBIA E FRUSTRAZIONE

Soprattutto verso i 6 mesi, i bambini si frustrano perché vorrebbero fare delle cose, compiere dei movimenti, ma non sono ancora capaci di farlo. Se vogliono prendere un oggetto e non ci riescono, se vogliono fare qualcosa e sbagliano possono scoppiare in un pianto violento, o un grido, per rabbia o per richiedere aiuto a svolgere un compito.

LA PAURA DEGLI ESTRANEI

Questa paura di solito compare intorno gli 8 mesi, il piccolo ha paura delle persone sconosciute, ma anche dei posti nuovi, dei cambiamenti in generale (anche nella loro routine quotidiana/imprevisti) e manifesta tutto il suo disappunto piangendo.

ANSIA DA SEPARAZIONE

Nella seconda metà del primo anno di vita compare l’ansia da separazione, perciò molti momenti di pianto si verificheranno quando il genitore affiderà il bambino alle cure di qualcun altro. 

PAURA DELL’ABBANDONO

Il pianto scatenato dalla paura dell’abbandono è un pianto molto forte, improvviso, specie nei primi mesi di vita. In genere si manifesta quando il neonato si sveglia nella notte e non trova la mamma accanto a sé. Nella maggior parte dei casi questo pianto si risolve prendendo il neonato in braccio, meglio se immediatamente. Questo pianto è del tutto istintivo, è un meccanismo di sopravvivenza che i cuccioli di mammifero hanno da sempre adottato per richiamare la mamma ed evitare di essere prede facili.

IL PIANTO DEL NEONATO GENERA NEI GENITORI NERVOSISMO, ANSIA ED IMPOTENZA.

E spesso capita che più il bambino piange, più il genitore si agita. Molti genitori non riescono proprio a reggere il pianto del loro piccolo. Invece, è importante mantenere la calma e cercare di capire qual è la causa che ha scatenato la crisi e quindi trovare un’eventuale soluzione. Per questo motivo, è necessario attendere alcuni istanti prima di intervenire, senza “tamponare”, ad es. offrendo immediatamente il ciuccio ancor prima di aver capito quali sono le sue richieste. Il pianto non è un modo per dar fastidio ai genitori, ma è l’unico mezzo con cui il neonato può comunicare. Iniziate facendogli una carezza alla testa o ai piedini per rassicurarlo, a volte si calma già al primo contatto, se invece continua a piangere prendetelo in braccio, perché spesso la sua è una richiesta di vicinanza fisica. Quando si tratta di un pianto causato da un bisogno specifico, bisogna scoprire di cosa si tratta: un bambino stanco ha bisogno di essere cullato, un bimbo che ha fame ha bisogno di mangiare e nient’altro riuscirà a calmarlo. Per individuare la causa, si possono usare diversi indizi come l’ora dell’ultima poppata, dell’ultimo sonnellino o dell’ultimo cambio del pannolino. Il pianto dipende anche dall’immaturità del sistema nervoso, gli sfoghi di fine giornata sono modi per alleggerire il sistema nervoso e evitarne il sovraccarico. Man mano che il bambino cresce e il suo cervello si sviluppa le crisi di pianto diminuiscono, già dopo la fine del primo trimestre si può notare un primo cambiamento. Mentre appena nato sembra che tutto lo infastidisca, verso i 6 mesi il pianto si regolarizza. Se il lattante piange, lo fa per un motivo specifico, è la reazione a qualcosa che è accaduto o si tratta di un sentimento ben preciso. Il piccolo è ormai in grado di far fronte ai normali avvenimenti, riesce a tener testa con maggior energia alla confusione della vita quotidiana, i rumori improvvisi e i movimenti bruschi che di solito lo facevano sussultare ora lo fanno ridere. Semplici rimedi che possono aiutare a calmare il neonato:

  • creare un ambiente sereno, evitando stimoli come luce e rumori forti e facendo attenzione alle temperature;

  • abbracciare il bambino il più possibile, favorire il contatto pelle a pelle, anche quando non lo richiede (usare fascia/marsupio);

  • cantare una canzoncina, rassicurarlo verbalmente;

  • cullarlo con movimenti ritmici, camminare, dondolarlo; 

  • fare qualche delicato massaggio al pancino;

  • proporre un bagnetto caldo;

  • fare un giro in macchina;

  • farlo guardare allo specchio, molti bambini si divertono guardando la loro faccia riflessa;

  • distrarlo con oggetti, giochi;

  • fasciare il bambino. Lo scopo è quello di dare al bambino un senso di benessere e di calore avvolgendolo con qualcosa di caldo e soffice che gli impedisca di essere disturbato dai suoi stessi piccoli movimenti e sobbalzi; il piccolo viene racchiuso completamente in modo che le braccia e le gambe siano tenute nella sua posizione preferita e che il bambino si muova tutto insieme come se fosse un fagottino, uno scialle o una copertina andrà bene d’inverno, mentre d’estate un lenzuolino di flanella di cotone;

  • dargli il ciuccio, come ultima risorsa, da usarsi solo quando avete provato tutto il resto.

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silvia c. silvia c.

I Rituali della Nanna

Per il bambino imparare a dormire è parte del processo che lo porterà a diventare autonomo.

Il sonno del bambino richiede tempo per autoregolarsi. I ritmi sonno-veglia vengono plasmati molto dal suo temperamento e in parte anche dal contesto familiare in cui egli vive. Ad ogni modo, il bambino molto piccolo dormirà esattamente il numero di ore di cui ha bisogno, interpretare il suo rifiuto di dormire tutta la notte come segno di una maleducazione precoce è sbagliato. Ovviamente, i primissimi mesi sono i più duri affinché si realizzi un adattamento fra la vita dei genitori e quella del bambino. Il neonato tende a passare dalla veglia al sonno così impercettibilmente che è difficile stabilire se in un dato momento dorme o è sveglio. Secondo la psicologa Penelope Leach per i genitori sarebbe bene aiutare il bambino a differenziare la veglia dal sonno fin da subito. Per esempio, se lui ha bisogno di dormire, invece di lasciare che si assopisca in braccio a qualcuno, è meglio metterlo a letto, mentre è bene “tenerlo alzato” quando è sveglio. Se lo mettete sempre nella carrozzina o nella culla quando ha sonno, farà ben presto un’associazione fra queste situazioni e il sonno. E se lo fate partecipare a qualunque compagnia sia disponibile quando è sveglio, sarà in grado di associare la compagnia allo stato di veglia. 

I NEONATI HANNO LA CAPACITA’ DI MANTENERE ATTIVAMENTE LO STATO DI ATTENZIONE E GLI STATI DI ESCLUSIONE DEGLI STIMOLI CORRISPONDENTI AL SONNO E AL PIANTO.

Il piccolo sfrutta tutte le sue risorse, i movimenti del corpo, la frequenza cardiaca e respiratoria, nel tentativo di limitare le interruzioni di questi stati. Per mantenere l’equilibrio del proprio sistema nervoso ancora immaturo, il neonato cerca di non farsi sopraffare dagli stimoli. Ben presto, dopo la nascita il bambino impara a passare dal sonno alla veglia, e poi di nuovo al sonno, per proteggersi da un’eccessiva stimolazione o, a seconda dei casi, per trovare gli stimoli di cui ha bisogno. Si realizza, quindi, un equilibrio fra gli stati di sonno e quelli di veglia. La capacità di addormentarsi è più probabile nei bambini che riescono a escludere gli elementi di disturbo provenienti dall’esterno e sono in grado di calmarsi portandosi la mano alla bocca e succhiandosi il pollice. Questi bambini, sfruttando le proprie capacità di calmarsi da sé e di essere calmati, riescono ad adattarsi facilmente. Un bambino con un temperamento molto attivo ed eccitabile potrebbe invece essere difficile da calmare, anzi potrebbe irritarsi facilmente. Brazelton, nel suo libro “Il tuo bambino e il sonno” illustra alcuni accorgimenti per aiutare un bambino a calmarsi:

  • aumentare la frequenza delle poppate;

  • creare un ambiente rilassante evitando stimoli eccessivi;

  • fasciare con una coperta metà del corpo del bambino, la metà inferiore;

  • aiutare il bambino a trovare il pollice o il pugno per insegnargli a compiere il movimento di portarsi la mano alla bocca;

  • dare il ciuccio; 

  • abbracciare il bambino e cullarlo;

  • cantare o parlare sottovoce;

  • camminare tenendo il bimbo vicino al petto.

E’ IMPORTANTE ACCETTARE IL FATTO CHE I NEONATI SI SVEGLIANO DI NOTTE E CIO’ NON E’ UN CAPRICCIO NE’ UN ERRORE DI GESTIONE DEI GENITORI.

Infatti, che si tratti del sonnellino pomeridiano o del riposo notturno, difficilmente un bambino (anche grandicello) andrà a dormire senza opporre resistenza. Quanto più il bambino è stanco, tanto maggiore è la probabilità che sia disorientato e che si opponga energicamente ai tentativi dei genitori di farlo dormire, per questo motivo è meglio non aspettare che sia esausto per metterlo a letto. Secondo il pediatra Brazelton, dopo i 4 mesi, cioè quando il ritmo del sonno diventa più prevedibile, è il momento di cominciare a creare dei rituali per calmare il bambino e metterlo nel lettino quando è ancora sveglio. In questo modo il bambino può imparare ad addormentarsi in modo autonomo e sarà preparato, durante i brevi risvegli notturni, a rimettersi a dormire senza l’aiuto dei genitori. La sequenza ideale prevede:

  • leggere al bambino un libricino semplice, indicandogli le figure;

  • fargli il solletico ai piedini, dargli dei buffetti sulla guancia e accarezzargli i capelli;

  • allattare il bambino o dargli il biberon, tenendolo in braccio;

  • cullare il piccolino cantandogli dolcemente una ninnananna, eventualmente seduti su di una sedia a dondolo o anche su una poltroncina;

  • mettere il bambino nel suo lettino prima che si addormenti;

  • sedersi vicino a lui, toccandolo dolcemente e una volta che il suo sonno diventa più profondo si può uscire dalla stanza.

Con il passare dei mesi, i preparativi per il passaggio dalla veglia al sonno dovrebbero già cominciare nelle prime ore della sera. A una certa ora, è quindi preferibile evitare giochi troppo turbolenti o eccitanti e creare un’atmosfera tranquilla, si può fare un bagnetto rilassante, mettere già il pigiamino e dopo che ha mangiato iniziare con il rituale della buonanotte di Brazelton. Sarebbe meglio evitare di far addormentare il bambino sul divano o nel lettone per poi spostarlo nel suo lettino, questo spostamento potrebbe confonderlo: svegliandosi di notte in un luogo diverso da quello in cui si è addormentato, il bambino potrebbe sentirsi spaesato e spaventato, rendendo così più difficile il riaddormentamento. Aiutare il bambino a imparare ad addormentarsi non significa lasciarlo piangere finché non gli passa. Tuttavia, se quando la mamma va da lui per calmarlo e vede che sta bene ed è asciutto e pulito, non è necessario prenderlo in braccio: è sufficiente sedersi vicino a lui, dargli dei buffetti affettuosi e canticchiare un po’ per rassicurarlo e confortarlo. Quando il bambino si rasserena ed il suo corpo diventa più rilassato e il suo respiro più profondo e regolare, il genitore può intervenire sempre di meno, smettendo quindi di accarezzarlo e di cantare e poi, al momento giusto, sgattaiolare fuori dalla stanza.

PER QUANTO POSSA SEMBRARE STRANO, UN BAMBINO RIPOSATO SOLITAMENTE HA PIU’ FACILITA’ NELL’ADDORMENTARSI RISPETTO AD UN BAMBINO STANCO.

Molti genitori tentano di mantenere sveglio il bambino durante il giorno, nella speranza che quando arrivi sera, lui sia talmente stanco da addormentarsi subito e dormire beato per tutta la notte. In realtà, questo espediente produce effetti contrari, pertanto è bene, finché il bambino è piccolo, fare almeno un paio di sonnellini diurni. Eventualmente, la mamma può approfittarne e fare anche lei un pisolino assieme a suo figlio, perché come dice Penelope Leach, non è necessario concentrare tutte le proprie attività quando non c’è il bambino, ma si può imparare a farle anche quando c’è lui. E’ chiaro, inoltre, che più il bimbo passerà del tempo con mamma e papà durante il giorno, più sarà appagato sotto questo punto di vista e meno soffrirà il “distacco” dovuto all’addormentamento.

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silvia c. silvia c.

I Problemi del Sonno

I neonati, in genere, si adattano a un ritmo di sonno-veglia tra i 4 e i 6 mesi. I problemi del sonno dopo questa età possono essere di vario tipo e sono connessi al temperamento del bambino, ai suoi ritmi biologici, alla relazione bambino-genitori e alle aspettative di quest’ultimi.

I problemi dopo i 6 mesi comprendono:

  • difficoltà ad addormentarsi di notte;

  • frequenti risvegli notturni;

  • sonnellini atipici diurni;

  • dipendenza dall’alimentazione o dall'essere tenuto in braccio.

E’ importante che i genitori capiscano che quando un bambino accetta di andare a dormire deve accettare anche di separarsi da mamma e papà, e spesso, pur di non farlo, quando viene messo a nanna, il bambino si dimena e comincia a piangere. Mentre, nei bambini più grandi, l’ansia da separazione, che emerge nel momento del sonno, può manifestarsi con paure specifiche, ad esempio la paura del buio. Molti bambini, per sopportare il momento della separazione, sviluppano delle abitudini autoconsolatorie come ad esempio quella di tenere con sé un oggetto di conforto (tipo un peluche, il ciuccio o una copertina) o come quella di succhiarsi il pollice. Ovviamente queste abitudini che il bambino sviluppa per trovare conforto dipendono da lui, mentre non è così quando riceve il conforto dagli adulti e in questo sta la forza, ma anche la debolezza dei sistemi di autoconsolazione. Sono positivi per il bambino perché sono una fonte di sicurezza indipendente e autonoma, ma possono anche essere negativi se il bambino dipende da essi a tal punto da rinchiudersi e non ricercare il conforto che gli proviene dagli adulti. Se il piccolo ricorre sempre a questi espedienti durante il giorno, quando la mamma è presente e il piccolo ha la possibilità di giocare, dimostra che potrebbe esserci qualche disagio e che lui non riceva abbastanza affetto. Il caso estremo è un bambino completamente ritirato in un suo mondo di dondolii ritmici: chiaro segno che egli non riesce ad avere un rapporto soddisfacente con le persone e che con le cose.

IL SONNO NOTTURNO E’ MOLTO CONDIZIONATO DALL’ANSIA DA SEPARAZIONE E DALL’ECCITAZIONE DOVUTA ALLA MOLTEPLICITA’ DI NUOVI STIMOLI CHE IL BAMBINO RICEVE DURANTE IL GIORNO.

Per questi motivi è normale notare un aumento dei risvegli notturni intorno ai 6 mesi, tuttavia esistono momenti particolari in cui l’incidenza dei risvegli notturni tra un ciclo di sonno e l’altro aumenta, in questo caso si parla di “sleep regression”. Tale fenomeno si manifesta maggiormente in certi momenti:

  • aumento dell’autonomia (il bambino inizia a gattonare o a camminare);

  • scatti di crescita;

  • ansia da separazione/paura dell’estraneo;

  • svezzamento;

  • primi dentini;

  • alimentazione scorretta (poco digeribile/eccessiva/scarsa);

  • inserimento all’asilo;

  • presenza di patologie;

  • arrivo fratellini/sorelline;

  • ripresa lavorativa della mamma;

  • cambiamento delle routine familiari/trasloco;

  • problemi familiari (frequenti litigi, separazioni…);

  • eccessiva assenza della mamma durante il giorno.

