silvia c. silvia c.

Tu Non sei il Tuo Dolore

E’ importante non farsi definire dalla sofferenza che si prova, perché se il dolore è una parte naturale dell’esistenza umana, la sofferenza è invece solo una delle tante reazioni che possiamo avere di fronte ad un’esperienza dolorosa.

Sappiamo che il dolore, per quanto sia un fenomeno altamente complesso e soggettivo, è qualcosa che ci accumuna. Ciò che ci separa è come decidiamo di reagire ad esso. Il modo in cui interpretiamo il dolore determina di fatto il grado di sofferenza che proveremo, perciò anche un piccolo dolore può causare un’enorme strazio. Dall’altro canto il dolore è uno dei più potenti messaggi che il nostro corpo può inviarci. In un certo senso potrebbe essere inteso come una guida. Una guida, perché ci spinge ad assumere certi comportamenti onde evitare o prevenire un potenziale pericolo, come ad esempio nel caso del dolore acuto. Questo tipo di dolore che insorge all’improvviso è molto intenso, tanto da obbligarci ad agire immediatamente. E la medicina è molto utile in questo caso, infatti, l’assistenza medica sa bene come gestire un dolore di tipo acuto. Diversamente accade per il dolore cronico, perché questo tipo di dolore è a volte molto ambiguo, è ingannevole: va e viene, ci sono fasi di riacutizzazione e fasi di remissione, la sua identificazione non è così immediata, capita che non risponda alle normali cure e si insinua in modo subdolo nella mente della persona, ne prende le redini, scatenando un’esplosione interna di pensieri ed emozioni ostili come la rabbia, la frustrazione, la tristezza, il risentimento e l’ansia. Un dolore costante può condurre la persona all’isolamento e allo sviluppo di diversi disturbi psicologici, inoltre esso spesso comporta l'insorgenza di vari segni vegetativi (tipo la debolezza, l’insonnia, la perdita di peso o la riduzione della libido) che altro non fanno che abbattere ulteriormente il malato.

CAPIRE IL DOLORE CRONICO E’ DIFFICILE.

Sopratutto, per una società come la nostra che cova una certa avversione per tutto ciò che fa ammalare, invecchiare, imbruttire e che fa perdere la propria efficienza e autonomia. Spesso e volentieri si crea un atteggiamento di discriminazione e colpevolizzazione nei confronti di chi sta male. La pressione di non riuscire a guarire, le privazioni a cui si deve andare incontro, la perdita di controllo sul proprio corpo, l’incapacità di svolgere le attività quotidiane o di lavorare, il senso di colpa nel sentirsi un peso per le persone che ci sono accanto, quasi come se la propria sofferenza in qualche modo oscurasse la felicità dell’altro aggravano la percezione dell’evento doloroso. Colui che soffre di dolore cronico è solitamente una persona che ha investito molto del suo tempo e del suo denaro in medici, medicine, esami e trattamenti di vario tipo. Finché a un certo punto, dopo esser stato rivoltato come un calzino, gli viene detto che non si può fare di più e che deve imparare a convivere con questo dolore. Il problema è che nessuno ti insegna a farlo. Perché sì, ci vogliono delle risorse interiori per poter gestire il dolore, per imparare a tenerlo sotto una soglia di tolleranza accettabile, per riuscire ad organizzare la propria esistenza in modo soddisfacente, rivalutando le proprie priorità e al contempo mantenendo una visione ottimistica della vita e mantenendo rapporti sani con le persone che ci sono vicino. Uno dei rischi maggiori è che la persona si perda nel ripetere di continuo gli stessi esami, ma una volta che viene fatta una valutazione completa, in realtà, potrebbe essere più indicato indirizzare le proprie energie nell’alleviare il dolore e a recuperare le funzioni perse. 

PER AIUTARE CHI SOFFRE DI DOLORE CRONICO E’ INDISPENSABILE NON SOLO COMPRENDERE IL DOLORE PROVATO, MA ANCHE COMPRENDERE LA PERSONA CHE LO PROVA.

Il dolore è uno specifico bisogno di assistenza infermieristica ed è uno dei principali motivi per cui una persona richiede assistenza sanitaria. In quanto professionisti è importante fin da subito instaurare una relazione di fiducia con l’assistito, che spesso, dopo tante visite, appare al quanto sfiduciato e irritato. E’ necessario, pertanto, credergli, validare la sua sofferenza e coinvolgerlo nel percorso assistenziale. Sfortunatamente ci sono molte persone che hanno un’attitudine estremamente passiva e vedono nella figura sanitaria un salvatore, colui che metterà a posto tutto e in un battibaleno farà passare qualsiasi disturbo. E’ ovvio che la figura sanitaria è una figura di aiuto e di supporto, ma è altrettanto vero che la persona deve prendersi la responsabilità del proprio stato di salute e comprendere che il corpo non è esattamente come una macchina, cioè che quando qualcosa non funziona basta sostituire un pezzo e tutto torna come prima, specie quando si tratta di un dolore cronico. Come ho già detto, il dolore cronico è difficile da gestire: perdendo la sua funzione di avvertimento e di protezione, rende arduo capire bene quale sia stata la causa che lo ha scatenato. Infatti, succede di frequente che perda la connessione con l’evento causale e diventi a sua volta una patologia a se stante, o meglio, una malattia nella malattia. Le cause di cronicizzazione sono diverse, spesso si tratta di una patologia acuta non adeguatamente trattata e in questi casi è consigliabile agire tempestivamente e in modo deciso, ma una volta che la fase acuta è passata e il dolore si è trasformato in cronico potrebbe essere indicato una terapia multidisciplinare. Dal punto di vista infermieristico oltre alla somministrazione di farmaci e a interventi volti a migliorare la mobilizzazione, possono essere proposte varie tecniche di rilassamento e di distrazione. 

LA PERSONA CHE STA MALE HA BISOGNO DI VICINANZA E DI EMPATIA.

Poiché il dolore cronico non è solo un problema che interessa una specifica area del corpo, ma spesso si presenta come un problema che attacca l’intera persona è necessario fare un lavoro globale, considerando che noi abbiamo la possibilità di influenzare con la nostra mente, in modo positivo o negativo, l’esperienza dolorosa. Riconoscere le proprie sensazioni, abitare il proprio corpo, fare esercizi di body-scan, di respirazione e di mindfulness sono tutte azioni che possono essere messe in pratica fin da subito per alleviare la sofferenza e per aiutarci ad ascoltare i messaggi che il corpo ci invia. Chi ha dei problemi di salute, di solito, tende a focalizzarsi solo sui messaggi negativi, sull’aspetto limitante e a costruire la propria vita intorno alle preoccupazioni, ma tu non sei il tuo dolore, hai solo una visione “ristretta” del tuo corpo e di quello che puoi fare nonostante il dolore. Fare marcia indietro, smettere di vivere, di muoversi, di fare qualsiasi attività è controproducente. La paura, la sensazione di sentirsi bloccati influenzano negativamente l’esperienza dolorosa e condannano chi soffre ad un isolamento inutile. L’obiettivo nella gestione del dolore è infatti, eliminare o almeno ridurre la sofferenza psichica che inevitabilmente c’è quando dobbiamo convivere con un dolore cronico e migliorare il più possibile la qualità della vita. Il dolore da tensione muscolare, solitamente provocato da cause emotive e dallo stress, peggiora in modo significativo i malesseri già esistenti. In questi casi, si può cominciare subito con un po’ di respirazione: quando la mente è concentrata sulla regione del corpo tesa e dolente basta fare dei respiri profondi “dentro” e “fuori” e ogni volta che si espira sentire se il corpo riesce a sciogliersi sempre di più e l’intensità del dolore diminuire. E’ necessario che ogni sensazione che viene percepita venga osservata senza giudizio. Il fine è quello di riuscire ad accettare sia il malessere fisico che le emozioni agitate che ne conseguono, attimo dopo attimo, coltivando momenti di calma e di consapevolezza. Ciò che è veramente importante è evitare di identificarsi con la propria sofferenza e di imparare ad osservare il proprio dolore, piuttosto che vedere il mondo attraverso di esso.

LA RICERCA DEL BENESSERE E’ UNA STRADA TORTUOSA CON MOLTI “UPS” E “DOWNS”.

E’ normale fare un passo in avanti e subito dopo due indietro, ma le nostre aspettative (spesso frutto di condizionamenti esterni) possono fare una grande differenza a livello di percezione. La sfida è quella di lavorare “con” il dolore e non contro di esso, perché il rifiuto o la resistenza peggiorano, in realtà, l’esperienza dolorosa e impediscono alla persona di andare avanti. E’ una questione di perseveranza, di saper proteggere la propria “interezza”, senza farsi governare dal dolore. Ci sono poi dei momenti di tregua, si hanno dei giorni in cui per qualche motivo si sta meglio, ecco bisogna attaccarsi a quei momenti positivi, tenere a mente che ci sono dei giorni in cui il tuo corpo è forte e si sente bene. Utile può essere scrivere un diario dove annotare solo le cose belle che ci accadono, solo le sensazioni positive provate, questo esercizio può far cambiare notevolmente la percezione che si ha del proprio stato di salute. E’ altrettanto utile circondarsi di persone e professionisti nel campo della salute capaci di supportare gli sforzi compiuti, di dare incoraggiamento e di celebrare anche i più piccoli traguardi raggiunti.

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silvia c. silvia c.

Il Pavimento Pelvico

E’ un’area del corpo fondamentale per la nostra vita sessuale e riproduttiva e per questo è importante averne cura.