I risvegli notturni sono comuni a tutte le età, anche a noi adulti capita spesso di svegliarci durante la notte tra un ciclo di sonno e l’altro. Ai neonati e ai bambini ciò capita con maggiore frequenza e la loro difficoltà sta nel fatto che loro non sono abituati a riaddormentarsi da soli e perciò piangono e chiamano la mamma. Questo comportamento è del tutto normale, è un istinto.

I DISTURBI DEL SONNO PASSEGGERI RIENTRANO NELLA NORMALE MATURAZIONE DEL BAMBINO, IL QUALE HA BISOGNO CHE I GENITORI LO ACCOMPAGNINO NELLA SUA CRESCITA E LO AIUTINO A REGOLARSI E A RITROVARE LA CALMA NECESSARIA PER POTER DORMIRE.

Ovviamente gestire un bimbo insonne non è facile e le ripercussioni possono essere anche serie. Molti genitori lamentano stanchezza, astenia, depressione, umore altalenante e rabbia. Gli approcci per gestire il sonno variano con l'età del bambino e le circostanze. Man mano che vostro figlio imparerà a dormire, voi imparerete come reagire quando lo sentirete svegliarsi durante la notte: imparerete a capire se sarà necessario calmarlo, se potrete aspettarvi che si riaddormenti di lì a poco senza il vostro aiuto o se invece, ci sarà bisogno di un incoraggiamento da parte vostra, affinché il piccolo riesca a calmarsi da solo. Per prevenire e curare i disturbi del sonno la strategia è innanzitutto comportamentale, considerando che ad oggi non esistono farmaci approvati per l’insonnia in età pediatrica. Cosa possono fare i genitori:

  • preparare l’ambiente: luci soffuse, una lucina da notte nella cameretta, pochi rumori, temperatura adeguata;

  • creare un rituale positivo da iniziare già qualche ora prima di dormire: attività tranquille, bagnetto, lettura favola;

  • evitare l’abuso di apparecchi elettronici come tv e cellulari durante il giorno e evitare di utilizzarli nelle ore serali, prima della nanna;

  • fare cena ad un orario adeguato, seguire una dieta corretta facendo attenzione all’abuso di zuccheri;

  • incoraggiare l’attività fisica durante il giorno, per permettere al bambino di scaricare la sua energia;

  • parlare con il bambino, farsi raccontare la sua giornata in modo da rielaborare insieme gli eventi del giorno;

  • seguire, per quanto è possibile, un orario coerente per coricarsi;

  • mettere a letto il bambino assonnato, ma ancora sveglio.

UNO DEGLI EVENTI PIU’ TRAUMATICI CHE SI POSSA VERIFICARE DURANTE IL SONNO DEL BAMBINO E’ LA MORTE IN CULLA O SIDS.

Capita talvolta che un bambino apparentemente sano, di solito di età inferiore ai 6 mesi, muoia durante il sonno. Le morti in culla dovute alla sindrome di morte improvvisa infantile sono per definizione morti imprevedibili e rimangono inspiegabili. Poiché non se ne conosce la causa, i medici non sono in grado di dire ai genitori come prevenire questa tragedia. Probabilmente è il risultato di una concomitanza di circostanze e della loro interazione, piuttosto che di una causa singola. Sono, però, noti diversi fattori ambientali che possono aumentare il rischio di questa disgrazia:

  • dormire prono (a pancia in giù) piuttosto che sulla schiena;

  • madri fumatrici;

  • dormire nel letto con i genitori o con i fratellini;

  • dormire su materassi troppo soffici e sotto troppe coperte;

  • l'età della madre inferiore a 20 anni.

Per rendere più sicuro il sonno del bambino piccolo, i genitori possono mettere in pratica alcuni accorgimenti:

  • la posizione supina è più sicura di quella sul fianco, evitate di mettere il bambino a dormire sulla pancia;

  • la testa del bambino deve rimanere scoperta mentre dorme;

  • mettete a dormire il bambino con i piedi che toccano il fondo della culla o del lettino, in modo che non possa scivolare sotto le coperte;

  • accertatevi che non rimanga uno spazio tra il materasso e il bordo della culla in cui la testa del bambino possa incastrarsi; 

  • non mettere nella culla accessori troppo soffici come piumini e cuscini (i bambini entro i 12 mesi non necessitano di cuscino);

  • vestite il bambino secondo la temperatura della stanza, evitando temperature superiori ai 20 gradi;

  • non lasciare che il bambino dorma solo nel lettone dei genitori;

  • non farlo dormire su divani, cuscini imbottiti, trapunte e letti ad acqua;

  • utilizzare una base piatta e solida, come materasso per la culla o per il lettino coprendo il bambino soltanto con un lenzuolo senza nessun'altra biancheria da letto o coperta. I materassi morbidi, compresi quelli in memory foam possono creare delle tasche o delle incavature, pericolose perché aumentano il rischio di soffocamento;

  • tenere la culla o il lettino nella stessa camera in cui dormono i genitori fino all'anno di età offre una notevole protezione dalla morte in culla;

  • allattare al seno protegge dalla morte in culla;

  • offrire il ciuccio quando mettiamo a letto il piccolo per dormire riduce il rischio di morte in culla (per gli allattati al seno, offrire il ciuccio soltanto quando l'allattamento è ben avviato, in genere dopo il mese di vita); 

  • per evitare il rischio di strangolamento, il ciuccio non va appeso al collo e neppure agli indumenti del bambino.

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silvia c. silvia c.

Il Sonno del Neonato

Uno dei problemi che la nostra cultura crea ai neogenitori è la convinzione che il sonno infantile sia, o dovrebbe esser presto, uguale a quello adulto e ciò fa del “dormire tutta la notte” un traguardo fondamentale.

I bambini molto piccoli non seguono gli schemi di comportamento degli adulti in vari ambiti, quali l’alimentazione, le competenze motorie e il sonno diurno, quindi risulta logico che anche gli schemi del sonno notturni siano unici ed in evoluzione. Ciò è da imputare all’estrema immaturità del cervello e del sistema nervoso del piccolo d’uomo. I nostri cuccioli sono, infatti, i meno competenti e i più dipendenti dalle cure parentali tra tutte le specie. Inoltre, lo sviluppo cerebrale dei bambini non si esplica automaticamente nel tempo, ma dipende in maniera cruciale dal contesto in cui essi si trovano e dalle cure ricevute. Tale combinazione di natura e di accudimento sarà favorita se noi seguiamo i segnali dei nostri figli, che ci comunicano i loro bisogni evolutivi ad ogni tappa del nostro percorso di genitori.

IL SONNO E’ COSTITUITO DA CICLI, LA LUNGHEZZA E LA STRUTTURA DI QUESTI CICLI VARIA CON L’ETA’. UN NEONATO DORME ANCHE 15/20 ORE AL GIORNO, I SUOI CICLI PERO’ SONO MOLTO PIU’ BREVI RISPETTO A QUELLI DELL’ ADULTO E C’E’ UNA PREVALENZA DELLA FASE REM. 

Le fasi del sonno nei bambini sono sostanzialmente 6:

  • fase non REM -  il sonno è profondo;

  • fase REM - il sonno è attivo e leggero e il risveglio è estremamente facile;

  • veglia quieta - il neonato è tranquillo con gli occhi aperti;

  • fase di transizione - i genitori possono accorgersi che il bambino è entrato in questa fase osservando una minore attenzione e una diminuzione delle attività motorie e possono mettere in pratica alcuni accorgimenti per favorire l’addormentamento dei piccoli, tra cui, per esempio, abbassare le luci o leggere una storia;

  • veglia attiva - se il bimbo non riesce ad addormentarsi tranquillamente al termine della fase di transizione, può passare dalla veglia quieta alla veglia attiva, una fase durante la quale il piccolo mostra numerosi segnali di insofferenza e nervosismo e che può precedere il pianto;

  • pianto - è importante che i genitori siano consapevoli che un bambino che si addormenta sempre per sfinimento dopo un pianto a dirotto non è emotivamente sereno; di conseguenza, benché sia normale che un neonato pianga a volte prima di addormentarsi, è buona norma che chi si prende cura di lui attui una serie di strategie volte a prevenire il pianto, favorendo invece il rilassamento e un addormentamento più tranquillo e graduale. 

All’inizio il bambino non conosce la differenza fra giorno e notte, il suo ritmo sonno-veglia è indipendente dall’ambiente ed è regolato dai bisogni interni legati alla fame e alla sete, possiamo dire che mediamente il neonato si sveglia ogni 2/3 ore perché è affamato. A 3/4 settimane di vita il sonno e l’alimentazione seguono uno stesso ritmo: se si lascia che il piccino segua le sue inclinazioni, si sveglia quando ha fame e si addormenta quando è sazio. A circa sei settimane il rapporto fra l’alimentazione e il sonno comincia a diminuire. Il bambino tende ancora ad addormentarsi quando ha mangiato, ma comincia a svegliarsi prima di essere affamato, a volte semplicemente perché, per il momento, ha dormito abbastanza. Diventare una creatura diurna è un adattamento che richiede un po’ di tempo e che in genere si compie fra i 3/4 mesi, anche se esiste una notevole variabilità individuale. Dopo il secondo mese il bambino inizia pian piano ad acquisire il ritmo circadiano per il sonno, ma anche per altre funzioni come quella cardiocircolatoria, la respirazione, la temperatura corporea e la produzione di ormoni. Si iniziano a distinguere le fasi di addormentamento, il sonno è più profondo, i periodi di veglia cominciano a concentrarsi verso il tardo pomeriggio, spesso associati a una certa irrequietezza. Capita di frequente che i neonati facciano fatica ad addormentarsi di sera a causa delle coliche intestinali, che generalmente compaiono verso il tramonto. Questa sofferenza fisica rende il neonato particolarmente irritabile e nervoso. 

CRESCENDO IL BAMBINO DORMIRA’ SEMPRE MENO. LA QUANTITA’ TOTALE DI SONNO TRA I 4 E I 6 MESI MEDIAMENTE SCENDE A 12/14 ORE, PREVALENTEMENTE DISTRIBUITE NELLE ORE NOTTURNE

Tra i 6 e i 9 mesi, nella maggior parte dei casi, il bambino ha un ritmo sonno-veglia abbastanza definito. I pisolini quotidiani diventano 3 per poi scendere a 2. In questo periodo il piccolo è in una fase di esplorazione, infatti è molto più attivo e consapevole del mondo che lo circonda. L’eccitazione e la tensione lo tengono sveglio e lui stesso riesce a stare sveglio, perché non vuole separarsi dal mondo e dai genitori addormentandosi. Una volta che il bambino è capace di rimanere sveglio intenzionalmente, non si può più supporre che dorma se è stanco e che non sia stanco se non dorme, caso mai è vero il contrario, cioè che la tensione e l’agitazione gli impediscono di rilassarsi e addormentarsi. Inoltre, verso gli 8/9 mesi si verifica spesso un aumento dei risvegli notturni, tra le 21 e le 24 e tra le 3 e le 6, che in genere continua fino ai 2/3 anni. Questa difficoltà ad addormentarsi ed i ripetuti risvegli notturni sono associati ad una sempre maggiore presa di coscienza del mondo che lo circonda e allo sviluppo dell’ideazione fantastica, che comporta la comparsa di sogni e soprattutto di incubi. Durante questa fase evolutiva il bambino inizia a sviluppare una certa paura dell’estraneo, che corrisponde ad una forma di ansia da separazione dalla madre. Secondo la dottoressa Sarah Buckley, se capiamo che gli schemi di sonno del bambino sono antichissimi e che per la gran parte della storia dell’uomo madri e figli hanno vissuto nella natura selvaggia, allora possiamo capire la logica del sonno infantile. In tale contesto, condividere il sonno era una necessità per la sopravvivenza dei piccoli, che non solo assicurava loro protezione dai predatori, ma anche calore, facile accesso al seno, e sostegno al funzionamento e alla maturazione dei processi fisici in evoluzione, attraverso la regolazione reciproca. Quest’ultima fa riferimento alla reciproca influenza che madre e figlio hanno sulla rispettiva fisiologia e sui reciproci comportamenti, contribuendo a far loro raggiungere la piena funzionalità. Un esempio è la regolazione termica: quando un neonato viene posto a contatto di pelle con la madre, si verifica un aumento della temperatura senza che lei ne abbia consapevolezza. Quando un neonato viene lasciato da solo, ossia privo di contatto sensoriale con la figura di accudimento, il suo sistema nervoso darà segnale di pericolo di vita; il bambino è programmato per protestare attraverso il pianto, che rappresenta un segnale efficace per esortare accudimento e riavvicinamento. Ciò spiega perché i piccoli piangono quando si tenta di “metterli giù”. Separazioni prolungate dalla mamma provocano nel neonato un forte stress, per questo bisogna essere cauti sul sottoporre i nostri piccoli a metodi quali il “pianto controllato” e “a oltranza”, concepiti per farli dormire più a lungo. Questi sistemi non solo disturbano il bambino, ma non danno neanche risultati duraturi. Le necessità notturne dei nostri piccoli possono essere soddisfatte con maggiore facilità, così come è avvenuto per millenni, grazie a varie modalità di condivisione del sonno. 

IL TERMINE COSLEEPING SI RIFERISCE A QUALSIASI MODALITA’ DI SONNO IN CUI LA FIGURA DI ACCUDIMENTO E IL BAMBINO DORMANO VICINO, MA NON NECESSARIAMENTE SULLA MEDESIMA SUPERFICIE.

La condivisione del letto o semplicemente della camera è molto frequente, ma è anche soggetta ad opinioni contrastanti. Il pediatra Brazelton, nel suo libro “Il tuo bambino e il sonno” scrive: “nella nostra cultura l’autonomia viene enfatizzata come valore in misura molto maggiore che in numerose altre culture…Pretendiamo tanto dai membri più immaturi della nostra società affinché diventino al più presto indipendenti e intraprendenti come noi…Naturalmente, quando cominciano a far dormire il bambino insieme a loro, i genitori sono consapevoli del fatto che la separazione è solo posticipata e che diventerà necessaria in un momento successivo. Tuttavia, entro il secondo o il terzo anno di vita, il bambino avrà imparato a dipendere dalla presenza e dall’aiuto dei genitori per riaddormentarsi dopo i brevi risvegli notturni. I genitori devono soppesare i pro e i contro, e prendere una decisione che si adatti al proprio tipo di vita, alle tradizioni della propria cultura e ai bisogni specifici del loro bambino”.

LE MAMME CHE FANNO DORMIRE IL PROPRIO BAMBINO NEL LETTONE RACCONTANO DI COME CIO’ FACILITI L’ALLATTAMENTO AL SENO.

La combinazione di allattamento al seno e condivisione del letto è l’ideale per madre e bambino. Gli studi hanno dimostrato che le madri che dormono accanto al figlio allattano di più durante la notte e che il cosleeping rafforzi l’allattamento al seno, poiché risulta più semplice e meno stancante per la mamma. Fino ai 5/6 mesi di vita, il bambino reclama regolarmente la poppata notturna. Infatti, è proprio di notte che nell’organismo materno raggiunge i suoi picchi massimi la prolattina, cioè l’ormone responsabile della lattazione. Per questo motivo, potrebbe essere un’idea adottare il cosleeping almeno fino i primi 6 mesi e dopo decidere in base alle proprie convinzioni personali. Ogni diade mamma-bambino è unica, pertanto si può adottare qualsiasi modalità che permetta di soddisfare le esigenze di entrambi.

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silvia c. silvia c.

Cenni di Puericultura. Parte 2

Prendersi cura del bambino non vuol dire limitarsi a dargli da mangiare. Infatti il bambino, già delle primissime ore di vita, non ha solo bisogno del latte, ma anche di essere cambiato, lavato, cullato e consolato.

Attraverso l’esperienza di cura e accudimento dei suoi bisogni, il bambino acquista una prima consapevolezza del sé corporeo e crea con la sua mamma un profondo legame affettivo e mentale che favorirà in seguito il suo sviluppo psicoemotivo. 

IGIENE - IL PANNOLINO

L’igiene è una necessità non solo fisica, ma in qualche modo interessa il benessere psicologico del bambino, come dimostra il fatto che anche un piccolo di pochi mesi mostra soddisfazione quando viene cambiato e ritorna pulito e asciutto. Proprio questo piacere innato della pulizia è, insieme alla maturazione della muscolatura che consente il controllo degli sfinteri, la molla che permette al bambino di iniziare verso i 18 mesi a controllare i suoi stimoli. Come regola generale, il pannolino va cambiato ogni volta che è sporco e questo può accadere piuttosto di frequente. Questo perché i neonati mangiano ogni due o tre ore ed evacuano rapidamente. Il bambino allattato al seno, di solito, elimina feci abbondanti, spesso ad ogni pasto. Queste feci possono essere molli, gialle e grumose, mentre il bambino che prende il latte artificiale ha feci più consistenti e di colore più marrone. Inoltre, il neonato tende ad urinare con molta frequenza, sia perché il latte materno è composto in gran parte di acqua, sia perché il neonato è particolarmente sensibile al freddo e ciò lo fa urinare costantemente. Comunque, è buona abitudine controllare le condizioni del pannolino ogni 2 o 3 ore al massimo. In molti consigliano di cambiare il pannolino prima dei pasti, perché così si evita il rigurgito legato alla mobilizzazione e al maneggiamento del piccolo, però è vero anche che il neonato di solito si sporca durante o subito dopo la poppata. In pratica, se si cambia il pannolino in anticipo, potrebbe essere necessario cambiarlo di nuovo dopo la fine dell’alimentazione, mentre se viene cambiato dopo, il bambino potrebbe rigurgitare o essere disturbato mentre si addormenta. Quindi il cambio dipende più che altro dalle situazioni e dal comportamento del neonato. Raramente è necessario cambiare il pannolino durante la notte, a meno che questo non perda o il bambino non abbia fatto la cacca. Eventualmente, si può approfittare della poppata notturna per controllare lo stato del pannolino e, se necessario, sostituirlo. Esistono due tipi di pannolino, quelli usa e getta e quelli lavabili. Quest’ultimi sono più morbidi, sono meno costosi, sono riutilizzabili e lasciano traspirare la pelle, aiutando a guarire la dermatite da pannolino. Gli svantaggi sono che possono avere più facilmente delle perdite, che devono essere lavati e che sono scomodi per viaggiare. La scelta perciò dipende dalle esigenze del bambino e dei genitori. Ad ogni cambio sarebbe meglio sciacquare il sederino del bambino sotto acqua tiepida, oppure con un panno di spugna morbido bagnato. Soprattutto per le bambine, il lavaggio deve avvenire dalla vagina all’ano e non viceversa, per evitare possibili infezioni. Anzitutto, prima di procedere, è meglio preparare tutto l’occorrente:

  • una vaschetta che contenga acqua tiepida,

  • una spugnetta o dischetti di cotone (le salviettine usa e getta dovrebbero essere usate solo quando ci si trova fuori casa e non si ha acqua tiepida a disposizione),

  • un asciugamano,

  • i pannolini,

  • i vestitini, il body e le calzine  di ricambio,

  • una pasta protettiva all’ossido di zinco,

  • un sacchetto o un contenitore per gettare il pannolino usato,

  • un contenitore per i vestitini sporchi.

Fino a quando il genitore non si sente sicuro a maneggiare il neonato, conviene lavarlo sul fasciatoio utilizzando la spugnetta. Quando c’è una maggiore sicurezza, si può lavare il neonato direttamente sotto l’acqua corrente portata precedentemente ad una temperatura compresa fra i 35 e i 37 gradi, avendo l’accortezza di verificarne comunque la temperatura, facendola scorrere sul proprio gomito prima di lavare il bambino. 

  • Posare un pannolino pulito aperto al lato del neonato,

  • slacciare il pannolino ma non rimuoverlo, se le feci sono abbondanti può essere utile per eliminare l’eccesso,

  • pulire sempre da avanti all’indietro con cotone o spugnetta morbida imbevuta di acqua o detergente delicato,

  • mettere pannolino pulito, facendo attenzione che non sia né troppo stretto né troppo largo,

  • non lasciare mai, neppure per pochi istanti, il bambino incustodito.

ERITEMA DA PANNOLINO

Cambiare regolarmente il pannolino è importantissimo per evitare irritazioni e arrossamenti. L’eritema da pannolino è un’irritazione cutanea provocata dall’ammoniaca che si libera dalle feci e dalle urine e dall’umidità che si forma all’interno dell’involucro di plastica. Si manifesta inizialmente con un arrossamento diffuso, ma può degenerare in una dermatite con piaghe e croste dolorose. Sulla cute infiammata si può riprodurre un fungo, la Candida Albicans, in questo caso l’area di pelle interessata ha un colore rosso intenso, è scorticata ed è circondata da piccoli puntini rossi. Se c’è irritazione è necessario mantenere la pelle del bambino il più possibile asciutta e pulita. I lavaggi non devono essere troppo frequenti o vigorosi. E’ meglio non usare sapone, si possono però usare olii per bambini con un batuffolo di cotone. Il sederino va asciugato bene, senza sfregare troppo e il piccolo va lasciato senza pannolino per un po’, bisogna infatti lasciare la pelle all’aria per il maggior tempo possibile. In commercio ci sono moltissime creme e pomate che possono essere acquistate seguendo le prescrizioni del pediatra.

IL BAGNETTO

Nelle prime settimane di vita, il bambino può essere lavato a pezzi facendo attenzione al moncone ombelicale. Il bagnetto può essere fatto al bambino quando si vuole, se il bambino trova il bagnetto calmante lo si può fare di sera, mentre se lo trova energizzante è meglio farlo durante il giorno. Per prima cosa, quando si manipola un neonato bisogna tener presente che lui non è ancora in grado di sostenere la testa o di controllare i muscoli, inoltre il neonato tende sempre ad assumere una postura raccolta, rannicchiata e il suo corpicino si adegua in base alla posizione della testa, che in questa fase risulta essere grossa e pesante rispetto al resto del corpo. Quando viene preso, il bambino deve essere sostenuto tutto insieme, assicurandogli la massima stabilità. L’ambiente deve essere ben riscaldato, perché sebbene il bambino nato sano e a termine è in grado di produrre calore fin dai primi giorni di vita, non è altrettanto capace di conservarlo e neanche di disperderlo, perciò si può dire che il neonato è molto suscettibile al variare delle temperature. Inizialmente, per lavarlo si possono usare una vaschetta o il lavandino  riempiti con poca acqua, la cui temperatura non deve superare i 36 gradi. Il bambino va tenuto in posizione semisdraiata con la schiena appoggiata al braccio e l’impatto con l’acqua deve essere graduale. Se si osservano nella zona del collo, del dorso e del torace la presenza di numerosi puntini rossi potrebbe essere che si tratti di sudamina. Questa irritazione è dovuta al caldo, può svilupparsi in qualsiasi stagione dell’anno e può dare prurito. In questo caso il bambino va lavato con dell’amido di riso. 

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silvia c. silvia c.

Endocrinologia della Nascita

Una delle cose più importanti del parto è la secrezione di uno specifico cocktail di ormoni, di cui i principali sono la prolattina, le catecolamine, le endorfine, gli estrogeni, il progesterone e soprattutto l’ossitocina.

Gli ormoni sono delle molecole prodotte dalle ghiandole endocrine che vengono rilasciate nel sangue, dove svolgono la loro funzione di messaggeri chimici, cioè trasportano informazioni e istruzioni da un gruppo di cellule (tessuto) a un altro e hanno la proprietà sia di stimolare il funzionamento delle cellule di vari organi sia di regolare l'equilibrio di alcuni processi vitali, come appunto quello della riproduzione. Si può dire che la gravidanza altera la funzione della maggior parte delle ghiandole endocrine, soprattutto grazie alla placenta. Oltre ad assicurare gli scambi nutrizionali, metabolici e respiratori tra madre e feto, la placenta svolge nel corso della gravidanza un’importante ed intensa attività endocrina. Gli ormoni prodotti preparano la donna in vista del parto: l’ammorbidiscono, la rallentano, la aprono, la spingono verso l’abbandono, preparano l’utero al parto e cambiano il metabolismo materno a favore del bambino. Nello specifico questi ormoni sono:

GLI ESTROGENI

Sono i principali ormoni sessuali femminili e vengono prodotti principalmente dalle ovaie e anche dalla placenta. Hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella regolazione del sistema riproduttivo femminile e nel corso della gravidanza promuovono sia lo sviluppo delle mammelle sia lo sviluppo del feto. Gli effetti biologici e comportamentali degli estrogeni sono:

  • rendere il miometrio più sensibile all’ossitocina,

  • ammorbidire il collagene delle fibre del tessuto cervicale uterino, 

  • promuovere la crescita di utero, vagina e mammelle,

  • creare quello stato di “regressione” tipico della gravidanza,

  • aumentare lo “stato di sogno a occhi aperti” e la sensibilità della donna,

  • predisporre all’apertura,

  • ridurre la concentrazione e la memoria.

IL PROGESTERONE

E’ un ormone steroideo secreto dal corpo luteo e dalla placenta. Durante la gravidanza la sua quantità aumenta esponenzialmente fino a 4 settimane prima del parto, quando comincia a diminuire gradualmente, convertendosi in estrogeni. La sua presenza è fondamentale per consentire al bambino di mettere le sue radici nella pancia della mamma. Il progesterone, infatti, induce un rallentamento del pensiero e dei ritmi di vita della donna determinando, così, un tempo dilatato nel quale si crea il “grembo psichico” in cui la madre accoglie il bambino durante la gravidanza. Gli effetti biologici e comportamentali del progesterone sono:

  • predisporre a un sonno regolare,

  • normalizzare i livelli di glucosio nel sangue,

  • svolgere un’azione antidepressiva e antinfiammatoria,

  • favorire l’annidamento e l’evoluzione della gravidanza,

  • inibire la contrattilità dell’utero,

  • preparare la ghiandola mammaria alla lattazione,

  • rallentare la digestione,

  • ridurre il tono degli sfinteri.

LE PROSTAGLANDINE

Sono molecole lipidiche definite anche con l’espressione “ormoni ad azione localizzata”, differiscono dagli altri ormoni per il fatto di essere prodotte non da ghiandole endocrine specifiche, ma dalle membrane cellulari di quasi tutti gli organi del corpo. La loro sintesi è stimolata dagli estrogeni e dall’ossitocina e l’effetto più importante di queste sostanze si manifesta senza dubbio a termine di gravidanza e in travaglio di parto, agendo sul tono e la permeabilità vascolare e favorendo il rimodellamento della cervice uterina a termine di gravidanza.

LE CATECOLAMINE

Vengono sintetizzate dalle cellule della midollare del surrene, dal sistema nervoso centrale e nelle terminazioni periferiche del sistema nervoso simpatico. Le catecolamine più importanti sono l’adrenalina, la noradrenalina e la dopamina. Il loro effetto sistemico viene definito “reazione di attacco o fuga”, il loro rilascio avviene solitamente in condizioni di stress e i fattori che ne stimolano la secrezione sono: l’ansia, il freddo, il dolore, traumi, sforzi fisici, la paura, la fame, l’ipotensione, ma anche il piacere intenso. Al termine di gravidanza e sopratutto durante il travaglio molte delle condizioni stressanti sopra nominate sono presenti e il loro rilascio determina proprio uno stato di allerta nella donna, tanto che un eccesso di catecolamine in travaglio può interferire negativamente, rallentando tutto il processo. 

LE ENDORFINE

Sono peptidi oppioidi presenti nel sistema nervoso centrale e periferico, meglio noti come antidolorifici naturali, infatti, pur regolando molte funzioni corporee, la loro finalità principale rimane quella di proteggere l’organismo dal dolore. Le endorfine vengono stimolate dall’ossitocina endogena, dalla prolattina e dal sistema parasimpatico e al momento del parto rispondono alla presenza delle doglie, provocando il senso di benessere tipico delle pause. Quanto più forte sarà lo stimolo doloroso fisiologico, tanto più profondo sarà lo stato alterato di coscienza prodotto dalle endorfine, fino ad arrivare alla trance. Quindi, nel parto fisiologico la presenza di dolore stimola la risposta combinata di catecolamine ed endorfine, caratterizando il travaglio con la tipica bilancia neuroendocrina contrazione vs espansione. Ansia, preoccupazione, disturbi ambientali, stress protratto possono inibire l’espressione endorfinica sino a compromettere l’equilibrio della bilancia ormonale.

LA PROLATTINA

La sua produzione è stimolata dall’ossitocina e la sua funzione principale è quella di promuovere la lattazione. Cresce notevolmente durante il terzo trimestre di gravidanza ed è ad altissimi livelli durante l’allattamento, i suoi effetti biologici e comportamentali sono:

  • sostenere il corpo luteo all’inizio della gravidanza e stimolarlo a produrre progesterone,

  • ridurre l’eccitabilità simpatica,

  • aumentare la tolleranza alla privazione del sonno,

  • ridurre l’aggressività sociale,

  • promuovere atteggiamenti di accudimento.

L’OSSITOCINA

E’ un ormone prodotto dall’ipotalamo, ma secreto dall’ipofisi ed è anche allo stesso tempo un neurotrasmettitore che interviene nel controllo delle emozioni e del comportamento sociale. Soprannominato ormone dell’amore, l’ossitocina, infatti, aumenta in tutte quelle situazioni in cui il contatto fisico procura connessione, dalle coccole all’orgasmo, intensificando così l’esperienza del piacere e del benessere. Nel processo della nascita il rilascio di ossitocina è attivato prevalentemente al termine della fase espulsiva e immediatamente dopo la nascita da diversi fattori:

  • meccanici, come la distensione della vagina, la pressione sulla cervice, la distensione dei muscoli del pavimento pelvico e la stimolazione dei capezzoli;

  • emotivi, come il piacere, il bonding con il proprio figlio, il ricevere cure amorevoli;

  • ambientali, quindi luoghi in cui ci si possa sentire al sicuro.

L’ossitocina, a bassi livelli e in dosi ancora irregolari, è responsabile di quei cambiamenti ormonali a livello placentare e a livello materno che originano i prodromi del travaglio di parto, ovvero quella iniziale attività contrattile, irregolare e poco dolorosa, che prepara l’utero al travaglio vero e proprio. Durante il travaglio attivo, invece, il dolore intermittente delle contrazioni uterine stimola il sistema nervoso simpatico a emettere a picco le catecolamine, provocando una risposta ossitocica, anch’essa a picco, in corrispondenza della contrazione. Questa risposta ossitocica intermittente, accompagnata dalla secrezione contemporanea di endorfine, è responsabile dell’aumento graduale dell’attività contrattile e del suo mantenimento regolare durante il travaglio. Gli effetti biologici e comportamentali dell’ossitocina sono:

  • agire come ansiolitico e ridurre l’aggressività in risposta allo stress,

  • aumentare l’empatia e l’istintualità,

  • indurre le contrazioni uterine fisiologiche,

  • determinare l’impulso alla spinta in periodo espulsivo,

  • permettere la formazione del globo uterino,

  • rendere possibile il secondamento della placenta,

  • ridurre il rischio di emorragia,

  • attivare specifici comportamenti quali nidificare, accudire, nutrire e proteggere la prole.