Il pavimento pelvico è un insieme di muscoli, legamenti e fasce che si estende dalla sinfisi pubica al coccige ed è delimitato lateralmente dalle tuberosità ischiatiche. L’insieme di questi muscoli chiude il bacino verso il basso e possono distinguersi tre strati:

  • lo strato superficiale, diviso in triangolo urogenitale anteriore e triangolo anale posteriore;

  • lo strato medio, rappresentato dal muscolo trasverso;

  • lo strato profondo, riconosciuto come diaframma pelvico e composto dal piano degli elevatori dell’ano.

Al suo interno sono contenuti i visceri pelvici: la vescica, l’utero e il retto e per questo è quindi implicato in diversi meccanismi fisiologici come appunto la minzione, la defecazione e l’attività sessuale. Se non ci fosse il pavimento pelvico, l’aumento di pressione che si sviluppa all’interno dell’addome durante attività come quella di soffiarsi il naso, starnutire, tossire o sollevare pesi provocherebbe una spinta verso il basso di questi organi e la fuoriuscita di urina, feci o gas. Pertanto, le funzioni del pavimento pelvico sono:

  • sostenere gli organi pelvici,

  • delimitare lo spazio addominale. Il pavimento pelvico chiude una regione anatomica che non è solo quella della piccola pelvi, ma anche di tutta la cavità addominale sotto-diaframmatica,

  • garantire la continenza urinaria e fecale,

  • contribuire insieme al bacino, ai muscoli addominali e alla muscolatura della colonna vertebrale a mantenere un equilibrio stabile del corpo durante le attività quotidiane e i diversi movimenti,

  • garantire la qualità della vita sessuale,

  • sostenere nel travaglio e nel parto il collo dell’utero sino al completamento della dilatazione cervicale.

TUTTE LE STRUTTURE DEL PAVIMENTO PELVICO SONO IMPORTANTI, ANCHE UN SOLO MUSCOLO TROPPO LASSO O TROPPO TESO PUO’ PROVOCARE DELLE DISFUNZIONI CHE SI MANIFESTANO CON SINTOMI SPECIFICI.

La consistenza delle strutture tendinee e connettivali delle fibre muscolari del pavimento pelvico si modificano in base al clima ormonale che caratterizza le diverse fasi della vita di una donna, perciò un’alterazione del quadro ormonale come accade ad esempio in gravidanza o in menopausa, comporta una ripercussione su tutto il pavimento pelvico. Altri fattori che incidono sul benessere di questo spazio anatomico sono il peso, lo svolgimento di lavori o sport molto intensi, la distensione durante il parto, il trofismo delle mucose, interventi chirurgici, la tosse cronica, la predisposizione genetica e anche forme di stipsi severa. 

LE ALTERAZIONI DEL TONO MUSCOLARE SONO RESPONSABILI DELLA MAGGIOR PARTE DELLE DISFUNZIONI DEL PAVIMENTO PELVICO.

L’ipotono e l’ipertono dei muscoli del pavimento pelvico sono le due condizioni muscolari più frequenti che possono dare origine a una varietà importante di sintomi. Queste due condizioni possono anche coesistere e in questo caso è importante risolvere sempre prima l’ipertono, per poi concentrarsi sull’ipotono. Quando i muscoli del pavimento pelvico sono ipotonici la capacità di sostenere gli organi interni e di garantire la continenza vengono meno. Possono, pertanto, comparire alcuni sintomi come un senso di peso nell’area pelvica, oppure perdite di urina o di gas e feci, di solito a seguito di sforzi anche lievi. Sono collegati all’ipotono svariate problematiche come i disturbi dello stimolo urinario, il prolasso dei visceri pelvici e l’incontinenza urinaria. Ci sono diversi tipi di incontinenza come, per esempio, l’incontinenza urinaria da sforzo, l’incontinenza urinaria mista, l’incontinenza urinaria da urgenza e molte altre forme. Quando è presente pollachiuria, infiammazione, cattivo odore o bruciore è importante escludere anzitutto una cistite. Generalmente le disfunzioni da ipotono non danno dolore, al contrario di quelle da ipertono. In questa condizione i muscoli risultano troppo contratti e possono determinare forti dolori sopratutto durante i rapporti sessuali, secchezza vaginale e vaginismo secondario.

I MOMENTI DELLA VITA FEMMINILE CHE RICHIEDONO PIU’ ATTENZIONE SONO LA MENOPAUSA, LA GRAVIDANZA E OVVIAMENTE IL PARTO.

Si stima che oltre l’85% delle donne che hanno partorito per via vaginale abbia subito un qualche grado di traumatismo perineale. Durante la gestazione abbiamo una secrezione importante di progesterone, di estrogeni e relaxina che vanno ad ammorbidire sia i connettivi che i muscoli di tutto il corpo, per agevolare l’apertura in vista del parto. Perciò, una secchezza in gravidanza è alquanto sospetta, poiché in teoria l’abbondante produzione di estrogeni dovrebbe favorire un’umettazione extra delle mucose, quindi se si verifica è bene che la futura mamma eviti stress e preoccupazioni varie, per permettere il rilassamento ed il radicamento del bambino nell’utero. Ovviamente questo ammorbidimento associato all’incremento ponderale ha delle ripercussioni su tutta la muscolatura del pavimento pelvico. I fattori di rischio per danno perineale sono:

  • primiparità, 

  • incremento ponderale materno elevato, 

  • ipertonia dei muscoli elevatori, 

  • spinte espulsive intempestive, 

  • neonato di peso elevato,

  • parto precipitoso,  

  • distocia della spalla,

  • eccessiva lunghezza della seconda fase del travaglio. 

QUANDO SI LAVORA NELL’AMBITO DI UN PERCORSO DI PREPARAZIONE AL PARTO LA FINALITA’ DEGLI ESERCIZI CHE VENGONO PROPOSTI NON SARA’ TANTO QUELLA DI RINFORZARE I MUSCOLI, MA PIUTTOSTO QUELLA DI PROMUOVERE IL RILASSAMENTO E FAVORIRE LA CAPACITA’ DELLA DONNA DI PORTARE L’ATTENZIONE SUL PROPRIO PAVIMENTO PELVICO.

La valutazione del pavimento pelvico può essere fatta anche in gravidanza, solitamente, durante il secondo trimestre, tra la ventiduesima e la ventottesima settimana di gestazione. Nel caso venga riscontrato un ipertono è importante spiegare alla futura mamma la necessità di fare degli esercizi mirati, per cercare di alleviare lo stato di contrazione. Quando c’è ipertono, infatti, la donna può lamentare mal di schiena ed alterazioni posturali, inoltre può essere un fattore di rischio durante il parto perché può rendere la fase espulsiva particolarmente lunga e dolorosa. Durante la gravidanza il peso del bambino e dell’utero fanno incrementare notevolmente la forza discendente, minando la stabilità e l’equilibrio del corpo. La donna gravida in modo inconsapevole corregge la sua postura; mette in atto degli adattamenti muscolo-scheletrici per rimanere in equilibrio, reagendo alla forza di gravità nella maniera più economica possibile, con la massima stabilità e il massimo confort. I principali aggiustamenti sono a carico del rachide lombare del bacino, determinando una lordosi lombare accentuata, favorita anche dalla riduzione di tono dei muscoli retti addominali. Gli esercizi proposti in caso di ipertono sono comunque molto simili a quelli consigliati come preparazione al parto: quindi esercizi che lavorano sul rilassamento del corpo e sulla respirazione. Infatti, per valutare il pavimento pelvico è importante saper fare anche una valutazione della modalità di respirazione della donna e scoprire se lei riesce ad usare bene il suo diaframma. Il diaframma respiratorio si muove in modo sincrono rispetto al diaframma pelvico: il diaframma respiratorio scendendo aumenta la pressione all’interno della cavità addominale e così anche nella cavità pelvica che ne è in continuità. Il diaframma pelvico quindi scende per l’aumento di pressione creata dalla respirazione e sale durante l’espirazione. Oltre che con il diaframma respiratorio, il pavimento pelvico è connesso con il cavo orale, proprio perché c’è un collegamento embriogenetico tra la bocca e la vagina. Quindi, molti esercizi sono indirizzati al rilassamento della bocca, delle labbra, delle guance e anche della radice del naso, perché questo stato di rilassamento facciale si rifletterà anche nella regione perineale. Quando si spinge, durante la fase espulsiva, non bisogna farlo in apnea, a glottide chiusa, ma espirando ed eventualmente anche vocalizzando.

MENTRE IN GRAVIDANZA VIENE PROMOSSO IL RILASSAMENTO, IN PUERPERIO SI PREFERISCONO ESERCIZI DI CONTRAZIONE PER MIGLIORARE IL TONO E LA FORZA MUSCOLARE.

Il parto, come abbiamo già detto, può provocare un indebolimento dei muscoli pelvici che può dar luogo a molti fastidi come perdite di urina o una lassità vaginale post-partum. Per risolvere queste condizioni si può intraprendere un percorso di rieducazione del pavimento pelvico già alcuni mesi dopo aver partorito. Molto utili sono gli esercizi di Kegel proprio perché vanno a tonificare i muscoli della zona perineale, che però non vanno fatti in caso di ipertono precedentemente diagnosticato. Accanto a questi esercizi, vanno sempre bene gli esercizi respiratori, l’utilizzo di tecniche immaginative (ad es. immaginando la vulva come una spugna che viene strizzata) oppure esercizi di autopercezione. E’ importante che la donna sia in grado di controllare selettivamente i muscoli del pavimento pelvico, come è altrettanto importante trattare prontamente e correttamente la presenza di lacerazioni e di secchezza a livello delle mucose, la secchezza infatti può aggravare la sintomatologia dolorosa, sopratutto durante i rapporti sessuali.