Ma come nel caso delle endorfine, interferenze esterne e medicalizzazione del parto possono interferire sul rilascio fisiologico di ossitocina endogena, inibendone le funzioni e rallentando il travaglio. Questo perché l’ossitocina è fisiologicamente inibita dall’iperattività ortosimpatica, che viene scatenata in travaglio dallo stress, dallo stato di allerta, dall’imbarazzo per via della nudità o anche a causa di pratiche assistenziali percepite come invadenti. Tutto ciò provoca l’emissione cronica di catecolamine, perciò è molto importante raggiungere il rilassamento completo dopo ogni contrazione, per poter attivare l’attività del sistema nervoso parasimpatico al posto di quella del simpatico. In una condizione indisturbata il processo doloroso della dilatazione del collo uterino è accompagnato da una cascata di altri ormoni che alterano il livello di coscienza, facilitando la gestione di questo dolore, assieme ad altre sostanze fortemente antidolorifiche come le endorfine naturali. Questo cambia moltissimo la natura dell’esperienza dolorosa durante il travaglio e il parto. Per spiegare la risposta femminile allo stress è molto interessante la teoria “accudisci e solidarizza” della psicologa Taylor. La Taylor ha evidenziato che sebbene il sistema attacco e fuga sia presente sia nei maschi che nelle femmine e l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene funzioni in modo sovrapponibile per entrambi, i meccanismi di risposta allo stress sono influenzati dalla prevalenza di ormoni femminili. Nelle donne, infatti, agli ormoni tipici della risposta allo stress come ad esempio le catecolamine, si sommano gli ormoni attivatori del parasimpatico quali ossitocina e prolattina, ormoni implicati nell’istinto di prendersi cura. Se da una parte l’evoluzione e la sopravvivenza delle specie sono state garantite dalla capacità maschile di affrontare i predatori e cacciare, a nulla sarebbero valsi questi sforzi se non ci fossero stati dei meccanismi di protezione della prole basati sull’accudimento e sul nutrimento amorevole. Le femmine di mammifero quando stimolate da un fattore stressante o da un pericolo, producono ormoni che le portano a dirigersi verso la prole, a entrare in relazione con essa, a calmarne la paura e così facendo la femmina accudente non solo abbatte i livelli di stress della prole, ma anche i propri.

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silvia c. silvia c.

Le Difficoltà dell’Allattamento al Seno

Spesso i problemi che possono presentarsi durante l’allattamento sono dovuti ad un attacco sbagliato del bambino al seno o alla ridotta frequenza delle poppate.

INGORGO MAMMARIO

I seni appaiono duri, caldi e dolenti. La pelle è lucida, un po’ rossa, mentre i capezzoli sono gonfi ed il latte fa fatica ad uscire. In genere compare qualche giorno dopo il parto, quando il seno deve ancora tarare la produzione di latte, ma può verificarsi anche successivamente. In pratica si ha una stasi di latte all’interno della ghiandola, per uno svuotamento incompleto o poco frequente della mammella. Pause troppo lunghe fra le poppate, allattamento ad orari, eccessiva produzione di latte, attacco del neonato inadeguato o un ritardato inizio dell’allattamento dopo la nascita possono essere tutti fattori scatenanti. Se non trattato l’ingorgo può dare luogo a diverse complicazioni, come la mastite e la formazione di ascessi.

  • Drenare il latte attraverso le poppate o con la spremitura manuale.

  • Aumentare la frequenza delle poppate.

  • Verificare che l’attacco sia coretto.

  • Fare degli impacchi caldi al seno prima della poppata (facendo attenzione a non ustionarsi) o anche una doccia calda. Il calore promuove la liberazione dell’ossitocina.

  • Dopo l’impacco caldo si possono fare dei massaggi al seno per poi attaccare subito il bambino.

  • Farsi fare il MASSAGGIO OSSITOCINICO: ai lati della colonna vertebrale disegnare dei cerchietti dall’alto verso il basso per una decina di minuti (meglio se a schiena nuda).

  • Effettuare la tecnica della PRESSIONE INVERSA: posizionare le dita attorno ai capezzoli e tener premuto verso le costole per qualche minuto, quindi attaccare il bambino.

  • Se il piccolo non sta succhiando bene COMPRIMERE IL SENO:  mantenere il seno con la mano a “C” o “U” e comprimerlo quando la suzione è meno efficace, poi rilasciare la compressione quando il bimbo deglutisce.

  • Applicare impacchi freddi dopo la poppata (va bene anche un asciugamano bagnato tenuto in frigo).

  • Se c’è edema preferire la posizione orizzontale ed effettuare dei massaggi al seno cercando di spingere i liquidi verso il torace e stimolare con la mano i linfonodi ascellari (a seno scoperto stringere con le mani il cavo ascellare come se fosse una pompa e nel mezzo del seno massaggiare in modo vigoroso verso l’alto).

DOTTO OSTRUITO

Si crea una zona dura nel seno, dovuta a del latte bloccato in un dotto. Di solito è monolaterale ed i sintomi assomigliano a quelli dell’ingorgo mammario, solo che in questo ultimo caso tutta la mammella è colpita, mentre nel dotto il disagio è localizzato in una piccola area.

  • Aumentare la frequenza delle poppate (non far passare più di tre ore tra le poppate).

  • Alternare le diverse posizioni per allattare il bambino.

  • Applicare impacchi caldi.

  • Massaggiare il seno prima e durante l’allattamento.

  • Preferire dei top in cotone senza cuciture.

MASTITE

E’ l’infiammazione della ghiandola mammaria, a cui si sovrappone un’infezione batterica. Il dolore è profondo, la mammella appare turgida, calda e arrossata. Inoltre compare anche una sintomatologia simil-influenzale, con febbre e malessere generale. Un ingorgo mammario, una ragade o un dotto ostruito non trattati possono causare la mastite. 

  • Non interrompere l’allattamento perché si avrebbe ancor più ristagno di latte.

  • Dare prima il seno con l’infiammazione.

  • Applicare impacchi caldi.

  • Verificare che l’attacco e la posizione siano corretti. 

  • Riposare.

  • Contattare il medico se la sintomatologia è severa, per farsi prescrivere degli antinfiammatori o antibiotici.

DOLORE AL CAPEZZOLO

E’ la più frequente causa di svezzamento precoce. Di solito il dolore è collegato proprio alla tecnica di allattamento, quindi attacco e posizioni scorretti o uso di dispositivi. E’ importante identificare prontamente la causa del dolore che può essere una RAGADE, cioè una ferita sul capezzolo che provoca molto dolore durante la poppata e può anche sanguinare, un’INFEZIONE da Candida o da Herpes (in questo ultimo caso interrompere l’allattamento per rischio encefalite), CONDIZIONI NEUROVASCOLARI es. vasospasmo e sindrome raynaud o CONDIZIONI DERMATOLOGICHE come la psoriasi, l’eczema e la dermatite.

  • Evitare l’uso prolungato di paracapezzoli o coppette assorbilatte.  

  • Verificare che l’attacco e la posizione siano corretti.

  • Non lavare i capezzoli ad ogni poppata e sopratutto non usare detergenti aggressivi.

  • Applicare il latte spremuto manualmente dopo ogni poppata per lubrificare i tessuti.

  • Iniziare ogni poppata dal seno meno dolorante.

  • Indossare top in cotone senza cuciture.

  • Se il dolore ostacola la poppata, spremere manualmente.

  • Lasciare le tette all’aria. 

  • Fare impacchi con olio di oliva prima di attaccare il bimbo.

  • Se il bambino si addormenta durante la poppata e non succhia attivamente staccarlo dolcemente dal seno aiutandosi con il mignolo.

CAPEZZOLI PIATTI 

I capezzoli piatti possono essere di diversi tipi, a seconda che il problema si presenti su entrambi i seni (bilaterale) o solo su uno (unilaterale) e secondo il grado dell’introflessione. In genere un bambino con normali capacità di suzione non avrà grossi problemi ad attaccarsi al seno, basterà aiutarlo a posizionarsi correttamente.

  • Spesso se stimolati i capezzoli piatti riescono a protrudere.

  • Verificare attacco e posizione, provare la presa a rugby.

  • Aspettare che la bocca del bambino sia ben aperta prima di portarlo al seno.

  • Estrarre il latte manualmente o utilizzando un tiralatte.

  • Modificare la forma del capezzolo (farla diventare a cono o a sandwich) per stimolarne l’estroflessione.

  • Ruotare il capezzolo usando pollice e indice in modo da farlo protendere all'infuori.

  • Rivolgersi a personale esperto per utilizzare un paracapezzolo.

RIFLESSO DI EMISSIONE FORTE

Il seno è così pieno di latte che il primo getto che esce ha tanta pressione, provocando nel bambino un senso di soffocamento. Il neonato è agitato durante la poppata, tossisce, piange e la mamma può notare dagli angoli della sua bocca la fuoriuscita di latte. Molti bambini addirittura si staccano, urlando oppure rigurgitano e soffrono di frequenti coliche. L’allattamento può essere vissuto con un certo stress da parte della mamma, che spesso pensa che il suo latte non sia gradito o sufficiente a soddisfare le esigenze del neonato.

  • Staccare il neonato dal seno nel momento in cui si manifesta il riflesso di emissione e lasciar colare il latte e riattaccare quando il latte non esce più con tanta forza.

  • Spremere un po’ di latte poco prima di attaccare il neonato.

  • Fare intervalli brevi tra le poppate.

  • Far fare spesso il ruttino al bambino, perché il bambino in questa situazione ingoia molta aria.

DIFFICOLTA’ AD ATTACCARE IL NEONATO AL SENO

Prematurità, anestesia materna durante il parto, ittero, infezioni, malattie croniche, un frenulo linguale corto o una labio/palatoschisi possono interferire con la capacità di una suzione efficace del neonato. I segni di una suzione poco efficace sono diversi. 

  • Il bambino reclama il latte tante volte al giorno. 

  • Il bambino rifiuta il seno.

  • Si addormenta dopo aver succhiato solo per 4-5 minuti.

  • Resta attaccato al seno per oltre 40 minuti senza staccarsi spontaneamente.

  • Può esserci un lento / scarso accrescimento.

  • I seni non sono rigonfi prima di allattare o non si ammorbidiscono dopo la poppata.

  • E’ presente ingorgo mammario o mastite.

Per favorire un buon attaccamento è importante, anzitutto, non scoraggiarsi se il neonato fa inizialmente un po’ fatica ad attaccarsi, perché è normale che alcuni bambini impieghino un po’ più tempo per imparare a farlo.

  • Evitare di allungare le poppate.

  • Evitare di dare il ciuccio invece del seno quando il neonato ha fame.

  • Se il bimbo è pigro, svegliarlo di notte per allattarlo.

  • Promuovere il contatto pelle a pelle.

  • Evitare di cambiare seno e passare all’altro dopo pochi minuti di allattamento, perché in questo modo il neonato non prende il latte finale che è molto più ricco di calorie.

  • Se i seni sono troppo pieni, usare un tiralatte dopo la fine della poppata per evitare l’ingorgo. 

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silvia c. silvia c.

Per un Buon Allattamento al Seno. Parte 2

ASSICURATI CHE L’ATTACCO AL SENO SIA ADEGUATO

Una volta messo il bambino nella posizione giusta, cioè con il corpo rivolto e ben stretto verso quello della madre, bisogna fare in modo che il capezzolo si trovi in corrispondenza del nasino e non del cavo orale. La testa del bambino deve essere leggermente spostata all’indietro perché così lui può spalancare bene la bocca, orecchio-spalla-anca devono essere allineati e la mandibola è in avanti. Per incoraggiarlo ad aprire la bocca, basta sfiorare il capezzolo con le sue labbra, quindi avvicinare il bambino in modo tale che il suo labbro inferiore tocchi il seno, il più lontano possibile dalla base del capezzolo. In questo modo il mento è ben “affondato” nel seno e il capezzolo, entrando in bocca, punta verso il palato. L’attacco del bambino al seno non è simmetrico rispetto al capezzolo: la porzione di seno che ha in bocca dalla parte del mento è maggiore rispetto a quella dalla parte del naso. Se la posizione e l’attacco sono adeguati, il bambino poppa efficacemente e si può notare che la sua bocca è ben aperta e “riempita” dal seno, il suo mento è a stretto contatto con il petto, il suo collo è leggermente all’indietro, il labbro inferiore è rovesciato in fuori, si riesce a vedere più areola sopra al labbro superiore piuttosto che sotto a quello inferiore e sopratutto la mamma non sente male, al massimo potrebbe avvertire un fastidio iniziale. Le cause di un attacco inadeguato possono essere:

  • l’uso del biberon, prima che si sia stabilizzato l’allattamento/ aggiunte in epoche successive;

  • inesperienza della madre, poche info e sostegno dal personale sanitario e dalla famiglia/ primo figlio;

  • difficoltà funzionali, bambino piccolo-debole-con patologie/ problemi al capezzolo o al seno/ inizio allattamento ritardato.

Le conseguenze di un attacco inadeguato sono diverse, anzitutto, la mamma ha male quando il bambino succhia, i capezzoli possono rompersi e possono comparire le ragadi. Il seno può non venire adeguatamente svuotato e ciò può provocare ingorgo che se non trattato evolve in mastite. Il mancato svuotamento fa sì che il seno produca meno latte e di conseguenza il bambino cresce di meno, è insoddisfatto ed irritato, vuole alimentarsi di continuo o al contrario rifiuta il seno.

NOTA SE IL BAMBINO MANGIA ABBASTANZA

Purtroppo con l’allattamento al seno non si può misurare esattamente quanto latte viene assunto e questo spesso genera molti dubbi alla mamma. Prima veniva proposta la doppia pesata, cioè una pratica che prevede di pesare il bimbo prima e dopo la poppata, ma ormai è un po’ superata come cosa, un po’ perché non si può fare una valutazione attendibile e un po’ per l’ansia da prestazione che di solito genera. Quindi per capire se il il piccolo mangia abbastanza:

  • monitorare l’accrescimento settimanale - se peso e lunghezza aumentano con il passare delle settimane vuol dire che il bambino si alimenta bene (notare anche se i vestitini cominciano a stare stretti). Non impaurirsi se ciò non succede immediatamente dopo la nascita, perché in questa fase si ha il famoso calo fisiologico del neonato;

  • contare i pannolini - almeno 6 pipì abbondanti al giorno, dopo il quinto giorno di vita;

  • controllare la presenza di feci - le feci di un lattante sono di consistenza cremosa o acquosa, hanno un colore giallo arancio, odorano poco e possono contenere del muco. Appena nato evacua molto, poi si regolarizza a 2/3 volte al giorno;

  • osservare il comportamento del bambino - il pianto immotivato/eccessiva sonnolenza/ insoddisfazione/ agitazione sono tutti indicatori che qualcosa non va;

  • controllare che la deglutizione sia visibile e udibile;

  • notare le mammelle dopo la poppata - se sono sgonfie e morbide al tatto significa che il bimbo ha drenato correttamente tutto il latte in esse contenuto.

COSA EVITARE

Non dare al tuo bambino altri alimenti o bevande. Più la mamma allatta il bambino e più latte produce, perciò dando altri alimenti o liquidi (formule artificiali, soluzione glucosata non sempre necessarie) diversi dal latte materno si riduce la produzione di latte. Non dare biberon e ciuccio prima che si sia stabilizzato l’allattamento. Non stressarsi troppo, perché l’allattamento richiede molte energie.

ATTENZIONE AL DOLORE

Se allattare è doloroso è il segnale che c’è qualcosa che non va. Le cause, di solito, sono la scarsa frequenza delle poppate, la posizione o l’attacco inadeguato che possono provocare disturbi/lesioni a carico del seno e del capezzolo. Di frequente, la mamma sfinita dal dolore smette di allattare, ma questa scelta spesso è controproducente, come nel caso della mastite dove uno stop dell’allattamento significa maggiore ristagno di latte nella mammella. 

CHIEDI AIUTO

Per qualsiasi problema o dubbio è bene rivolgersi a una figura esperta in allattamento che possa dare delle indicazioni utili (ostetrica, pediatra, consulenti volontarie, consulenti professionali IBCLC).

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silvia c. silvia c.

Per un Buon Allattamento al Seno. Parte 1

INIZIA CON IL CONTATTO PELLE A PELLE

Il contatto precoce tra mamma e neonato è fondamentale per iniziare l’allattamento. Il contatto pelle a pelle è il momento della conoscenza fisica tra madre e figlio. Il corpo materno è l’habitat naturale del bambino, solo che prima lo viveva da dentro, dopo la nascita lo vive da fuori. Perciò, subito dopo il parto è importante mettere il bambino sul corpo della mamma, lui grazie ai suoi sensi, sopratutto l’olfatto, saprà scalare il ventre della madre alla ricerca del seno. I vantaggi dello Skin to Skin sono:

  • mantenere il bambino caldo,

  • regolare la frequenza respiratoria e cardiaca, 

  • diminuire lo stress,

  • favorire un allattamento più efficace,

  • promuovere il bonding tra madre e figlio,

  • stimolare la produzione di ossitocina.

NON GUARDARE L’OROLOGIO MA OSSERVA IL TUO BAMBINO PER CAPIRE SE HA FAME.

E’ il bambino stesso che ti fa capire quando ha bisogno della tetta!  I segnali precoci della fame sono: 

  • il bambino si muove e gira la testa in cerca del seno,

  • il bambino apre gli occhi e la bocca, 

  • sbadiglia e stringe i pugnetti.

I segnali intermedi sono:

  • il bambino allunga le braccia e si stiracchia,

  • si muove in modo sempre più vivace,

  • porta le mani alla bocca.

I segnali tardivi sono:

  • il bambino è agitato, diventa rosso,

  • piange.

Il pianto quindi è un segnale tardivo che può rendere difficile l’attaccamento al seno, perché appunto il bambino è molto agitato e addirittura capita che si addormenti perché sfinito. Quindi è importante riconoscere prontamente i segnali precoci di fame e offrire subito il seno.

SCEGLI UNA POSIZIONE COMODA

Posizione Semi-reclinata

E’ una via di mezzo tra la posizione sdraiata e quella seduta. La schiena deve essere rilassata e sostenuta, per cui va bene sedersi sulla poltrona oppure si può stare semi-sdraiate a letto, con il dorso sostenuto da un bel po’ di cuscini. Il bambino va messo prono sul torace della madre, facendo attenzione che si appoggi sulla guancia, che abbia le vie aeree libere e che il collo, il pancino e le gambe siano aderenti al corpo materno. La sua posizione non è parallela al piano, ma inclinata e la sua testa è sempre più alta rispetto al resto del corpo. Dei cuscini appoggiati sulle gambe possono essere utili per sostenere le braccia della mamma.

Posizione a Culla

La mamma è seduta dritta con il bambino posizionato di lato, la sua testolina e il suo collo appoggiati sull’avambraccio (quindi non sono appoggiati sull’incavo del gomito) e il corpicino è contro la pancia della mamma. Se si usa il cuscino da allattamento bisogna verificare che non sollevi il bambino troppo in alto.

Posizione Sdraiata

La mamma giace sdraiata su un fianco mentre allatta il piccolino. E’ utile posizionare dei cuscini sotto la testa e dietro la schiena della madre. Questa posizione è molto usata per le poppate notturne o nel caso la mamma abbia fatto il taglio cesareo.

Posizione Incrociata

La mamma sorregge il piccolo con il braccio opposto al seno che viene offerto. Il corpo del piccolo è appoggiato sull’avambraccio e la mano della mamma sostiene la testolina del bimbo tra le orecchie o alla base del collo, evitando di spingergli il mento contro il petto.

Posizione Rugby

Il bambino è sottobraccio alla mamma con i piedini che puntano all’indietro. Questa posizione è utile alle mamme che hanno subito un taglio cesareo, che hanno avuto un parto gemellare o che hanno seni molto grandi.

Posizione Lupa 

Mettere il bambino sdraiato sulla schiena mentre la mamma si mette a carponi sopra di lui e gli inserisce il capezzolo in bocca. Questa posizione è usata in caso di mastite o dotti ostruiti.

ALLATTA DI FREQUENTE, ALLATTA A RICHIESTA

L’OMS raccomanda che l'allattamento esclusivo al seno continui per sei mesi dopo la nascita del bambino, per poi rappresentare una parte importante dell’alimentazione del bimbo per almeno i primi due anni di vita. Allattare a richiesta significa che non vengono fatti dei pasti ad orari fissi, ma vengono assecondate le richieste del bambino. Appena dopo il parto il neonato ha uno stomaco grande quanto una ciliegia, per cui i pasti devono essere frequenti. In genere va allattato 8/12 volte al giorno. Ovviamente, ogni bambino è unico e ha un suo modo personale di alimentarsi. La stessa durata della poppata viene decisa da lui, a seconda di quali sono i suoi bisogni, il bisogno di mangiare, di dissetarsi o di ricevere un po’ di coccole, una volta appagato si staccherà da solo o si addormenterà. In ultimo bisogna ricordarsi che più si allatta, più si produce latte.

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silvia c. silvia c.

L’Allattamento al Seno

E’ un atto di amore che fa bene tanto al bambino quanto alla sua mamma.

I bambini allattati al seno hanno minor probabilità di:

  • soffrire di stitichezza,

  • avere problemi di obesità,

  • soffrire di diabete,

  • avere eczemi e allergie,

  • soffrire di diarrea, vomito, otiti, infezioni respiratorie ed urinarie.

Le mamme che allattano riescono più facilmente a perdere i chili accumulati in gravidanza e risultano maggiormente protette nei confronti di alcune patologie (tumore al seno/ovaie, osteoporosi). Inoltre, l’allattamento al seno riduce il rischio di sanguinamento post-partum, il rischio di anemia e di alcune malattie cardiocircolatorie. Il seno è costituito dal tessuto ghiandolare che è deputato alla produzione e al trasporto di latte, dal tessuto adiposo che ha una funzione di protezione, dal tessuto connettivo che funge da sostegno, da una rete nervosa che stimola la mammella a produrre il latte e una rete di vasi sanguigni e linfatici, per fornire i nutrienti necessari a fare il latte e per rimuovere le sostanze di scarto grazie alla linfa. Nello specifico il tessuto ghiandolare è organizzato in lobi e lobuli, la cui unità fondamentale è l’alveolo. L’alveolo è come una specie di palloncino in cui viene raccolto il latte ed ogni palloncino è ricoperto da dei vasi sanguigni e da delle fibre muscolari che permettono agli alveoli di contrarsi ed espellere il latte nei dottuli. I dottuli poi si uniscono a formare dotti più grandi, che sfociano in 5-10 aperture nel capezzolo, sulla superficie dell’areola. Nell’areola ci sono le ghiandole sebacee, che secernono una sostanza grassa per ammorbidire e proteggere la pelle e le ghiandole di Montgomery, che producono una sostanza capace di lubrificare il capezzolo e di proteggerlo da eventuali germi. Il seno non è considerato pienamente maturo, finché una donna non partorisce e non inizia a produrre il latte, perciò il suo sviluppo si completa ad opera degli ormoni della gravidanza.

LA LATTAZIONE AVVIENE GRAZIE A DUE ORMONI: LA PROLATTINA E L’OSSITOCINA.

La prolattina è prodotta dall’ipofisi e la sua secrezione viene stimolata dalla suzione dei capezzoli da parte del neonato. Ogni volta che il bambino succhia dal capezzolo, partono degli impulsi nervosi che stimolano la produzione di prolattina che entra in circolo dopo la poppata, per produrre il latte della poppata successiva. Quindi poppate frequenti garantiscono una produzione costante di latte. L’ossitocina, invece, stimola la contrazione dei dotti e per questo è responsabile dell’emissione del latte prodotto. Questo ormone agisce prima o durante la poppata. La quantità di latte che il seno produce dipende in parte da quanto il bambino succhia. Più succhia, maggiore è la produzione di latte. Perché il seno continui a produrre latte, è importante che questo sia continuamente rimosso. Quindi, per favorire la produzione di latte abbiamo bisogno: della stimolazione ormonale che normalmente avviene durante la gravidanza e il parto, della stimolazione del capezzolo attraverso la suzione e del completo drenaggio del seno.

LA LATTOGENESI SI SVILUPPA IN TRE STATI.

Nel primo stadio si ha la produzione di colostro qualche mese prima del parto, nel secondo stadio, cioè quando il bambino è stato partorito e la placenta espulsa, si ha un aumento dei livelli di prolattina, mentre precipitano quelli del progesterone, infine nell’ultimo stadio si forma il latte maturo, la cui produzione ora è mantenuta principalmente dalla suzione del capezzolo da parte del neonato. Superate le prime settimane dopo il parto, il seno saprà calibrare la sua produzione di latte, producendone in base alle richieste del piccolo. ALLATTARE A TERMINE significa allattare a richiesta, cioè fino a che il bambino non si sentirà pronto ad abbandonare la tetta, il che spesso accade dopo i due anni di età. Perciò fino a sei mesi l’allattamento è esclusivo, per tutto il primo anno il latte resta l’alimento principale a cui vengono aggiunti i cibi solidi con lo svezzamento e poi a seconda delle richieste del bambino si può proseguire con l’allattamento al seno ad oltranza, cioè fino a quando il bambino lo desidera.

E’ IMPORTANTE RICORDARE CHE OGNI COPPIA MAMMA-BAMBINO E’ UNICA.

I bambini sono tutti differenti e poppano in modo molto diverso l’uno dall’altro. Anche lo stesso bambino può cambiare tempi, modi e frequenza delle poppate, a seconda dei suoi bisogni. Di solito nelle prime settimane un bambino poppa dalle 10 alle 12 volte al giorno, ovviamente con il passare dei mesi, con l’aumento del volume dello stomaco, diminuisce il numero delle poppate giornaliere, per cui si può passare da poppare ogni ora e mezza a poppare anche ogni 3/4 ore. In certe situazioni può essere necessario effettuare la spremitura del seno, come ad esempio quando:

  • il bambino è troppo piccolo / ha delle patologie e perciò fa fatica ad alimentarsi, 

  • la suzione del bambino non è efficace,

  • la mamma ha necessità di assentarsi, ad es. deve ritornare a lavoro,

  • la mamma ha bisogno di ridurre il fastidio provocato da un ingorgo mammario,

  • la mamma vuole ammorbidire un seno troppo pieno per facilitare l’attacco,

  • dopo il parto la mamma vuole dare al suo piccolo il colostro anche se è in piccole quantità e il bambino fa fatica a ciucciare.

PER FARE LA SPREMITURA DEL SENO:

  • lavati accuratamente le mani e procurati un contenitore pulito;

  • mettiti comoda e pensa al tuo bambino o guardalo, eventualmente siediti leggermente inclinata in avanti;

  • scalda il seno, massaggiandolo delicatamente. Va bene anche l’applicazione per qualche minuto di un panno caldo, ma non frizionare le dita sul seno;

  • rigira dolcemente i capezzoli tra le dita e il pollice;

  • mentre palpi il seno, identifica una parte che sembra avere una consistenza diversa, tipo chicchi di riso;

  • una volta trovato il punto metti il pollice e l’indice a C (il pollice sopra e l’indice sotto). Puoi sostenere il seno con le altre dita;

  • spingi delicatamente pollice e indice all’indietro verso la parete del torace;

  • premi il pollice contro l’indice, comprimendo il seno, per poi rilasciare; 

  • esegui la sequenza di pressione, compressione, rilascio per qualche minuto e alterna i seni;

  • dopodiché, il latte potrebbe uscire a zampilli o a fiotti;

  • quando riponi il contenitore con il latte spremuto nello scompartimento del ghiaccio o in freezer, metti un’etichetta con la data della spremitura;

  • puoi conservare il latte in frigorifero (2-4°C) fino a 3 giorni, ponendolo nel retro e mai nello sportello;

  • se il latte è stato scongelato, usalo subito o buttalo via;

  • il bambino è in grado di bere il latte con un cucchiaino o con un bicchierino che va messo all’interno del labbro inferiore e inclinato lentamente. Il biberon è inutile o controproducente.

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silvia c. silvia c.

Il Latte Materno

Il latte materno è vivo nutrimento, mai uguale a sé stesso, cambia di composizione in base alle necessità di crescita del bambino e contiene tutto ciò che serve dal punto di vista nutrizionale.

Ha un sapore dolce, contiene zuccheri (in particolare lattosio), proteine, grassi, minerali, vitamine (le uniche supplementazioni indicate sono quelle per la vit K e D), enzimi, ormoni, anticorpi e fattori di crescita, cioè sostanze in grado di stimolare la corretta maturazione dei tessuti del bambino. La sua composizione è variabile, persino il suo colore può cambiare durante il giorno o anche durante la poppata stessa, nonostante ciò il latte di mamma è sempre perfetto, perché appunto si adatta alle esigenze specifiche del suo piccolino (a chi dice che il latte con il passare del tempo diventi acqua e non sia più nutriente non è vero). Ad esempio, all’inizio della poppata il latte è un po’ più acquoso e zuccherino, per soddisfare il bisogno del bambino di energia immediata e per dissetarlo, mentre verso la fine della poppata il latte risulta essere più grasso e ricco di proteine, per far in modo che il bambino si senta bello sazio (per questo è importante che il piccolo abbia finito di poppare a un seno prima di offrirgli l’altro). Il latte prodotto di notte, invece, abbonda di melatonina e questo spiega perché i bambini si addormentano serenamente dopo essere stati allattati. 

IL COLOSTRO E’ IL PRIMO LATTE CHE IL NEONATO BEVE.

E’ un latte molto denso, con un grande valore nutrizionale ed è di un colore giallo arancio, questo perché è un latte ricco di caroteni, proteine, grassi e immunoglobuline, fatto proprio per proteggere il bambino dalle infezioni e aiutarlo ad adattarsi alla vita extra-uterina. L’inizio della produzione di colostro varia da donna a donna. C’è chi lo inizia a produrre già nel primo trimestre di gravidanza, anche se nella maggior parte dei casi viene prodotto nel terzo trimestre (è comune notare una fuoriuscita dai capezzoli di questo liquido giallognolo) o proprio nella fase finale del parto. Appena nato il neonato va messo pelle a pelle con il seno materno e qui lui riconoscerà l’odore del colostro che lo guiderà nell’attaccamento. Può succedere che in caso di parto cesareo o di anestesia epidurale il neonato sia un po’ stordito e faccia fatica ad attaccarsi, in questi casi il colostro può essere ottenuto con manovre di spremitura e introdotto con le dita nella bocca del bambino. Anche se dovesse essere prodotto in piccole quantità non fa nulla mamme, dateglielo lo stesso! Questo latte  è l’unico alimento di cui un neonato abbia veramente bisogno. Il colostro è importantissimo perché:

  • aiuta l’espulsione del meconio,

  • favorisce la crescita di batteri intestinali,

  • riduce la permeabilità del rivestimento gastrointestinale, formando una barriera che previene la penetrazione di sostanze estranee,

  • pulisce l’apparato digerente,

  • previene le allergie alimentari,

  • svolge funzioni di difesa immunitaria,

  • stimola lo sviluppo del neonato,

  • favorisce la guarigione dai traumi da parto.