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silvia c. silvia c.

L’Apparato Genitale Femminile. Appunti

Gli organi principali dell’apparato genitale femminile sono le ovaie, le tube di Falloppio, l’utero, la vagina e i genitali esterni.

LE OVAIE

Sono organi pari, piccoli e a forma di mandorla che alloggiano nelle pareti laterali della piccola pelvi. Hanno una duplice funzione: riproduttiva in quanto contengono le cellule uovo ed endocrina in quanto producono gli ormoni femminili, cioè gli estrogeni e il progesterone.

LE TUBE DI FALLOPPIO (o anche Salpingi) 

Sono due organi tubolari pari e simmetrici lunghi circa 10-13 cm che collegano l'ovaio alla cavità uterina. Il loro ruolo nella funzione riproduttiva è importante e complesso. Esse infatti sono indispensabili per la captazione dell’ovocita dopo l’ovulazione e il suo trasporto in direzione dell’utero, per la migrazione degli spermatozoi e la loro capacitazione, per la fecondazione ed il transito tubarico dell’embrione verso l’utero e le sue prime sue fasi di sviluppo. 

L’UTERO

E’ un organo muscolare cavo a forma di pera rovesciata posto al centro della piccola pelvi, tra la vescica (anteriormente) e il retto (posteriormente). Può essere distinto in due regioni anatomiche principali: il corpo e il collo detto anche cervice. La parete uterina è composta da 3 strati: quello più interno che è l’endometrio, poi il miometrio ed infine il perimetrio. Questo è l’organo deputato ad accogliere l’ovulo fecondato, a consentirne lo sviluppo e a espellere il feto quando la gravidanza giunge al termine. 

LA VAGINA 

E’ un canale lungo circa 8-12 centimetri che unisce il collo dell’utero alla vulva. E’ situata davanti al retto e dietro alla vescica e all’uretra. In condizioni fisiologiche le pareti vaginali collabiscono  e la cavità diventa virtuale, ma riesce tranquillamente a dilatarsi durante i rapporti rapporti sessuali e durante il parto.

GLI ORGANI GENITALI ESTERNI

Le strutture genitali esterne sono costituite dal monte di Venere, le grandi labbra, le piccole labbra e la clitoride. L’area che contiene queste strutture è detta vulva.

L’attività dell’apparato genitale femminile è sotto il controllo di ormoni secreti sia dall’ipofisi che dalle gonadi, che interagiscono fra loro. Gli ormoni circolanti controllano il ciclo riproduttivo, coordinando il ciclo mestruale e quello ovarico in modo da assicurare la riproduzione. Se i due cicli non vengono regolati appropriatamente, si verifica la sterilità. Questi ormoni sono:

GnRH - ORMONE DI RILASCIO DELLE GONADOTROPINE

Viene secreto dall’ipotalamo per poi raggiunge l’ipofisi dove stimola la secrezione dell’FSH e dell’LH. 

FSH - ORMONE FOLLICOLO STIMOLANTE

Viene secreto dall’ipofisi sotto stimolazione della GnRH e il suo compito è quello di agire sulle ovaie stimolando la crescita e la selezione del follicolo, che successivamente rilascerà l’ovocita durante l’ ovulazione. Quindi, avvia lo sviluppo del follicolo e la secrezione di estrogeni da parte di questo.

LH - ORMONE LUTEINIZZANTE 

Anche questo ormone viene secreto dall’ipofisi e ha il compito di stimolare l'ovulazione e la conversione del follicolo ovarico in corpo luteo, oltre a promuovere la produzione di progesterone.

ESTROGENI 

Sono degli ormoni steroidei secreti dalle ovaie che determinano lo sviluppo dell'apparato genitale della donna, regolando il ciclo mestruale, la gravidanza, la fertilità e i caratteri sessuali. Le donne producono tre tipi di estrogeni, in base all’età, allo stile di vita, alla dieta, alla percentuale di grasso, all’assetto genetico e alla gravidanza e questi sono: l’estradiolo, l’estrone e l’estriolo. I livelli di estrogeni raggiungono il loro picco dopo la fine della mestruazione, vengono prodotti dal follicolo dominante e a loro volta inducono il picco di LH che provoca l’ovulazione.

PROGESTERONE

Viene prodotto dal corpo luteo, il quale si forma nella sede in cui è stato rilasciato l’ovulo da una delle due ovaie, grazie all’azione dell’ormone luteinizzante. La funzione principale del progesterone è quella di interrompere lo sviluppo dell’endometrio per preparare l’utero all’eventuale impianto dell’uovo fecondato, bloccando la risposta immunitaria materna che porterebbe alla fagocitosi dell’embrione riconosciuto come corpo estraneo.

Il ciclo uterino comincia alla pubertà. Il primo ciclo chiamato menarca, si manifesta generalmente intorno agli 11-12 anni di età. I cicli continuano fino ai 45-55 anni di età, quando se ne verifica la cessazione, o menopausa. Quindi, durante la vita fertile di una donna, cioè dal primo ciclo alla menopausa, ogni mese iniziano a maturare più di 20 follicoli, ma, salvo eccezioni, solo uno arriva al termine della maturazione, rilasciando un ovocita che, una volta fecondato dallo spermatozoo, dà origine allo zigote, terminando la sua maturazione. La riduzione o l’esaurimento della riserva ovarica coincidono con la premenopausa e la menopausa della donna. Il follicolo ovarico, invece, è una struttura che fa parte dell’ovaio e che contiene nella sua parete interna un ovocita destinato a maturare. Ogni follicolo ha il potenziale per rilasciare un uovo che può essere fecondato. La presenza dei follicoli incide direttamente sulla fertilità femminile: la probabilità di ottenere una gravidanza, infatti, è direttamente correlata con il numero di follicoli presenti in un ovaio, numero che tende a diminuire con il tempo. La durata ideale di un ciclo riproduttivo femminile è di circa 28 giorni e in esso si distinguono 3 fasi: la fase follicolare, la fase ovulatoria e quella luteinica.

LA FASE FOLLICOLARE O PROLIFERATIVA

Costituisce il periodo compreso fra il primo giorno della mestruazione e l’ovulazione. Questa fase può essere a sua volta suddivisa in 3 sottofasi dette: fase preantrale, fase antrale e fase pre-ovulatoria. Praticamente, alcuni follicoli vengono reclutati sotto lo stimolo dell’FSH. I follicoli iniziano così a sintetizzare gli estrogeni. Intorno al sesto giorno, un singolo follicolo supera in dimensione gli altri e diventa follicolo dominante o follicolo maturo o di Graaf che si accresce finché è pronto per l’ovulazione, formando una sorta di protuberanza sulla superficie dell’ovaio. Il follicolo dominante produce una sostanza chiamata inibina che esercita un feedback negativo sulla secrezione di FSH  e allo stesso tempo provoca atresia degli altri follicoli reclutati.

LA FASE OVULATORIA

Il progressivo aumento di estrogeni in circolo inibisce la produzione di FSH, stimolando invece la produzione di LH che determina la rottura del follicolo e la liberazione di una cellula uovo nella tuba uterina. Ciò di solito avviene intorno al 14esimo giorno.

LA FASE LUTEINICA O POSTOVULATORIA

Rappresenta il periodo che intercorre fra l’ovulazione e l’inizio della mestruazione successiva. A seguito dell’ovulazione, il follicolo maturo collassa e, sotto lo stimolo dell’LH, le restanti cellule follicolari si ingrossano e vanno a formare il corpo luteo. Nell’utero, gli estrogeni e il progesterone prodotti dal corpo luteo promuovono la crescita delle ghiandole endometriali che secernono glicogeno e inducono la vascolarizzazione e l’ispessimento dell’endometrio (fase secretiva ). Se l’ovocita non è stato fecondato, il corpo luteo permane per due settimane e poi degenera e si hanno quindi le mestruazioni. Se invece avviene la fecondazione il corpo luteo persiste oltre le due settimane, mantenuto dalla gonadotropina corionica umana (HCG) che è un ormone prodotto dall’embrione a partire dall’ottavo giorno dopo la fecondazione. L’HCG stimola l’attività secretoria del corpo luteo che continua a secernere progesterone necessario per accogliere l’embrione nelle prime fasi della gravidanza.

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silvia c. silvia c.

Gut Health

La salute dell'intestino svolge un ruolo chiave nel benessere generale della persona, infatti il microbiota è in grado di influenzare le attività corporee in molti modi. 

I disordini intestinali sono alla base della maggior parte dei mali che affliggono il nostro organismo: astenia, calo ponderale, meteorismo, cefalee, allergie, reflusso, gastrite, disfunzioni metaboliche e ormonali, ipertrofia linfatica e sovraccarico epatico, sono alcuni esempi. Di conseguenza è diventato sempre più importante concentrarsi su quelle abitudini che assicurano il mantenimento dell’equilibrio e dell’efficienza intestinale. 