Dal quarto al decimo giorno dopo la nascita, il colostro diventa latte di transizione che dopo 10/14 giorni diventa latte maturo. Questo latte è di un colore più bianco, ad alto contenuto di carboidrati e grassi. La MONTATA LATTEA è l'inizio della produzione di latte "maturo" da parte della ghiandola mammaria. Dopo 3/5 giorni dal parto, il latte comincia ad essere prodotto in abbondanza, a volte anche in quantità superiori al fabbisogno del bambino. I seni diventano caldi, turgidi, indolenziti e si possono avvertire brividi  in tutto il corpo, oltre alla sensazione di avere come degli spilli all’interno della mammella. Una buona frequenza delle poppate sin da subito, il giusto riposo, l’idratazione, una corretta alimentazione e il completo svuotamento del seno ad ogni poppata sono tutti fattori che incidono positivamente sulla montata lattea. I bambini sani sono capaci di poppare adeguatamente e di succhiare tutto il latte di cui hanno bisogno, perciò il seno produce latte in base a quanto e a quanto spesso viene svuotato. Più il bambino succhia, più il seno viene svuotato (anche se non è mai del tutto vuoto in realtà) e più latte viene prodotto (quindi non bisogna aspettare che il seno si riempia bene per allattarlo). Il FIL (Fattore di inibizione della lattazione) è una proteina contenuta nel latte materno che rallenta la produzione di latte ogni volta che questo non viene rimosso dal seno. Se il latte rimane nel seno perché il bambino ha finito di poppare ed è sazio, questa proteina fa in modo che la produzione rallenti, proteggendo così il seno da un possibile ingorgo mammario. Quando si cercare di regolarizzare le poppate, ad es. distanziandole, seguendo precisi orari e togliendo le poppate notturne si va a sballare la produzione di FIL e di tutti gli ormoni che regolano questo delicato processo.

LA QUALITA’ DEL LATTE NON DIPENDE DALLA DIETA MATERNA, LA MAMMA PUO’ MANGIARE DI TUTTO.

Solo un suo stato di malnutrizione veramente grave può interferire negativamente. Il bambino è in grado di prendere dalla mamma tutto quello che gli serve per crescere, ad ogni modo seguire un’alimentazione sana e bilanciata è importante per tutelare la salute materna, considerando che l’allattamento richiede molto dal punto di vista energetico. Inoltre possiamo dire che la comparsa delle coliche nel neonato non sono da attribuirsi ai cibi mangiati dalla madre.  In ultimo, per quanto riguarda i farmaci, bisogna tener presente che la loro assunzione durante l’allattamento è meno pericolosa rispetto ad una loro assunzione in gravidanza, infatti la quantità di farmaco ricevuta dal bambino che viene allattato è molto ridotta. Per qualsiasi dubbio ci si può sempre rivolgere al Centro antiveleni di Bergamo, che è appunto un servizio di informazione sempre disponibile sui farmaci assunti in gravidanza e allattamento. 

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silvia c. silvia c.

Cenni di Puericultura. Parte 1

La puericultura è una branca della pediatria che si occupa dell’accrescimento e dello sviluppo fisico e psichico del bambino, dalla nascita al termine della prima infanzia. 

Sicuramente, tra i bisogni primari del bambino c’è quello di essere nutrito, sopratutto all’inizio, quando è ancora un neonato. Il suo primo nutrimento è rappresentato dal colostro, che col passare dei giorni si trasformerà in latte di transizione ed infine in latte maturo. Solo verso i 6 mesi, quando l’apparato digerente del bambino sarà un po’ più sviluppato, si potrà iniziare ad introdurre gli altri alimenti.

ALIMENTAZIONE - ALLATTAMENTO AL SENO

L’alimento perfetto per il neonato è il latte materno. Produrre latte richiede alla mamma un costo energetico di 500 calorie al giorno: non occorre quindi mangiare per due, né scegliere cibi particolarmente calorici. L’organismo infatti ha già provveduto, durante la gravidanza, ad accumulare chili in più per far scorta di grassi che durante l’allattamento vengono impiegati, per far fronte al maggior dispendio energetico. Basta fare una dieta sana ed equilibrata, non esistono alimenti che aumentano la produzione di latte materno.  Il meccanismo della lattazione segue la legge della “domanda e dell’offerta”: più il seno viene stimolato e drenato e più latte viene prodotto. L’allattamento va fatto a richiesta, cioè quando il bambino chiede di mangiare piangendo. Molti genitori sono restii a lasciare che sia il bambino a decidere la quantità di latte da prendere e hanno bisogno di sapere esattamente quanto dovrebbe mangiare, per essere sicuri che mangia abbastanza. In realtà i neonati sono tutti diversi, per cui non c’è una regola precisa riguardo le quantità e, si sanno regolare in modo perfetto. Il loro modo di mangiare non è influenzato dalle abitudini, dalla golosità o dalla cultura, semplicemente mangiano quando hanno veramente fame e smettono di poppare quando si sentono sazi. 

ALIMENTAZIONE - ALLATTAMENTO ARTIFICIALE

Quando la mamma non riesce ad allattare al seno, può ricorrere ai latti artificiali. Il latte adattato è un latte in polvere ideato per essere il più possibile simile al latte materno: consiste in un latte che può essere diluito in una quantità di acqua definita, anche se molti si trovano in commercio già allo stato liquido. Esiste un tipo di latte per ogni fase della crescita, quello di tipo 1 può essere somministrato fino ai 6 mesi, poi c’è il latte di tipo 2 detto anche latte di proseguimento ed infine il latte per casi particolari: indicato per bambini che hanno dimostrato di essere allergici a questo alimento con sintomi quali vomito, diarrea ed eruzioni cutanee o che hanno mostrato problemi come il rigurgito persistente. Per la preparazione, la manipolazione, la somministrazione e la conservazione domestica del latte artificiale in polvere o pronto all’uso, si raccomanda di seguire tutte le istruzioni per evitare possibili contaminazioni:

  • lavare le mani e assicurare la pulizia di utensili e cucina;

  • preparare la quantità necessaria fresca ad ogni pasto; 

  • usare contenitori sterili (cioè lavati a fondo e sterilizzati mediante bollitura per 10 minuti, immersione in prodotti chimici sterilizzanti o apparecchi a microonde);

  • ricostituire la polvere in acqua calda (>70°C) o acqua che è stata bollita e raffreddata a 70°C; 

  • raffreddare la quantità ricostituita rapidamente (in non più di 30 minuti) ed usarla immediatamente;

  • buttar via i resti dopo ogni pasto.

L’alimentazione artificiale è un po’ più rigida rispetto a quella al seno. Le quantità vengono prescritte dal pediatra e poiché il latte artificiale è più difficile da digerire, a differenza di quello materno, è bene rispettare un intervallo minimo di un paio d'ore tra un biberon e l’altro.

SVEZZAMENTO

E’ il passaggio che il bambino compie da un’alimentazione esclusivamente lattea a un’alimentazione mista. Dal punto di vista fisiologico il bambino deve abituarsi a un diverso sapore, cioè da quello dolce del latte a quello salato e variegato della pappa e deve adattare il suo stomaco e il suo intestino alla novità che l’introduzione di qualsiasi alimento diverso dal latte comporta. Dal punto di vista psicologico, lo svezzamento rappresenta la perdita del seno materno e, di conseguenza, la fine di quel legame intenso e viscerale che si instaura tra madre e figlio nei primi mesi di vita. Se da un lato lo svezzamento costituisce una rinuncia dolorosa per entrambi, dall’altro è la necessaria evoluzione da un rapporto simbiotico, all’interno del quale il neonato ancora non si distingue dalla madre, a una nuova condizione di autonomia. Verso il sesto mese, il neonato è pronto per la sua prima pappa, sia perché aumenta il suo fabbisogno, sia perché a questa età il bambino ha raggiunto uno stadio psicologico tale da consentirgli di superare il distacco dal seno materno. Iniziare troppo presto lo svezzamento non è consigliabile perché:

  • i liquidi e gli alimenti offerti potrebbero essere di minore qualità e quindi non avere la densità di nutrienti ed energia necessaria alle esigenze del lattante;

  • dare altri liquidi ed alimenti può far diminuire la produzione e l’offerta di latte materno;

  • l’apparato digerente del neonato non è ancora in grado di digerire alcuni alimenti;

  • l’esposizione precoce ad agenti patogeni che possono contaminare gli alimenti aumenta il rischio di diarrea e conseguente denutrizione. 

Dall’altro canto, anche ritardare eccessivamente l’introduzione di alimenti complementari non è consigliabile perché: 

  • il latte materno da solo potrebbe non fornire abbastanza energia e nutrienti, con conseguente rallentamento della crescita;

  • il latte materno da solo potrebbe non soddisfare le crescenti esigenze di alcuni micronutrienti, tipo ferro e zinco; 

  • potrebbero esservi effetti avversi sullo sviluppo ottimale delle capacità motorie della bocca, come la capacità di masticare, e sulla facilità ad accettare nuovi sapori e cibi di diversa consistenza.

Quando si decide di iniziare con lo svezzamento è importante che questo avvenga senza fretta e senza forzature, ricordando che comunque il latte materno deve rimanere la fonte primaria di nutrienti, per tutto il primo anno di vita. I nuovi alimenti vanno proposti uno per volta, per capire quali sono le reazioni e i gusti del bambino e per prevenire possibili difficoltà digestive, visto che il suo stomachino è ancora immaturo. I primi alimenti da proporre sono la frutta, il brodo vegetale, l’olio evo e i cereali. Ad es. si può cominciare con una mela, una pera o una banana omogeneizzata, schiacciata o grattugiata e poi, qualche giorno dopo l’introduzione dei primi cucchiaini di frutta, si può offrire la prima pappa. La prima pappa dovrebbe essere costituita da 180 grammi circa di brodo vegetale, tre cucchiai di crema di riso o di mais, un cucchiaino di olio evo e uno di parmigiano. Ad ogni modo, non esiste un menù definito per lo svezzamento, però è importante seguire le indicazioni date dal pediatra. A prescindere dallo schema dietetico che si decide di seguire, ecco alcuni consigli:

  • non aggiungere sale alle pappe,

  • non aggiungere zucchero o miele,

  • usare l’olio evo a crudo,

  • preferire alimenti semplici e naturali. I cibi pronti all’uso sono comodi, ma contengono molti conservanti, ad es. invece di comprare l’omogeneizzato di verdura, basta cuocere una zucchina o una carota al vapore e schiacciarla con la forchetta,

  • variare con frequenza il menù. Entro l’anno il bambino deve essere stato esposto ad una certa varietà di cibi e sapori,

  • il latte vaccino non è raccomandato nel primo anno di vita per il rischio di sbilanciare l’apporto proteico alimentare complessivo e, inoltre, perché può causare carenze di ferro,

  • i cibi devono essere offerti ripetutamente poiché quelli che sono inizialmente rifiutati possono essere accettati in seguito,

  • i pezzetti di cibo vanno tagliati molto piccoli e MAI a rondella. Il cibo va tagliato a bastoncino oppure a quadratino,

  • evitare gli alimenti ‘collosi’ come la mozzarella filante o il prosciutto crudo.

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silvia c. silvia c.

Il Neonato

La prima fase post-natale rappresenta un periodo molto impegnativo per il neonato che deve adattarsi in tempi brevi alle nuove condizioni ambientali.

Il suo organismo deve regolare autonomamente il sistema neurovegetativo (respirazione, circolazione, termoregolazione…) e deve imparare a tollerare tutte le nuove percezioni sensoriali, provenienti dall’interno e dall’esterno del suo corpo. Alla nascita sono presenti alcuni movimenti istintivi, detti riflessi neonatali, che nei primi giorni di vita sono importanti indicatori di benessere e vitalità. Questi riflessi sono: 

IL RIFLESSO DI MARCIA AUTOMATICA

Il neonato sostenuto sotto le braccia viene sorretto in modo che le piante dei piedi sfiorino un piano di appoggio. In questa posizione il piccolo comincia automaticamente a flettere le gambe, come se volesse camminare.

IL RIFLESSO DI PRESA O GRASPING

Il neonato riesce ad afferrare qualsiasi oggetto sfiori le sue mani.

IL RIFLESSO DI MORO

Il neonato spalanca le braccia, come se spaventato, inarca la schiena e fa smorfie fino a piangere. Questi movimenti si verificano quando ci sono sbalzi repentini nell’ambiente circostante o nella posizione del neonato.

IL RIFLESSO DI SUZIONE

Già sviluppato nella vita prenatale, è un istinto che il bambino manifesta quando gli si avvicina un dito all’angolo della bocca. Sollecitato da questo gesto, si gira verso il punto stimolato e comincia a succhiare, proprio come fa di fronte al capezzolo della madre. 

Il neonato presenta degli schemi organizzati che sono fondamentali per il suo sviluppo. In una giornata cambia sei stati o livelli di coscienza, più volte: 

  • Sonno tranquillo - fermo, occhi chiusi e immobili, respiro regolare.

  • Sonno REM - occhi chiusi che si muovono, respiro irregolare, movimenti a scatti.

  • Sonnolenza - in fase di risveglio o addormentamento, sbadiglia, occhi a mezz’asta.

  • Veglia tranquilla - occhi aperti e vivaci, possono esplorare l’ambiente, respiro regolare, poco attivo.

  • Veglia attiva - occhi aperti, respiro irregolare, segni di attività motoria.

  • Pianto - intenso, difficile da calmare e accompagnato da attività motoria.

IL NEONATO TRASCORRE LA MAGGIOR PARTE DEL TEMPO IN UNO STATO DI SONNO.

I cicli però sono molto brevi (45 min/2 ore), di solito fa dei sonnellini intervallati da stati di sonnolenza, veglia o pianto. Ovviamente ogni bambino, così come ogni individuo, presenta delle differenze rispetto a questi stati, quindi c’è il bambino che dorme più a lungo e quello, invece, che fa più risvegli. Due stati presentano dei cambiamenti regolari che diventano indicatori dell’evoluzione del bambino, e sono il sonno ed il pianto, quest’ultimo inizialmente è strettamente connesso ai suoi bisogni primari e a tutti i disagi psico-fisici (fame, dolore, freddo, rumori improvvisi…), poi con il passare del tempo, il bambino imparerà a capire come utilizzare il pianto e il non-pianto, per poter comunicare con i suoi genitori. Per quanto riguarda il sonno, più il bambino cresce più trascorre il tempo in uno stato vigile. Verso i  6/7 mesi, i neonati iniziano a dormire di notte più a lungo, facendo anche solo un riposino pomeridiano. Inoltre, cambia pure la qualità del sonno, nei primi 2/3 mesi di vita, infatti, la metà del sonno è REM. La riduzione della fase REM e del pianto dopo i tre mesi è dovuta principalmente alla maturazione del sistema nervoso centrale. Perciò, mentre il neonato scivola spesso dal sonno alla veglia impercettibilmente, standosene per lunghi periodi in uno stato di dormiveglia, il lattante ormai assestato ha un comportamento molto più differenziato nel sonno e nella veglia. Quando si addormenta si può presumere che non si sveglierà per un certo periodo e quando si sveglia si sa già che non si riaddormenterà fino al pasto successivo.

IL SUO SISTEMA POSTURO-MOTORIO E’ IN DIFFICOLTA’ ORA CHE VIENE A MANCARE IL CONTENIMENTO DEL GREMBO UTERINO.