SE FA MALE, EVITALO O GUARISCILO

Occorre anzitutto intervenire su quelle condizioni ritenute responsabili dell’intossicazione generale del corpo, del sovvertimento del normale stato di eubiosi all’interno dell’intestino e delle alterazioni della mucosa stessa, come ad esempio le colonizzazioni batteriche, la presenza di parassiti e di infezioni virali. Trascurare un raffreddore, non riposarsi né mangiare adeguatamente quando si ha un virus, sopratutto durante il periodo di convalescenza oppure imbottirsi di farmaci, sono tutte cattive abitudini che non favoriscono di certo il riequilibrio gastrointestinale. Non vanno sottovalutate le condizioni che in qualche modo esasperano i malesseri intestinali, perché a lungo andare diventeranno ingestibili, perciò trattare come si deve oltre i virus influenzali anche le disbiosi da sregolatezze alimentari, le intolleranze ed infine le carenze di vitamine e di minerali. Le terapie farmacologiche prolungate, non sempre necessarie, con antibiotici, cortisone, fans, antireflusso e inibitori della pompa protonica e stati di intossicazione da metalli pesanti, pesticidi e inquinamento ambientale, spopolano il microbiota, deprivandolo dei suoi batteri buoni. Altre condizioni da considerarsi dannose sono la sedentarietà e lo stress, perché aumentano l’infiammazione e modificano in maniera negativa la composizione del microbiota, come anche la costipazione cronica e la digestione difficoltosa da carenza enzimatica, poiché determinano un accumulo dei rifiuti organici in circolo.

MANGIA CON CONSAPEVOLEZZA

Il riequilibrio intestinale è strettamente correlato alla nutrizione, per questo è necessario sostituire la dieta industriale cioè tossica, inquinata, che incentiva il consumo di notevoli quantità di cibo finto a favore di un’alimentazione variata, colorata, locale e di stagione che predilige cibi semplici e poco irritanti per gli organi digestivi. Il superamento della dipendenza da cibo e dell’emotional eating rappresenta la prima fase di questo processo di cambiamento. Siamo spesso soggetti a stimoli di fame che non hanno una vera giustificazione fisiologica, anzi più che stimoli si tratta di voglie che ci prendono solitamente di sera quando è finita la giornata. Per questo è buona abitudine rifornire il corpo in modo accurato, evitando di saltare i pasti, specie la colazione ed evitando i picchi glicemici e l’iperinsulinismo. Il secondo punto è gestire le intolleranze alimentari. Praticamente gli alimenti non tollerati dall’organismo sono in grado di generare delle reazioni infiammatorie a livello intestinale di bassa intensità. Cibi pro-infiammatori sono gli alimenti industriali, i carboidrati raffinati, il frumento, i prodotti caseari, i lieviti e le solanacee cioè patate, pomodori, peperoni, peperoncino e melanzane. Introdurre sistematicamente queste sostanze irrita l’intestino e quando l’intestino sta male il fegato ne risente, dovendo lavorare di più per eliminare gli scarti tossici. 

RIPARA LA MUCOSA E RIPOPOLA IL MICROBIOTA

In generale, la dieta tossica non ha i nutrienti sufficienti a nutrire in modo ottimale il corpo o per riparare gli organi digestivi, inoltre le alterazioni della mucosa e della funzionalità intestinale generano parecchie carenze di vitamine e minerali. Queste carenze sono deleterie non solo per l’apparato digerente, ma per il funzionamento dell’intero organismo, per questo vanno trattate con un’alimentazione sana e con l’assunzione di integratori specifici. Un esempio è il caso della vitamina B12, questa vitamina non viene prodotta al nostro interno, ma dobbiamo assumerla tramite la dieta e viene assorbita a livello dei primi tratti dell’intestino. Perciò un regime alimentare non equilibrato, l’infiammazione o patologie gastroenteriche determinano un malassorbimento con conseguenze importanti anche di tipo sistemico. Accanto al reintegro di vitamine e sali e al ripristino del corretto assorbimento dei nutrienti è necessario  ripopolare il microbiota con “batteri buoni”, preservandone così la biodiversità. I probiotici sono dei microrganismi attivi, in grado di sopravvivere alle barriere naturali dell’organismo e di interagire con le cellule dell’epitelio dell’intestino. Assunti in adeguate quantità favoriscono l’equilibrio dell’ecosistema intestinale poiché hanno la capacità di controllare la proliferazione dei microrganismi nocivi. Per vivere, i probiotici hanno bisogno del giusto nutrimento fornito dai prebiotici, cioè quelle sostanze presenti nel cibo che non vengono digerite. Le fibre prebiotiche si possono trovare in alcuni alimenti come la farina di frumento, le banane, il germe di grano, i fagioli, i porri, le cipolle, l’aglio, i carciofi, l’avena, gli asparagi, le noci  ed in generale in tutti quei cibi ricchi di fibre sotto forma di inulina. L’assunzione di prebiotici migliora l'assorbimento dei sali minerali e delle vitamine, regola i livelli di zucchero nel sangue e favorisce la crescita nel colon di una o più specie batteriche “buone” per l’intestino.

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silvia c. silvia c.

La Salute Inizia  dall’Intestino

Centro della vitalità, controllo doganale degli alimenti e canale di scarico, oltre ad essere sede del microbiota umano, l’intestino svolge  numerose funzioni, indispensabili per la nostra salute e per questo motivo è uno degli organi più importanti del corpo.

Nella prima porzione di questo organo, cioè nel duodeno, il chimo proveniente dallo stomaco viene sottoposto dapprima all'azione del succo pancreatico e della bile e dopo nei tratti successivi, a quello del succo intestinale. Le contrazioni dell’intestino, insieme al rilascio di enzimi spezzano il cibo chimicamente e gli alimenti così degradati in sostanze semplici possono essere assorbiti, già a partire dal duodeno e poi lungo tutto il  digiuno e l’ileo, attraverso apposite strutture chiamate villi intestinali, che consentono di ampliare notevolmente la superficie disponibile per ultimare la trasformazione delle sostanze nutritive. 

L’INTESTINO TENUE SERVE PER FILTRARE GLI ALIMENTI, SEPARANDO LE SOSTANZE ASSIMILABILI, CIOE’ QUELLE CHE VERRANO CONVOGLIATE AL FEGATO PER POI ESSERE DISTRIBUITE IN TUTTO L’ORGANISMO, DA QUELLE NON ASSIMILABILI, OVVERO QUELLE CHE PROSEGUIRANNO NEL CRASSO PER ESSERE ESPULSE ATTRAVERSO LE FECI.

L’intestino crasso, invece, funziona come una specie di magazzino per le parti non digerite degli alimenti e se nel tenue, anzi più specificatamente nel digiuno e nell’ileo avviene l’assorbimento dei nutrienti e anche delle tossine quando l’integrità della mucosa è alterata, nel crasso avviene solo l’assorbimento dell’acqua e degli elettroliti. Inoltre, mentre il transito tra stomaco e tenue può richiedere intorno alle 6-7 ore, qui è più lento. In genere possono passare dalle 40 alle 50 ore dal momento in cui si mangia al momento in cui i residui alimentari lasciano il corpo come rifiuto e la maggior parte di queste ore sono spese nel colon. Ovviamente la quantità di cibo introdotta, se è solida o liquida, la composizione chimica dell’alimento stesso, così come il modo in cui questo viene masticato, influenzano il tempo necessario di permanenza del contenuto alimentare al nostro interno. Se il cibo passa troppo velocemente l’assorbimento delle sostanze nutritive sarà compromesso, mentre se passa molto lentamente verrà estratta troppa acqua dalle feci rendendone difficile il passaggio. 

UN INTESTINO INGOLFATO, IRRITATO DALLA QUALITA’ DEI CIBI INGERITI, SOLLECITATO DAI SUPER-CARICHI DIGESTIVI, DEPRIVATO DELLA SUA CARICA DI BATTERI BUONI, AVRA’ UNA MUCOSA INFIAMMATA E PERMEABILE, RESPONSABILE DI DIVERSI MALESSERI, NON SOLAMENTE DI NATURA GASTROINTESTINALE.

Con la sua estesa superficie, quest’organo è l'area più ampia del corpo sottoposta a un costante stimolo antigenico, cioè quello degli alimenti assunti e per questo ultimamente si è posta molta attenzione sulle interazioni tra cibo, microbiota, sistema immunitario e sviluppo delle malattie a patogenesi immuno-allergica. L’intestino non è però solo sede del sistema immunitario - visto che contiene l’80% delle cellule deputate alla difesa dell’organismo localizzate al di sotto dell'epitelio di rivestimento della sua mucosa - ma dispone anche di una rete di cellule molto simili a quelle presenti nel sistema nervoso, tant’è che si parla di cervello intestinale. I due cervelli, quello centrale e quello enterico comunicano tra loro attraverso uno scambio di informazioni mediato dal sistema endocrino, dal sistema immunitario e dal nervo vago. Ad esempio, l’infiammazione intestinale cronica può giocare un importante ruolo negli stati depressivi, a causa di alterazioni a carico della secrezione di serotonina. Infatti, il sistema serotoninergico è localizzato per più del 90% nell’intestino. I pensieri negativi attivano i circuiti dell’ansia, provocando sia un aumento della motilità intestinale, sia un aumento dell’infiammazione della mucosa, cosa che a lungo andare può anche  determinare l’insorgenza di alcune patologie, tipo la sindrome del colon irritabile.

I BATTERI PRESENTI NELL’INTESTINO PRODUCONO DEI NEUROTRASMETTITORI CHE SONO IN GRADO DI INFLUENZARE L’UMORE, I NOSTRI COMPORTAMENTI, I NOSTRI PENSIERI E ALTRE CAPACITA’ COGNITIVE.

Persino le fasi dello sviluppo del bambino sono fortemente condizionate dall’ecosistema microbico, giocando un ruolo significativo sia sulla sua immunità, sia sulla sua cognizione, oltre che sulla programmazione del sistema metabolico e sulla velocità di crescita. Il microbiota incide, infatti, sull’intero metabolismo umano, come ad esempio sull’accumulo di grasso ed energia e sulla tolleranza al glucosio. Inoltre, condiziona il funzionamento del sistema digerente, sintetizza alcune vitamine come quelle del gruppo B e la vitamina K, consente l’assorbimento del calcio, del  magnesio e del ferro e in ultimo funge da barriera dell’organismo contro la penetrazione di agenti patogeni esterni, oltre ad inibire lo sviluppo di specie opportuniste la cui crescita è normalmente ridotta. 

DAL MICROBIOTA NON SOLO DIPENDONO LA FUNZIONALITA’ DIGESTIVA E LA DIFESA DELL’ORGANISMO, MA ANCHE IL SENSO DI SAZIETA’, LA LUCIDITA’ DI PENSIERO, IL MANTENIMENTO DELL’ATTIVITA’ CEREBRALE, IL SENSO DI BENESSERE ED IL LIVELLO DI ENERGIA PERCEPITA. 

Condizioni come l’obesità, le malattie metaboliche, le infiammazioni cutanee, la sindrome dell’intestino irritabile, l’Alzheimer, il Parkinson, la depressione, la schizofrenia e i disturbi dello spettro autistico, sono state tutte poste in relazione proprio con le alterazioni del microbiota. Per questo motivo l’intestino va protetto e curato, poiché il suo benessere è un requisito fondamentale per una buona salute. 

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silvia c. silvia c.

Sindrome del Colon Irritabile

E’ un disordine funzionale dell’intestino, caratterizzato da dolore addominale e alterazioni del ritmo delle evacuazioni in assenza di modificazioni strutturali della parete intestinale.

Non ci sono danni a carico della mucosa, ma qualcosa non va nella comunicazione tra cervello e intestino. Quest’ultimo appare più sensibile, appunto irritabile, perciò, anche normali condizioni come consumare un pasto, avere le mestruazioni o dover sostenere un’interrogazione a scuola, diventano i fattori scatenanti di una sintomatologia piuttosto dolorosa e abbastanza variabile da persona a persona. 

LA SINDROME DEL COLON IRRITABILE E’ UN DISTURBO DI TIPO CRONICO-RICORRENTE CHE COLPISCE AD OGNI ETA’, ANCHE SE L’ESORDIO E’ SPESSO PRIMA DEI 45 ANNI.

I sintomi maggiormente riferiti sono il dolore addominale, di solito in fossa iliaca sinistra, il dolore lombare e quello pelvico. A questi si aggiungono meteorismo, tenesmo, senso di gonfiore, reflusso gastroesofageo e nausea. Pertanto il dolore addominale ricorrente è il sintomo chiave, questo dolore è episodico e crampiforme, ma può sovrapporsi a un dolore costante di fondo. L’intensità è variabile, può perfino interferire con le attività quotidiane e in genere è alleviato dall’emissione di gas o feci. E’ presente l’alternanza di stipsi e diarrea, generalmente con un quadro che predomina sull’altro. Non mancano poi quei sintomi di natura extra-addominale come la cefalea, la stanchezza cronica, le affezioni genito-urinarie e problemi a carico dell’articolazione temporo-mandibolare. L’infiammazione del nervo vago assieme all’iperattività e all’iperalgesia viscerale determinano, nei soggetti colpiti da questa sindrome, un’aumentata percezione del dolore durante la distensione addominale, quindi ogni sensazione viscerale che normalmente dovrebbe essere a malapena percepita è invece amplificata. Chi soffre di IBS lamenta un aumento delle eruttazioni e della flatulenza, anche se le indagini spesso riferiscono che la quantità di gas e normale, il che fa pensare che ci sia una ridotta tolleranza alla distensione.

NON C’E’ UNA CAUSA SPECIFICA CHE SPIEGHI QUESTO INSIEME DI SINTOMI.

L’eziopatogenesi della sindrome non è ben conosciuta e la diagnosi è soprattutto clinica, poiché non esistono ancora specifici marker diagnostici. Sono state però riconosciute alcune condizioni che sembrano avere un ruolo nella comparsa dei disturbi:

LA PREDISPOSIZIONE GENETICA

Secondo certi studi, i genitori (in modo particolare la madre) potrebbero trasmettere alla propria prole una suscettibilità ai disturbi del colon.

I FARMACI

Trattamenti con cortisonici, antibiotici e fans prolungati che alterano il microbiota.

ALLERGIE O INTOLLERANZE

Specie ai latticini, al glutine o al fruttosio.

GLI SQUILIBRI ORMONALI

Sembra esserci una connessione con gli ormoni sessuali, infatti si ha una prevalenza di IBS nelle donne in età fertile, inoltre c’è un aumento dei sintomi proprio in corrispondenza del ciclo mestruale e della gravidanza.

DISTURBI PSICOLOGICI

Traumi o eventi stressanti ripetuti. Ipocondria e personalità ossessivo-compulsiva.

ALTERAZIONI DEL NORMALE STATO DI EUBIOSI INTESTINALE

Quindi disbiosi, SIBO e tutte quelle infezioni o infiammazioni intestinali acute, avvenute prima della comparsa della sindrome del colon irritabile. I fattori di rischio per lo sviluppo di un’IBS post-infettiva includono, in ordine di importanza, la durata della malattia iniziale, la tossicità del ceppo batterico infettante, il sesso femminile e la presenza di disbiosi. La disbiosi agendo in concerto con una suscettibilità genetica e con insulti ambientali può alterare il sistema immunitario e produrre produrre una risposta  pro-infiammatoria che modifica il rilascio di ormoni (come ad es. il cortisolo) che a loro volta possono alterare la motilità e la permeabilità intestinale. 

DISFUNZIONE DEL MUSCOLO DIAFRAMMA

Convivere con questa sindrome non è facile poiché è molto invalidante dal punto di vista sociale, in più con la sua varietà di sintomi e di fattori scatenanti impone un trattamento multidisciplinare. 

Visto il forte legame con la sfera psicologica, sarebbe opportuno iniziare un trattamento psicoterapeutico, anche se generalmente i soggetti colpiti tendono a rifiutarlo. Questo perché sono molto focalizzati sui propri segnali corporei e sui loro malesseri, tanto da trascurare o comunque sottovalutare i loro reali bisogni a livello emotivo, nonostante che siano poi questi - nella maggior parte dei casi - i fattori responsabili dell’insorgenza della patologia. La psicoterapia cognitivo comportamentale e le tecniche di mindfulness sono aiuti molto validi, poiché permettono di identificare con chiarezza la relazione tra i propri pensieri, i comportamenti che si mettono in atto (specie quelli legati all’alimentazione) ed i sintomi dell’IBS. Inoltre consentono di imparare tecniche specifiche per la gestione dell’ansia, degli attacchi di panico e di rilassamento. E’ inoltre importante rivolgersi ad un medico specialista, che dia indicazioni anche di tipo farmacologico - se ritenute necessarie -  ad esempio prescrivendo probiotici o enzimi digestivi e ovviamente andrebbe consultato un nutrizionista per avere una dieta personalizzata. L’educazione alimentare è fondamentale ed è importante capire come il nostro corpo e il nostro processo digestivo funzionano. 

OGNI ALIMENTO VIENE DIGERITO IN UN DETERMINATO PUNTO DELL’APPARATO DIGERENTE, PERCHE’ CIASCUN SEGMENTO HA DELLE CARATTERISTICHE SPECIFICHE IN TERMINI DI TEMPERATURA, DI GRADO DI ACIDITA’ E PRESENZA DI DETERMINATI ENZIMI.

Per questa ragione è giusto seguire diete bilanciate che agevolino il lavoro degli organi digestivi. Tutto quello che introduciamo con l’alimentazione causa una cascata di reazioni al nostro interno che possono essere sia buone che cattive. Ad esempio l’introduzione di grassi saturi, in particolare quelli derivati ​​dai latticini (ma presenti anche in molti prodotti da forno e nei preparati industriali) modifica la composizione del microbiota intestinale, fino al punto di creare uno squilibrio tale da innescare una risposta immunitaria che a sua volta provoca infiammazione e danni ai tessuti. 

VISTO CHE L’INTESTINO E’ LA PARTE DEL NOSTRO CORPO MAGGIORMENTE SOGGETTA ALLE SOLLECITAZIONI ESTERNE E’ ANCHE L’ORGANO PIU’ FACILMENTE INFIAMMABILE.

Per questo motivo i disturbi intestinali sono molto frequenti e colpiranno sempre più persone, se non si interviene prontamente sulla qualità e la quantità del cibo che mangiamo. Un team australiano ha individuato un gruppo di sostanze - identificate con l’acronimo FODMAP che in italiano sta per oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi e polioli fermentabili - che possono essere collegate alla sindrome del colon irritabile. Praticamente si tratta di zuccheri poco assorbibili, presenti in moltissimi alimenti e che vengono fermentati nell'intestino causando gonfiore e dolore addominale, ovvero i sintomi tipici dell’IBS. L’assunzione di queste sostanze non provoca una risposta immunitaria o una reazione infiammatoria, piuttosto causano distensione addominale, che nei soggetti più sensibili, può essere percepita in modo particolarmente doloroso. Siccome sono presenti in molti alimenti, la sintomatologia ad esse associata è connessa più che altro ad un loro accumulo all’interno del lume intestinale, per questa ragione la Low-FODMAP-Diet si basa sulla scelta di quei cibi che contengono la minor quantità di queste sostanze, evitando invece quelli in cui abbondano, tipo la frutta molto zuccherosa come mele e pere, oppure gli asparagi, la cipolla, l’aglio, il cavolo cappuccio e la cicoria, le torte, i biscotti, il miele, i legumi, i cibi contenenti sorbitolo tipo le prugne o i dolcificanti artificiali. 