La sua necessità primaria, pertanto, è quella di essere contenuto e stabilizzato durante tutte le sue attività quotidiane, finché non sarà capace di controllare le sue posizioni da solo. Fra i 3 ed i 6 mesi, il neonato maturerà il controllo posturale antigravitario del capo e del tronco superiore, migliorerà il sostegno sulle braccia e l’equilibrio nelle posizioni orizzontali (prono, supino, di fianco). I movimenti involontari, tipici delle prime settimane di vita, lasceranno il posto a movimenti sempre più intenzionali. Dai 6 ai 9 mesi verranno finalmente raggiunte importanti conquiste motorie, come: la posizione seduta autonoma, i passaggi da una posizione all’altra, lo strisciamento, il rotolamento e il gattonamento. Il piccolo non si accontenterà più del posto dove lo metterete, ma cercherà di andare in tutti i posti che riuscirà a raggiungere. La disponibilità delle mani, liberate dall’impegno di appoggio nella posizione seduta, permetterà un ulteriore maturazione della manipolazione e della motricità fine. I bambini imparano presto a collegare le azioni con i risultati ottenuti e ad usare gli oggetti in modo da raggiungere un certo scopo. Determinante in questo è anche l’imitazione, spesso infatti è proprio osservando l’uso che ne fanno gli adulti, che il bambino comprende come utilizzare ciò che lo circonda. 

L’IMITAZIONE RAPPRESENTA UN COMPORTAMENTO SOCIALE CHE OFFRE UN CANALE PRIVILEGIATO PER LE PRIMISSIME FORME DI COMUNICAZIONE CON L’ALTRO. 

Per quanto riguarda invece i sensi del neonato:

  • Udito - i neonati sono attenti alle voci, soprattutto se femminili e riconoscono la voce della madre.

  • Gusto e Olfatto - nascono con gusti ben definiti, prediligendo quelli dolci. Apprezzano il profumo del latte materno.

  • Tatto - è il mezzo primario con cui i bambini esplorano l’ambiente.

  • Vista - tra le capacità sensoriali è la meno matura. Le ricerche hanno evidenziato come bambini nati da pochi minuti preferiscono guardare stimoli visivi simili ad un volto.

Tutti i sensi del neonato funzionano bene, ma lui non ha né conoscenza né esperienza, non sa di essere se stesso, che l’oggetto che si muove davanti al suo viso è la sua mano. Non sa neppure che i suoi genitori sono delle persone, però ha la capacità di osservarli, di ascoltare la loro voce e di riconoscere l’odore del latte, perché il neonato è programmato per sopravvivere. Gli studi hanno evidenziato, che già durante la vita intrauterina il bimbo immagazzina una serie di informazioni che gli assicurano un certo grado di competenza quando viene al mondo. All’inizio il suo comportamento è del tutto casuale ed imprevedibile, può darsi che pianga perché vuole mangiare ogni mezz’ora per sei ore di seguito, per poi dormire per tre ore di fila. La fame del mattino non ha riferimento alcuno con la fame della sera, perché la sua fame non ha ancora ritmo né schema ed anche il sonno è molto instabile. I suoi bisogni sono semplici, ripetitivi e immediati, però a volte appagarli risulta essere molto faticoso. 

TUTTI I BAMBINI ATTRAVERSANO DELLE FASI IN CUI LE LORO NECESSITA’ CAMBIANO E OGNI VOLTA DEVONO TROVARE IL MODO PER POTERLE ESPRIMERE. SPESSO CAPITA CHE APPENA I GENITORI IMPARANO A RICONOSCERE I BISOGNI DEL BAMBINO E A SODDISFARLI TEMPESTIVAMENTE, NE SUBENTRANO DEI NUOVI. 

Meno vengono appagati i bisogni del neonato, più lui diventerà esigente e le sue richieste, che prima erano naturali, dopo saranno dettate dall’ansia. Il genitore, a volte, è restio ad accontentare il suo piccolo per paura di viziarlo, ma un neonato non può prendere dei vizi, perché non è cresciuto abbastanza per diventare una persona viziata. Perché il bambino diventi viziato o al contrario altruista deve riuscire a concepirsi come una persona e deve saper riconoscere sia i diritti degli altri che i suoi, il lattante non riesce ancora a compiere queste operazioni mentali. Molte madri, per educare il loro bambino, iniziano da subito ad impostare delle routine rigide come ad es. le poppate prefissate. Ma con un neonato, gli schemi rigidi sono inutili, nel caso appunto delle poppate ad orari può succedere che non soddisfino completamente la sua fame o che lo costringano a poppare di malavoglia. A questo punto è meglio assecondare le sue richieste e lasciarlo poppare quando ha fame, altrimenti potrebbe irritarsi. 

IL PESO DEL BAMBINO E’ UN ALTRO INDICE DI BENESSERE, E’ IL DATO CHE NEI PRIMI MESI DI VITA AIUTA A CAPIRE SE LA CRESCITA STA AVVENENDO IN MODO SODDISFACENTE.

Quello che conta di più non è quanto il piccolo cresce, ma la regolarità con cui avviene l’aumento di peso. Nei primi tre mesi di vita è considerato normale un aumento di 150 grammi la settimana. L’aumento di peso va calcolato partendo dal peso più basso raggiunto dopo la nascita, cioè dal peso raggiunto dopo il cosiddetto calo ponderale fisiologico (in media nei primi 5 giorni di vita il neonato perde il 7-10 per cento del peso alla nascita). Dopo i 6 mesi l’aumento di peso è influenzato dall’inizio dello svezzamento e dall’atteggiamento del bambino verso la nuova dieta. Indicativamente l’aumento di peso ideale al compimento dell’anno di vita è pari a circa tre volte il peso presentato alla nascita. In pratica il bambino che alla nascita pesava tre chili, allo scadere dei 12 mesi dovrebbe aver raggiunto i nove chili circa.

IL BENESSERE DEL BAMBINO PUO’ ESSERE VALUTATO OSSERVANDO IL RAPPORTO CHE C’E’ TRA LUI E LA SUA MAMMA.

Le esperienze che per prime attivano e generano connessioni nel cervello del bambino hanno inizio nel ventre materno. Dopo la nascita, ci saranno altre esperienze che attiveranno altre aree del suo cervello. Tali esperienze riguardano comunque le interazioni fisiche con il corpo materno: il contatto pelle a pelle, la stimolazione olfattiva e uditiva (voce e odore della mamma), il calore corporeo, il sostegno fisico e l’essere tenuti in braccio, le sensazioni e i sapori trasmessi dal latte materno. Gli input fisici derivanti dal corpo della madre rappresentano esperienze ottimali per lo sviluppo cerebrale del bambino e le interazioni fisiche tra i due contribuiscono alla stabilità fisiologica, nota anche come omeostasi di entrambi, grazie a un processo definito regolazione reciproca. La regolazione reciproca è fondamentale per il neonato che è meno in grado di controllare i propri processi fisiologici. Ad es. i piccoli hanno difficoltà a mantenere il calore corporeo, ma saranno riscaldati alla perfezione se a contatto con il petto della madre. Allo stesso tempo, il contatto pelle a pelle è di beneficio anche per la mamma, perché favorisce il rilascio degli ormoni della maternità.

I FATTORI ESTERNI CHE INFLUENZANO LO SVILUPPO DEL BAMBINO SONO: LE CARATTERISTICHE DELL’AMBIENTE IN CUI IL PICCOLO CRESCE, IL RAPPORTO CON I GENITORI E LE ESPERIENZE OFFERTE. 

Per promuovere uno sviluppo sano del bambino, l’adulto deve adattare via via l’ambiente e l’utilizzo degli oggetti, dei giocattoli e delle attrezzature, secondo i bisogni evolutivi del bimbo. Anche le esperienze quotidiane vanno modificate per venire incontro alle abilità emergenti del piccolo: nuove posizioni, nuovi giocattoli o giocattoli vecchi ma usati in modo diverso, più variabilità sensoriale ed ambientale, graduale aumento dell’autonomia. Il gioco va adattato al suo umore. Il bambino, come qualsiasi persona, preferisce giochi diversi a seconda del suo umore, ma a differenza delle persone adulte il suo stato d’animo cambia rapidamente! Quando sta bene e sprizza energia, preferirà un gioco turbolento, ma se ha fame o è stanco nessun gioco gli andrà bene, ma vorrà solo dormire, mangiare o essere cullato. 

PIU’ MAMMA E PAPA’ SARANNO IN GRADO DI CAPIRE IL LORO PROPRIO FIGLIO, DI INTERPRETARE IL SUO UMORE, DI RICONOSCERE I SUOI BISOGNI, PIU’ SARA’ PIACEVOLE SVOLGERE IL RUOLO DEI GENITORI.

Il piacere di crescere un figlio è spesso in balia dello stress della vita quotidiana, ci sentiamo in ansia perché non riusciamo a trovare il giusto equilibrio tra il tempo che dedichiamo ai bambini e quello che dedichiamo al lavoro e ci sentiamo in colpa perché passiamo troppo o troppo poco tempo con i nostri figli. Spesso abbiamo la sensazione di fare tutto nel modo sbagliato. Cercate di trovare il modo di continuare la vostra vita condividendola con il vostro bambino, piuttosto che suddividere la giornata in periodi in cui vi occupate di lui e in periodi in cui vi occupate delle vostre faccende. Anche se, alla fine, non c’è un modo giusto di fare le cose, non esiste una ricetta, l’unica cosa che si può fare è osservare il proprio bambino e vedrete che conoscendolo sarà anche più facile accudirlo. 

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silvia c. silvia c.

Assistenza in Puerperio

Essere mamma non è sempre facile e di sicuro non lo è durante il puerperio, un momento, questo, di estrema vulnerabilità. 

Perciò è veramente molto importante garantire alla neomadre un adeguato sostegno pratico ed emotivo, attraverso un’assistenza personalizzata e continuativa. Appena dimessa dall’ospedale, la mamma può sentirsi smarrita, disorientata e anche spaventata. Quell’innato istinto materno di cui tutti parlano non è immediato, ma va coltivato, cresce gradualmente con il consolidarsi della relazione tra lei e il suo bambino. Inizialmente la neomadre ha sentimenti ambivalenti, vive tra la gioia di stringere suo figlio e la faticosa solitudine che investe le sue giornate. Per proteggere la sua creatura ha bisogno di creare un ambiente sicuro e accogliente per entrambi e di certo il padre è la figura che maggiormente dovrebbe provvedere a ciò, esercitando la sua funzione di protezione-sostentamento-difesa  della famiglia appena nata.

LA VERITA’ E’ CHE DURANTE IL PUERPERIO, CIOE’ NELLE PRIME SETTIMANE DI VITA DEL BAMBINO, LA MAMMA E’ SPESSO LASCIATA SOLA.

Le famiglie moderne sono molto diverse da quelle delle nostre nonne, dove il senso di aggregazione e comunità erano molto forti e la neomamma era spesso aiutata da altre figure femminili a soddisfare le sue necessità vitali (come mangiare e riposarsi) e ad adempiere ai propri compiti di madre senza doversi occupare delle altre faccende. Inoltre i ritmi lavorativi erano molto meno stressanti e frenetici. Spesso i genitori di oggi non sono messi nelle condizioni giuste per accogliere un bambino, a causa degli obblighi lavorativi, ma anche per mancanza di una vera e propria assistenza da parte delle istituzioni. In Italia, a differenza di altri Paesi europei, i servizi mancano e ad aiutare i genitori rimangono alla fine solo i nonni, che però purtroppo non sono sempre vicini o non sono sempre in grado fisicamente ed economicamente di farlo.

C’E’ UNA GRANDE SPROPORZIONE, IN TERMINI DI CURE E ASSISTENZA OFFERTE, TRA PRIMA E DOPO IL PARTO.

Per tutta la gravidanza e fino al momento del parto la donna è al centro delle attenzioni, dopodiché si ha un vuoto assistenziale, perché non vengono attivati i giusti servizi territoriali oppure se esistono sono poco utilizzati dall’utenza, anche per scarsa informazione. Quindi succede che spesso è la famiglia a farsi carico delle spese per un’eventuale assistenza privata (doula/ostetrica a domicilio). Il panorama poi si complica nel caso in cui la famiglia abbia delle vere e proprie problematiche come:

  • violenza domestica;

  • tossicodipendenza, alcolismo; 

  • madre con patologie o disabilità;

  • disturbi psichiatrici; 

  • gravidanza in adolescenza;

  • separazioni, divorzi;

  • problemi relazionali di coppia, mancanza di sostegno parentale/sociale; 

  • instabilità economica, povertà;

  • immigrazione; 

  • prematurità, parto gemellare, neonato con patologie o disabilità.

GLI OBIETTIVI PRINCIPALI DELL’ASSISTENZA IN PUERPERIO SONO PROMUOVERE UNA BUONA RIPRESA FISICA DELLA MADRE E GARANTIRE IL BENESSERE DEL NEONATO, SOSTENENDO L’AVVIO DELL’ALLATTAMENTO E DELLE PRATICHE DI ACCUDIMENTO.

Perché l’assistenza sia efficace, è necessario che durante il puerperio ogni incontro offra ai genitori tutte quelle info e aiuti utili a renderli in grado di:

  • saper valutare le condizioni generali del bambino; 

  • acquisire nuove abilità di accudimento;

  • identificare segni e sintomi di comuni problemi di salute infantile;  

  • saper riconoscere quando è necessario contattare i servizi ospedalieri;

  • promuovere l’attaccamento genitori-bambino;

  • sapere se ci sono nel loro territorio gruppi/associazioni/strutture (sia che siano di tipo istituzionale o volontario) dedicati al sostegno in puerperio;

  • riconoscere e sostenere i bisogni fisici immediati della neomadre;

  • riconoscere ed alleviare il dolore durante il puerperio (perineale..);

  • poter alleviare la fatica e la stanchezza;

  • semplificare l’organizzazione della giornata;

  • sentirsi sicuri e fiduciosi delle loro competenze genitoriali.

I BISOGNI ASSISTENZIALI DELLA MADRE: 

CURA DEL PERINEO

Si raccomanda una pulizia frequente dei genitali esterni e un cambio frequente degli assorbenti. Viene consigliata l’esecuzione di esercizi di ginnastica perineale, in caso di dolore è consigliabile l’applicazione di un impacco freddo e se necessario il medico prescriverà del paracetamolo, salvo controindicazioni.

RICONOSCERE POSSIBILI COMPLICAZIONI

La mamma deve saper riconoscere prontamente i segni di una possibile emorragia o di una possibile infezione.

GESTIONE DEI DISTURBI LEGATI AL PUERPERIO

La mamma deve essere informata sulla possibilità della comparsa di alcuni malesseri come le emorroidi, il mal di schiena, la costipazione e i disturbi urinari ed aiutata a trattarli.

RICONOSCERE I SEGNI DEL BABY-BLUES E DELLA DEPRE POST-PARTUM

Alla mamma devono essere date le giuste info per riconoscere i disturbi psicologici che caratterizzano il puerperio. Il baby blues è caratterizzato da uno stato di malessere passeggero che colpisce la mamma subito dopo il parto e che tende a risolversi spontaneamente entro poche settimane. La mamma presenta un umore instabile, crisi di pianto, stanchezza e tristezza, che tuttavia non alterano la sua capacità di prendersi cura del proprio bambino. La depressione post-partum, invece, è un disturbo più duraturo che si manifesta 4-6 settimane dopo il parto e che necessita aiuto da parte di professionisti. In questo caso, la donna sperimenta umore depresso, perdita di interesse e piacere, ridotte energie, perdita di fiducia e autostima, sensi di colpa eccessivi, difficoltà di concentrazione, disturbi del sonno e dell'appetito. Questo malessere profondo porta spesso a un distacco affettivo della mamma dal suo bambino e alla dolorosa incapacità di interpretare i suoi bisogni e prendersi cura di lui.