CIBI NEMICI DEL COLON IRRITABILE, DA RIDURRE O EVITARE DURANTE LA FASE ACUTA:

  • FODMAP;

  • bibite gassate, alcol, succhi di frutta e caffè;

  • prodotti industriali;

  • dolcificanti naturali e artificiali;

  • latticini,

  • cioccolata, miele e marmellata;

  • farinacei raffinati;

  • spezie piccanti;

  • lievito di birra;

  • i mix tra glutine e alimenti fermentati;

  • l’eccesso di frutta, di verdura, di grassi e di cibi integrali o multicereali;

  • certi ortaggi come i cavolfiori, le cipolle, l’aglio ed il sedano;

  • frutta a guscio; 

  • il brodo di carne,

  • gli insaccati e le salse come la maionese.

In caso di IBS è fondamentale riconoscere cosa provoca la comparsa dei disturbi, considerando che questi fattori scatenanti sono variabili a seconda della persona. Questa consapevolezza aiuta in qualche modo a riprendere il controllo della propria vita, poiché permette di identificare ed evitare eventuali triggers e di prevenire oppure di gestire una possibile riacutizzazione dei sintomi. E’ altrettanto importante modellare il proprio stile di vita sui propri bisogni fisici ed emotivi, tipo imparare a rallentare, a dire no quando necessario, ad evitare il multitasking e il sovraccarico lavorativo, preferire, quando è possibile, delegare oppure scomporre i compiti gravosi. Andare a letto presto, mangiare lentamente, respirare profondamente, rilassare i muscoli, camminare all’aperto, stare in compagnia sono tutte buone abitudini, che purtroppo quando si lavora o si è genitori, sono difficili da mantenere. Quando i sintomi però prendono il sopravvento, cioè quando si inizia a declinare inviti mondani o proposte lavorative di maggiore responsabilità per via della propria condizione fisica, allora è il caso di chiedere aiuto sia a livello psicologico che medico, evitando l’isolamento, ma al contrario, cercare di coinvolgere i propri familiari ed i propri amici, sopratutto per quanto riguardo l’adesione alla dieta.

ALIMENTAZIONE SANA + REGOLE DI IGIENE ALIMENTARE:

  • Non ritardare o saltare i pasti, né fare snack ripetuti ad ogni ora;

  • ridurre il cibo in una poltiglia prima di deglutire;

  • non mescolare troppo gli alimenti, ma fare pasti semplici;

  • preferire i carboidrati e la frutta nella prima parte della giornata e lasciare le proteine per la sera;

  • provare l’olio e i semi di lino, le bacche di goji e anche le prugne umeboshi, sono un toccasana per l’intestino;

  • evitare i cibi in scatola o confezionati, in genere sono ricchi di FODMAP;

  • mangiare fuori con parsimonia, perché non si ha il controllo sugli ingredienti utilizzati in cucina;

  • mangiare frutta e verdura con moderazione;

  • imparare a riconoscere quali sono gli alimenti che causano i propri disturbi.

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silvia c. silvia c.

I Triggers del Reflusso

Particolarmente diffuso nei paesi industrializzati, il reflusso gastroesofageo è il risultato di uno stile di vita prettamente moderno: disordinato e allo stesso tempo intrappolato in agende efficienti nelle logiche produttive, ma sorde alle esigenze vitali ed ai ritmi biologici umani.

Purtroppo questa è una patologia socialmente e lavorativamente molto invalidante, provoca una serie di disturbi anche di natura extra-digestiva che rovinano ogni pasto, che obbligano a svegliarsi la notte e che rendono difficile lavorare. Per poter far fronte a questa problema è anzitutto essenziale diventare consapevoli dei meccanismi della malattia e riconoscere prontamente quali sono i fattori che innescano o aggravano il reflusso, ecco perciò un elenco:

DISTURBI INTESTINALI

Costipazione, infiammazioni, sibo e disbiosi sono tutte condizioni che giocano un ruolo importante nella comparsa del reflusso gastroesofageo.

L’ ECCESSO DI GAS 

Che si formano all’interno dello stomaco e dell’intestino, a causa di disbiosi, di stati di fermentazione o putrefazione e di cibi ad azione infiammatoria. Più precisamente sia il gonfiore sia la flatulenza indicano che alcuni alimenti arrivano alla digestione durante la degradazione batterica invece che durante la digestione degli enzimi, ciò provocherebbe la proliferazione eccessiva dei batteri e dei gas.

L’ AUMENTO DELLA PRESSIONE INTRA-ADDOMINALE

Il reflusso acido si verifica quando la pressione determina uno stato di distensione gastrica che spinge il contenuto dello stomaco, compreso l'acido, attraverso il LES nell'esofago. I fattori che contribuiscono a questo includono l'eccesso di cibo (sia che in termini di quantità che di frequenza), il consumo di cibi grassi, l’obesità, il chinarsi o lo sdraiarsi dopo aver mangiato, fare dei movimenti scorretti o indossare abiti troppo stretti ed ovviamente la gravidanza.

L’ IPOCLORIDRIA

A prescindere dalla quantità di acido presente nello stomaco, il problema sta nella sua risalita in esofago e degli studi hanno ipotizzato che questa risalita può essere connessa alla ipoacidità gastrica. Questa condizione determina proliferazione batterica e malassorbimento, che a loro volta provocano gonfiore e aumento della pressione inta-addominale che quindi determina l’inappropriato rilasciamento del les.

UN RITARDATO SVUOTAMENTO GASTRICO

Dovuto a iperalimentazione (non mangiare se si ha ancora il pasto precedente sullo stomaco!), al consumo di pietanze elaborate preparate con cotture impegnative, a pasti mal associati e all’ingestione di alimenti bollenti o troppo freddi.

I FARMACI

Aspirina, fans, antiacidi, inibitori della pompa protonica (a lungo andare determinano ipoacidità gastrica) e sedativi.

CORICARSI DOPO MANGIATO - CENARE TARDI

Bisognerebbe attendere almeno 2 ore, meglio ancora andare a dormire con un piccolo languorino. Sbagliatissimo abbuffarsi a cena per poi saltare la colazione il giorno dopo.

INTOLLERANZE ALIMENTARI - INTOLLERANZA ALLA PROTEINE DEL LATTE VACCINO

In questo caso il reflusso è una conseguenza di uno stato infiammatorio cronico, provocato dalla continua esposizione ad una o più sostanze considerate dal proprio corpo come nocive.

I CIBI AD AZIONE INFIAMMATORIA

Quindi i cibi confezionati, surgelati, insaccati, prodotti da forno, patatine, fast food, zucchero.

CERTE SOSTANZE NERVINE

Come la caffeina, presente in diverse bevande e alimenti, oltre che nel caffè,  anche in numerose bibite energetiche, integratori alimentari, tè e in concentrazioni minori anche nel cioccolato. La teofillina contenuta principalmente nel tè e in ultimo la teobromina presente soprattutto nei semi di cacao.

UN BASSO CONSUMO DI VEGETALI CRUDI

Se al contrario introduciamo quotidianamente con la dieta alimenti crudi, gli enzimi fanno un lavoro di auto-digestione facilitando il lavoro degli organi dell’apparato digerente.

I FINE PASTO

Il dolce come la frutta a fine pasto danno fermentazione. 

IL FUMO

La nicotina fa rilasciare lo sfintere gastroesofageo e causa quindi reflusso.

LA SCARSA MASTICAZIONE

E’ importante insalivare e masticare bene il cibo per rendere così il suo passaggio in esofago meno traumatico.

LA DISIDRATAZIONE CRONICA

L’insufficienza di acqua e dei sali minerali in essa contenuta provoca cattiva digestione, ipocloridria e costipazione.

LA CARENZA DI MAGNESIO

Neutralizza l’acidità di stomaco e impedisce la risalita nell’esofago.

STANCHEZZA E DISTURBI DEL SONNO

Sovraccarico lavorativo, turni notturni, sonniferi, stress peggiorano i sintomi del reflusso e inducono a mangiare di più per compensare ansia ed affaticamento ( se sei stanco va a dormire invece di mangiare).

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silvia c. silvia c.

Siamo quello che Assimiliamo

Il corpo a seconda di quanto e cosa viene introdotto, cresce, guarisce, funziona oppure si ammala, perde energia, si deteriora.

Quando mangiamo, introduciamo una serie di sostanze che entrano in contatto con tutte le cellule del corpo e con le quali interagiscono, scambiandosi informazioni e modificandosi reciprocamente. Le sostanze complesse che costituiscono gli alimenti vengono scomposte in sostanze semplici per essere assimilate. Digerire consiste in un alternarsi di processi meccanici e chimici a cui prendono parte diversi organi per poter convertire il cibo in energia e calore ed ogni passaggio è controllato dal sistema nervoso e dal sistema ormonale. In pratica il fabbisogno energetico giornaliero è garantito da un apporto stabile di nutrienti consumati con la dieta. Ogni alimento è composto da macro e micronutrienti. I MACRONUTRIENTI sono i carboidrati (da cui si ricavano il glucosio e altri zuccheri semplici), le proteine ( dalla cui scomposizione si ottengono gli amminoacidi) e i grassi (vengono scomposti in acidi grassi semplici, il glicerolo e il colesterolo). I MICRONUTRIENTI  sono rappresentati dalle vitamine, dai sali minerali e dagli oligoelementi. La principale differenza tra i due è che i macronutrienti forniscono energia (le calorie),  mentre i micronutrienti servono per produrre alcuni enzimi, per riparare i danni e per far avvenire le reazioni metaboliche all’interno dell’organismo.

LA BOCCA E’ LA PRIMA PARTE DELL’APPARATO DIGERENTE ED E’ LA SEDE DELLA MASTICAZIONE. PIU’ IL CIBO VERRA’ SMINUZZATO, TRITURATO ED INSALIVATO ALL’INTERNO DEL CAVO ORALE, MENO LAVORO CI SARA’ PER LO STOMACO.

L’arrivo del bolo nello stomaco provoca il rilasciamento riflesso della muscolatura gastrica e grazie all’intervento di succhi ricchi di enzimi digestivi, viene trasformato in chimo. Quando le dimensioni delle particelle di chimo sono ridotte al minimo, il piloro si apre parzialmente lasciandone passare solo una piccola parte. Il contenuto gastrico che non riesce ad attraversare lo sfintere pilorico è respinto indietro, dove continua ad essere mescolato fino al raggiungimento delle dimensioni ideali per passare nel duodeno. 

IL DUODENO E’ CONSIDERATO IL PRIMO SEGMENTO DELL’INTESTINO TENUE E DALLA SUA PERFETTA FUNZIONALITA’ DIPENDE LA BUONA DIGESTIONE.

I suoi compiti sono: completare il processo digestivo grazie ad una miscela di secrezioni, quali il succo intestinale, il succo pancreatico e la bile, permettere l’assorbimento dei nutrienti e controllare la velocità di svuotamento gastrico. Questa velocità dipende da più fattori, dalle caratteristiche dell’alimento e dal suo contenuto calorico (per un liquido bastano pochi minuti, 1-2 ore per i carboidrati, 2-3 ore per le proteine, 5 o più ore per i grassi) e dalla capacità dello stomaco e dell’intestino di compiere il loro proprio lavoro. Le prestazioni di quest’ultimi sono influenzate dalle condizioni generali dell’organismo, quindi in caso di patologie, infezioni o allergie, è normale che la loro attività possa risultare rallentata. Poi, certi cibi hanno delle caratteristiche tali da renderli difficilmente digeribili. Mentre una colazione a base di frutta e carboidrati non raffinati sveglia con dolcezza il metabolismo, una a base di cappuccino e brioche, dopo la scossa iniziale, provoca pesantezza e fiacca. 

L’ALIMENTAZIONE IDEALE E’ QUELLA BASATA SU CIBI CHE DANNO LA GIUSTA DOSE DI ENERGIA AD UN COSTO DIGESTIVO BASSO.

Inoltre, lo stomaco e l’intestino devono essere liberi da qualsiasi fenomeno di fermentazione e putrefazione. La fermentazione riguarda i carboidrati ed è un processo attraverso il quale le sostanze che non riescono ad essere digerite ne assimilate, probabilmente a causa di alterazioni a carico degli enzimi e dei succhi digestivi, appunto fermentano nell’intestino, provocando la proliferazione di batteri e liberando gas. La putrefazione, invece, è il risultato di una cattiva digestione delle proteine ed è in grado di generare prodotti di scarto pericolosi, perché capaci di causare delle mutazioni nel DNA delle cellule. Dall’intestino tenue, il chilo viene spinto nell’intestino crasso dove verrano assorbiti l’acqua e i minerali, nonché l’eliminazione con le feci del cibo non utilizzato. 

L’ASSORBIMENTO INTESTINALE E’ LO SCOPO DELLA DIGESTIONE.

Ed è il fenomeno per opera del quale le materie alimentari, completamente modificate lungo il loro passaggio attraverso il tubo digerente, passano nel sangue, per essere in seguito trasportate nell’organismo e servire, così, alla nutrizione dei tessuti. Al contrario, una cattiva digestione ostacola la normale scomposizione degli alimenti ed il cibo, che rimanendo molto tempo all’interno del canale digerente può trasformarsi in veleno, causando a sua volta un abbassamento dell’energia e delle difese immunitarie.

IL LAVORO SVOLTO DALL’APPARATO DIGERENTE E’ IMPORTANTISSIMO PER IL MANTENIMENTO DELL’OMEOSTASI DELL’ORGANISMO.

La via digerente è sia una fonte di assimilazione degli alimenti nutritivi, sia un mezzo di scarico delle tossine e ciò è determinante nel garantire il mantenimento del bilancio idrico e calorico. Per adempiere a questo incarico nel migliore dei modi, il corpo si deve rifornire e svuotare ciclicamente in modo scorrevole, perciò è necessario non sovraccaricare gli organi digestivi, specie l’intestino e lo stomaco. Godere di un apparato digerente capace di metabolizzare qualunque cosa si mangi è il punto di partenza per la conquista del benessere fisico e mentale, ragione per cui riconoscere il suo ruolo chiave nello stato di salute dell’individuo è un obiettivo prioritario nella prevenzione di qualsiasi malattia.

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silvia c. silvia c.

Intolleranze Alimentari

Le intolleranze alimentari si manifestano quando il corpo non riesce a digerire e quindi ad assimilare alcune sostanze. 

I sintomi non compaiono subito, possono essere inizialmente di lieve entità e sono proporzionati alle quantità del cibo che è stato ingerito. Invece nell’allergia alimentare, l’ingestione di una certa sostanza, anche in piccole quantità, provoca un’attivazione immediata del sistema immunitario, con la produzione di specifici anticorpi (IgE) e la comparsa di sintomi anche gravi. Il fatto, però, che l’intolleranza abbia una manifestazione più soft non vuol dire che non debba essere trattata, anzi trascurare questa condizione può portare a diversi problemi fisici e all’instaurarsi di vere e proprie malattie. 

CONTINUARE A MANGIARE CIBI A CUI SI E’ INTOLLERANTI SIGNIFICA INTRODURRE REGOLARMENTE SOSTANZE TOSSICHE.

Le molecole non digerite causano un’infiammazione cronica latente, irritando la mucosa intestinale. All’inizio il processo infiammatorio non è particolarmente sintomatico ed è confinato all’intestino che subisce delle modifiche: diventa sempre più permeabile e reattivo. Le sostanze, in quanto riconosciute come nemiche, invece di essere assorbite vengono accumulate. Ciò significa un maggiore lavoro da parte del fegato e anche del sistema immunitario che a causa dell’introduzione quotidiana di questi alimenti è sempre in allerta, ecco perché che si parla di infiammazione da cibo. Piano piano tale condizione tende ad espandersi, si ha un’acidificazione di tutti i tessuti e con essa la perdita di minerali preziosi, si verificano squilibri ormonali e metabolici. Perciò accanto ai malesseri digestivi quali costipazione, diarrea, meteorismo, dispepsia, gastrite e reflusso, si associano anche quelli di carattere sistemico tipo mal di testa, ritenzione idrica, sovrappeso o anoressia, patologie respiratorie tipo asma, malattie autoimmuni, sinusite, stanchezza cronica, irritabilità e depressione. I meccanismi che determinano un’intolleranza sono diversi:

REAZIONE ANOMALA DEL SISTEMA IMMUNITARIO

Un esempio è la celiachia. In pratica in soggetti geneticamente predisposti l’ingestione di glutine scatena una risposta immunitaria che a sua volta determina un’infiammazione cronica ed il danneggiamento della parete intestinale. Quando la reazione autoimmune si è innescata può provocare danni all’intero organismo ed un rallentamento della crescita nei bambini se non viene diagnosticata in tempo. La celiachia non va confusa con la sensibilità al glutine. In questo caso la diagnosi è più complessa perché non esiste un biomarcatore affidabile, perciò bisogna innanzitutto escludere la celiachia con i test appositi e poi verificare che i sintomi digestivi spariscano definitivamente con una dieta gluten free. Molte ricerche ritengono che in questa situazione il problema non sia tanto il glutine, quanto la  presenza di alcuni zuccheri che l’intestino non riesce ad assorbire, cioè i FODMAP.

CARENZA O MANCANZA DI ENZIMI

Gli enzimi sono fondamentali per far avvenire le reazioni biochimiche nel nostro organismo, una loro diminuzione o peggio una loro assenza si traduce nel rallentamento o nell’arresto di tali reazioni. Le molecole non vengono adeguatamente metabolizzate, ma si trasformano in tossine accumulandosi nel corpo. Questo è il caso dell’intolleranza al lattosio, dove appunto si ha una deficienza completa o parziale dell’enzima lattasi (che fisiologicamente tende a diminuire dopo l’infanzia). Pertanto il lattosio non digerito rimane a fermentare nel lume intestinale, provocando un eccesso di gas. La diagnosi è abbastanza rapida, agevolata dal fatto che la sintomatologia si manifesta generalmente  in tempi brevi dopo l’assunzione del latte o di prodotti in cui esso è contenuto.

REAZIONI PSEUDOALLERGICHE

Sono dovute all’effetto di sostanze presenti negli alimenti,  ma anche nei farmaci e negli additivi. Essi possono essere contenute naturalmente nei cibi oppure aggiunte artificialmente, tipo i conservanti. I più diffusi sono i solfiti o i benzoati che possono scatenare asma e cefalea, mentre il glutammato di sodio può dare crampi addominali e orticaria. Vanno menzionate anche le reazioni per quei cibi che contengono istamina, tiramina e caffeina. Quindi ci si riferisce principalmente ai pesci in scatola, ai pomodori, ai crostacei, al maiale, ai salumi, alla birra, ai formaggi fermentati e stagionati, all’estratto di lievito, alle nocciole, agli oli di semi vari e al caffè. In questi casi più che altro bisogna fare attenzione alle scatolette e al cibo confezionato.

I FATTORI CHE PREDISPONGONO ALL’INSTAURARSI DELLE INTOLLERANZE SONO MOLTI.