GESTIONE DELLA STANCHEZZA

Gli stravolgimenti fisici e dei ritmi, l’impegno quotidiano e costante 24 ore al giorno 7 giorni alla settimana, l’assenza di condivisione e supporto sociale, la pressione dovuta alla continue scelte da fare, la difficoltà ad incastrare tutto e il peso della gestione domestica determinano un profondo senso di fatica e sopraffazione nella mamma, che ha bisogno in questo momento di riposo e sostegno.

INFORMAZIONE SULLA CONTRACCEZIONE E AIUTO NELLA RIPRESA DELLA SESSUALITA’

La mamma deve essere incoraggiata a parlare delle sue ansie circa l’attività sessuale. Deve essere aiutata nel caso di dispareunia e informata sui metodi contraccetivi, visto il rischio sempre presente di una nuova gravidanza. Sostegno emotivo nel passaggio da coppia a famiglia.

RIELABORARE L’ESPERIENZA DEL PARTO

La mamma ha bisogno di parlare del suo parto, di poter rielaborare questo evento eccezionale, ma anche traumatico. Ha bisogno di essere ascoltata e di esternare le proprie preoccupazioni riguardo i cambiamenti del suo corpo.

IMPARARE AD ENTRARE IN SINTONIA COL SUO BAMBINO

La madre ha bisogno di imparare a riconoscere e a soddisfare i bisogni di suo figlio. Deve essere aiutata in questo intenso processo di adattamento fisico, psicologico e relazionale a prendersi cura sia di lei che del piccolo. 

SOSTEGNO NELL’ALLATTAMENTO

Per molte mamme primipare i primi giorni sono fonte di preoccupazione e disagio, tanto che alcune abbandonano l’idea di allattare. La donna va informata sui benefici dell’allattamento al seno e su come gestire eventuali difficoltà, tipo mastite, ingorghi o capezzoli dolenti, ricordando che per mantenere i capezzoli sani è fondamentale che il bambino sia ben posizionato, si attacchi in modo corretto e succhi efficacemente. 

RICEVERE INFO UTILI DI PUERICULTURA

La mamma ha bisogno di avere informazioni e sostegno riguardo l’allattamento, lo svezzamento, il sonno e l’igiene del neonato, attività da fare con il piccolo, oggetti e presidi utili, asilo nido, visite e vaccinazioni da fare.

SUPPORTO NEL RIENTRO A LAVORO

La mamma deve essere aiutata nel processo di separazione che avviene nel terzo trimestre di esogestazione, informata su come gestire l’allattamento a distanza e sui suoi diritti in ambito lavorativo. La donna va aiutata a conciliare il suo essere madre con il suo essere persona. 

I BISOGNI ASSISTENZIALI DEL NEONATO:

FAVORIRE L’ADATTAMENTO POST-NATALE

Al neonato deve essere garantito il rispetto dei suoi bisogni fondamentali, quali: nutrimento, riposo, igiene e contatto fisico con i genitori, identificando tempestivamente condizioni che necessitano di interventi assistenziali mirati (medici, psicologici, sociali). 

NUTRIMENTO E MONITORAGGIO DELLA CRESCITA

L’inizio dell’allattamento al seno dovrebbe essere incoraggiato il più presto possibile dopo la nascita, idealmente entro un’ora. Promuovere l’allattamento al seno esclusivo a richiesta per i primi 6 mesi. La mamma dovrebbe essere informata sugli indicatori di adeguatezza di attacco, posizione e suzione e sulla valutazione dell’adeguatezza della poppata. Questi indicatori sono: bocca del neonato ben aperta, meno areola visibile al di sotto del mento che sopra al capezzolo, il mento del neonato tocca il seno, il labbro inferiore è estroflesso e il naso libero, assenza di dolore, deglutizione visibile e udibile, manine e braccia rilassate, pannolini regolarmente bagnati e sporchi.

CURA DEL MONCONE OMBELICALE 

Il cordone va tenuto pulito e asciutto con garza sterile ed è consigliabile mantenerlo esterno al pannolino. Nel caso non cada dopo le 4 settimane o compaiono i segni di infezione dell’ombelico (arrossamento ed edema della cute circostante, secrezione di pus) contattare il pediatra.

GESTIONE DELLE COLICHE NEONATALI

Le coliche di solito si manifestano con pianto improvviso e acuto, prevalentemente nelle ore serali, retrazione delle gambine verso l'addome, rifiuto del seno. Il dolore può essere alleviato tenendo il bimbo in braccio a pancia in giù e massaggiandogli l'addome con una mano. 

GESTIONE DEL PIANTO

L’unico modo che il neonato ha per comunicare è il pianto ed ogni suo pianto ha un significato diverso. A volte vuol dire ho fame, altre ho sonno, altre ancora voglio le coccole. E’ importante che i genitori riconoscano le tipologie di pianto e siano capaci di consolare il neonato subito, provvedendo al soddisfacimento dei suoi bisogni. 

PROMOZIONE DEL BONDING

La relazione di attaccamento tra madre e figlio è fondamentale per garantire un sano sviluppo del bambino. Infatti uno dei bisogni fondamentali del bambino è la vicinanza della figura materna, che ha la funzione di proteggerlo e di comprendere e rispondere ai suoi bisogni. La maggior parte delle volte l’attaccamento avviene immediatamente dopo la nascita, altre volte ci vuole più tempo perché si verifichi un vero e proprio attaccamento.

La durata della ripresa del puerperio varia da alcune settimane a molti mesi, è soggettiva e  dipende dall’equilibrio di fattori che possono favorire o inibire il recupero. Gli elementi che indicano una buona ripresa della mamma sono:

  • suture e/o cicatrici sono guarite; 

  • involuzione uterina è completata; 

  • allattamento è consolidato; 

  • la donna riesce a riposare e tutti i suoi sistemi fisiologici funzionano bene; 

  • la rete di sostegno funziona; 

  • la relazione di coppia e con la famiglia estesa è positiva; 

  • lo stato emozionale della madre è normale e stabile; 

  • l’attaccamento madre-bambino è positivo; 

  • la madre si sente pronta ed è in grado di poter riattivare alcuni interessi e/o attività.

Gli elementi che indicano una buona ripresa del neonato:

  • cresce fisicamente;

  • risponde alle attenzioni dei genitori; 

  • succhia efficacemente; 

  • è consolabile;

  • è in grado di mostrare i propri bisogni; 

  • è integrato nella famiglia.

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silvia c. silvia c.

Il Puerperio 

Con il termine puerperio si identificano le prime sei settimane successive alla nascita del bambino, durante le quali il corpo della donna subisce una serie di modificazioni che permettono il ripristino delle condizioni fisiche precedenti la gravidanza.

Ecco cosa succede al corpo della donna:

INVOLUZIONE UTERINA

Subito dopo l’espulsione della placenta, il corpo dell’utero forma un globo duro allo scopo di prevenire emorragie dopo il parto e con il passare del tempo il canale si restringe sempre di più, fino a raggiungere la struttura pregravidica entro appunto sei-sette settimane. Gli altri organi all’interno dell’addome e della pelvi tornano alla loro posizione originaria e avviene una ridistribuzione dei liquidi corporei. Inoltre, l’allattamento al seno favorisce questo processo di involuzione.

CONTRAZIONI UTERINE

Anche dette morsi uterini, sono delle contrazioni che si verificano nei primissimi giorni e servono proprio a riportare l'utero alle sue originarie dimensioni. Al tempo stesso, l'endometrio a poco a poco si riforma e torna a rivestire la cavità uterina nella zona dove era impiantata la placenta.

PERDITE EMATICHE

I sanguinamenti vaginali sono del tutto normali e vengono chiamati in ambito medico lochiazioni. Di solito nei primi tre giorni queste perdite sono di color rosso scuro e possono essere molto abbondanti. Dal quarto al settimo giorno la quantità diminuisce e il colore tende più al marrone. Attorno al decimo giorno potrebbe verificarsi una breve ripresa del flusso rosso abbondante che durerà minimo due giorni. Verso la terza settimana dopo il parto le lochiazioni sono di un colore chiaro, sierose e di scarsa quantità, per poi scomparire del tutto entro la sesta settimana. Le lochiazioni vanno distinte dal cosiddetto “capoparto”, cioè la prima mestruazione dopo il parto. Il CAPOPARTO può presentarsi dopo 6-8 settimane dalla nascita del bambino oppure verso il sesto-ottavo mese, in coincidenza con lo svezzamento. Ciò dipende molto dal fatto che si stia allattando o meno al seno. Queste prime mestruazioni potrebbero apparire più abbondanti e dolorose ed avere la presenza di coaguli. In genere durano qualche giorno in più rispetto ad una normale mestruazione. Inoltre, è normalissimo se nei primi mesi i cicli saltano o sono completamente sballati.

CROLLO DEGLI ORMONI 

E’ proprio questo brusco abbassamento dei livelli di estrogeni e progesterone in circolo che consente l’avvio del processo di recupero dell’assetto genitale femminile, oltre al ripristino della normale funzionalità del sistema cardiovascolare e alla perdita progressiva dei chili accumulati durante la gravidanza. Questo cambio repentino dell’assetto ormonale è responsabile anche del calo del tono dell’umore, poiché si ha un minor rilascio di serotonina a livello del sistema nervoso centrale. La serotonina, in quanto ormone del buon umore, se presente in quantità ridotte può causare la comparsa di stati d’ansia, malessere e senso di tristezza. 

MALICONIA

La maggior parte delle puerpere sperimenta il cosiddetto baby blues. Questo disturbo non è patologico, piuttosto è una temporanea condizione di instabilità emotiva, di tristezza, mescolata ad un senso di inadeguatezza, ansia ed ipersensibilità che colpisce la neomamma subito dopo il parto. Il baby blues può risolversi spontaneamente oppure evolvere in una vera e propria depressione post-partum, che al contrario presenta sintomi più acuti e persistenti, come disturbi del sonno, senso di vuoto, perdita di interesse anche nei confronti del bimbo, cambiamenti nell’appetito, pensieri negativi, senso di colpa e incapacità a prendere decisioni. Questo stato di depressione ed ansia può essere legato anche al peso e all’immagine corporea. Molte mamme provano una forte frustrazione e disagio difronte alle modificazioni che avvengono a livello corporeo durante e dopo la gravidanza, che possono persino alterare il rapporto con il bambino. 

PERINEO DOLORANTE

È molto probabile che durante il parto ci siano state delle lacerazioni spontanee o che sia stata praticata l’episiotomia e che siano stati dunque necessari dei punti di sutura. I punti di sutura cadranno spontaneamente in circa una settimana, in questo tempo è consigliabile mantenere la ferita asciutta e cambiare spesso l’assorbente. Se invece la donna ha subito un cesareo, il tempo necessario per il riassorbimento dei punti e la cicatrizzazione sarà maggiore.

CONGESTIONE MAMMARIA

Si manifesta con eccessivo gonfiore al seno associato a una sensazione di calore, durezza e pesantezza. Questa condizione si crea o a causa di un’abbondante produzione di latte o a causa di un difficile svuotamento dei seni. Può verificarsi alla montata lattea, quando cioè il latte materno vero e proprio sostituisce il colostro, oppure se passa troppo tempo tra una poppata e l’altra.

GALATTOREA

Consiste nella fuoriuscita di latte dai capezzoli. Nelle donne che allattano è un fenomeno del tutto normale, anche se non sempre si manifesta.

PERDITA DI URINA

Nel post-parto è possibile avvertire delle piccole fuoriuscite di urina, soprattutto in seguito a uno sforzo o a un colpo di tosse ed in genere scompaiono naturalmente entro un mese. Questa incontinenza è causata da un indebolimento del pavimento pelvico conseguente allo sforzo a cui sono stati sottoposti i muscoli durante il parto. Le modificazioni a cui va incontro il perineo possono anche provocare disturbi nei rapporti sessuali e in rari casi il prolasso dell’utero. Ovviamente non tutte le donne presentano queste perdite, ma è più facile che compaiano se il parto è stato particolarmente lungo, se il neonato è molto grosso e se la donna ha avuto altre gravidanze.

DISPAREUNIA

E’ un dolore che la donna avverte nell'area della vagina o della pelvi durante un rapporto sessuale. Il dolore sessuale è frequentemente riferito nel puerperio, in particolare a 6-8 settimane dal parto, anche se poi tende a risolversi con il tempo. La dispareunia è dovuta prevalentemente alla congestione dei tessuti vaginali e vulvari indotta dal progesterone, ma anche alla secchezza vaginale indotta dagli alti livelli ematici di prolattina, che sopprime la produzione di gonadotropine con conseguente stato di ipoestrogenismo. I principali fattori di rischio di dispareunia sono l’anamnesi positiva per dispareunia prima del parto, l’allattamento esclusivamente materno, l’entità del trauma perineale e l’episiotomia.

COSTIPAZIONE E EMORROIDI

E’ facile che subito dopo il parto la regolarità intestinale possa essere alterata, in più la presenza di emorroidi possono rendere difficile l’evacuazione. Molte donne, infatti, sperimentano per la prima volta le emorroidi durante la gravidanza o nel post-partum a causa della maggiore pressione che si ha sul retto inferiore e a causa dello sforzo causato dallo spingere fuori il bambino.

DIASTASI DEI RETTI

Cioè si ha una separazione dei due muscoli retti dell’addome. Un allontanamento che si verifica in gravidanza o dopo il parto e che diventa problematico quando supera i 2 centimetri. Di norma, la separazione del muscolo retto addominale si risolve entro le prime 8-12 settimane dopo il parto, fino anche a 6 mesi. Questa condizione può essere asintomatica oppure manifestarsi con diversi disturbi, come dolori lombari, problemi digestivi o incontinenza.

STANCHEZZA

Gli stravolgimenti fisici e dei ritmi, l’impegno quotidiano e costante 24 ore al giorno 7 giorni alla settimana, notti insonni, l’allattamento e la gestione della casa possono determinare nella mamma un senso di fatica e sfinimento.

SENSO DI PERDITA

La maternità è spesso accompagnata dall’isolamento. La mamma costretta a prendersi cura del neonato vive in uno stato di perdita, perdita delle esperienze desiderate, del sonno, dei suoi spazi, del tempo, della libertà, del lavoro e della cerchia sociale di adulti.

RITORNO ALLA FERTILITA’

Con il capoparto si ritorna ufficialmente ad essere fertili, nonostante ciò è importante ricordare che l’assenza di ciclo dopo il parto non significa assolutamente che la donna non sia fertile, anzi. Molti pensano che l’allattamento esclusivo protegga da una gravidanza. Per quanto la prolattina dovrebbe inibire l’ovulazione, non è detto assolutamente che sia così. 

QUANDO E’ MEGLIO CONSULTARE IL MEDICO?

E’ chiaro che il puerperio è una fase di estrema vulnerabilità della donna, la quale può sperimentare una serie di disturbi, che se anche sono temporanei appaiono un po’ invalidanti. Ci sono però dei sintomi che richiedono un maggiore approfondimento quali:

  • febbre alta superiore a 38 o forti brividi;

  • perdite vaginali maleodoranti;

  • dolore, bruciore o difficoltà a urinare;

  • gravi crampi o dolore addominale che non passano con gli analgesici;

  • aumento del rossore, del gonfiore o del dolore al perineo o separazione dei punti;

  • aumento della quantità nelle lochiazioni che richiede l’uso di più di un assorbente all’ora;

  • forte mal di testa o svenimento;

  • problemi respiratori;

  • ansia incontrollata, pensieri negativi verso se stesse o il bambino, estrema difficoltà nella gestione della quotidianità.

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