Anzitutto la presenza di disbiosi intestinale, condizione che interessa oramai parecchie persone. Il mutamento del microbiota impedisce di completare l’elaborazione e l’assimilazione del cibo, dando luogo a fermentazioni e a putrefazioni che infiammano la mucosa e diminuiscono le difese immunitarie. La disbiosi favorisce le irregolarità intestinali, i gonfiori e la comparsa della candida. La candida albicans è un lievito appartenente alla famiglia dei Saccaromiceti che svolge un ruolo rilevante nella digestione degli zuccheri. In caso di candidosi accertata bisogna pertanto ridurre il consumo di carboidrati, di cibi ricchi di lieviti e gli alcolici. Altri fattori negativi sono la scarsa masticazione, l’ipocloridria gastrica, gastroenteriti virali, la presenza di parassiti intestinali, stress cronico, uso di antinfiammatori non steroidei o di antibiotici, il consumo di alimenti troppo raffinati carichi di conservanti e altre sostanze chimiche, la scarsa assunzione di vegetali, la carenza di determinati nutrienti come vitamine, minerali, aminoacidi e omega-3, l’iperalimentazione, l’associazione sbagliata dei cibi e la ripetitività dell’alimentazione, poiché si diventa intolleranti a quello che si mangia troppo spesso. Dunque, il primo passo da compiere è quello di identificare quali sono i cibi a cui si è intolleranti, effettuando i vari test diagnostici, come ad esempio gli esami del sangue per il dosaggio degli anticorpi. E’ di aiuto scrivere un diario alimentare per poter monitorare la relazione tra cibo e sintomi fisici. Quindi sotto controllo medico è importante escludere temporaneamente dalla propria dieta gli alimenti incriminati. L’obiettivo è quello di debellare tutte le cause di irritazione intestinale, per cui bisogna eliminare, per poi reintrodurre gradualmente, gli alimenti non tollerati e combattere eventuali agenti patogeni tipo batteri, candida o parassiti. Infatti la loro presenza è piuttosto comune quando si accusano problemi intestinali. Questa fase di disintossicazione e depurazione deve essere seguita da una fase di disinfiammazione della mucosa del colon e anche del fegato, visto tutto il lavoro di eliminazione che deve compiere, in modo tale da ripristinare la funzionalità di entrambi. Il medico prescriverà i vari integratori, enzimi e probiotici da prendere. Il ripopolamento del tratto digestivo con i batteri buoni è fondamentale per poter sviluppare e mantenere un microbiota intestinale sano. Queste terapie devono essere necessariamente accompagnate da una dieta equilibrata e antinfiammatoria.

FOOD SHOPPING LIST:

  • Frutta e verdura fresca. Per un po’ sospendere il consumo di frutta secca visto che è piuttosto allergizzante. In caso di allergia alle piante, fare attenzione alle cosiddette “cross-reattività”. Ad esempio chi è allergico alle graminacee dovrebbe evitare l’anguria, il melone, gli agrumi, la prugna, la pesca, l’albicocca, la ciliegia, i kiwi, le mandorle e il pomodoro.

  • Latte e formaggi alternativi, tipo il latte di mandorla e di riso. Per l’intolleranza al lattosio occorre anche evitare gli affettati ed i prodotti da forno come dolci e biscotti.

  • Cereali e legumi di vario tipo, molto consigliato è il riso semi-integrale, il riso rosso o nero.

  • Proteine sane come pollo, uova e pesce, moderando il consumo di carne rossa. Molti non sanno che tracce di lattosio si possono trovare nella carne bovina, questo perché spesso viene aggiunto dalle aziende come conservante durante la lavorazione. Più è lunga la scadenza della carne, più è probabile che contenga lattosio.

  • Condimenti, va bene l’olio evo, mentre andrebbero evitate salse varie tipo maionese.

  • Per le bevande, optare per l’acqua oppure per succhi fatti a casa con l’estrattore. I succhi confezionati sono pieni di zuccheri e additivi e potrebbero perciò essere particolarmente irritanti per l’intestino.

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silvia c. silvia c.

 Il Cibo dell’Uomo. Franco Berrino

“Cibati abbondantemente di cereali integrali, legumi, verdura e frutta; limita i cibi ad alta densità calorica (cibi ricchi di zucchero o grassi) e evita le bevande zuccherate; evita le carni conservate; limita le carni rosse e i cibi molto salati.” Codice Europeo Contro il Cancro, 2014

Questo è l’inizio del settimo capitolo del libro “Il cibo dell’uomo”, scritto dal dottor Franco Berrino dedicato al ruolo causale della dieta nello sviluppo del cancro. A caldo queste poche indicazioni mi appaiono semplici, persino scontate, ma vengo smentita non appena osservo gli scaffali in cucina e rovisto con scrupolo all’interno del mio frigo. Per iniziare a mangiare bene bisogna iniziare a porre attenzione a quello che scegliamo di comprare. 

QUESTO LIBRO PARLA DELLA NECESSITA’ DI AVERE CONSAPEVOLEZZA NELLE SCELTE ALIMENTARI, COME FORMA DI PREVENZIONE PRIMARIA, RICONOSCENDO NEL CIBO SEMPLICE LE PROPRIETA’ TERAPEUTICHE NECESSARIE PER VIVERE IN SALUTE.

Nel capitolo intitolato “Sindrome metabolica, la madre di tutti i fattori di rischio”, Berrino spiega come si sia evoluta negli anni la produzione e la distribuzione del cibo arrivando al paradosso odierno: “Dei quasi sette miliardi di persone che abitano la Terra, un miliardo soffre la fame e un miliardo soffre perché mangia troppo.” Il mangiar troppo e troppo male ha contribuito allo sviluppo di diverse patologie e sindromi, tra cui la Sindrome Metabolica (SM). Questa condizione clinica, che viene diagnosticata quando sono presenti 3 o più dei seguenti fattori: adiposità addominale, pressione alta (o in trattamento farmacologico), glicemia alta, trigliceridi alti, colesterolo HDL basso, è per il dottor Berrino la “madre di tutti i fattori di rischio”, perché associata a tutte le principali malattie croniche tipiche delle popolazioni occidentali e strettamente connessa al tipo di cibo da queste consumato. Scrive Berrino a riguardo della SM, che questa associata anche ad un lieve stato infiammatorio cronico e in generale all’eccesso di calorie, favorisce la comparsa di patologie croniche come il diabete, le malattie cardiovascolari, la demenza di Alzheimer e i tumori maligni, malattie che vengono sempre più spesso descritte come patologie infiammatorie. 

“PRATICAMENTE TUTTI I TUMORI SONO ATTIVATI DALL’INFIAMMAZIONE ED E’ SPESSO SUFFICIENTE UN’INFIAMMAZIONE MODESTA, CON VALORI DI PCR ALTI MA ANCORA ENTRO L’INTERVALLO RITENUTO NORMALE”, “LO STATO INFIAMMATORIO CRONICO DIPENDE ANCHE DA QUELLO CHE MANGIAMO..”, “UN TERZO DEI TUMORI MALIGNI POTREBBERO ESSERE PREVENUTI MODIFICANDO LE ABITUDINI ALIMENTARI.”

Avere un corpo sano significa liberarlo da questo costante stato di infiammazione cronica e per farlo lo scrittore propone di seguire una dieta antinfiammatoria ed antiossidante. Ciò comporta un consumo regolare di verdura di stagione, cereali integrali e legumi, specie quelli in disuso. Quando c’è uno stato infiammatorio acuto, il dottor Berrino consiglia di mangiare  riso integrale per alcuni giorni. Bisogna assumere con moderazione sostanze come curcuma, zenzero, mirtilli,  more, prugne, cipolle, mele, uvetta sultanina, crocifere, tè verde, cioccolato nero 100%, vitamina E e vitamina D. Ogni tanto mangiare il pesce, la frutta ed i semi oleaginosi, mentre le fonti di grassi saturi come  formaggi, salumi, carni rosse ed i cibi ad alto indice glicemico come patate, pane bianco, cibi preparati con farine raffinate (farina 0, farina 00), riso bianco e fiocchi di mais, devono essere diminuite. Oltre all’acqua, bere infusioni calde senza zucchero, tè verde naturale, tè bacha o kukicha e caffè di cicoria. Per i condimenti usare olio evo e olio di sesamo per friggere, il sale marino non raffinato, il sale di soia non chimica o del gomasio. 

LO ZUCCHERO NON E’ UN “ALIMENTO DELL’UOMO” ANCHE SE E’ PRATICAMENTE DAPPERTUTTO, VISTA LA SUA CAPACITA’ DI FAR SEMBRARE BUONI ANCHE DEI CIBI SCHIFOSI.

Lo zucchero, dunque, secondo Berrino andrebbe abolito. Per questo motivo bisogna leggere sempre le etichette e non farsi confondere dai diversi nomi tipo sciroppo di glucosio-fruttosio o sciroppo di mais, né farsi abbindolare dalle scritte sugar free. I dolci industriali, le bevande ed i cereali zuccherati nonostante facciano male sono diventati una droga, specie per i bambini, sempre più abituati ad un gusto dolce-artificiale. Le esperienze gustative che avvengono nei primi anni di vita influenzeranno le abitudini alimentari future. Assecondare il bambino, dandogli il biscottino perché fa i capricci quando si tratta di fare pranzo o cena, con la scusa che almeno mangia qualcosa, è un comportamento che alla fine può indurre il piccolo ad avere abitudini alimentari errate una volta cresciuto. 

L’EDUCAZIONE ALIMENTARE SI APPRENDE IN FAMIGLIA, PER QUESTO E’ FONDAMENTALE CAPIRE CHE IL CIBO CHE INGERIAMO NON CI DA’ SOLTANTO L’ENERGIA, MA INVIA DEI MESSAGGI ALLE NOSTRE CELLULE, AGISCE AL NOSTRO INTERNO ACCENDENDO O SPEGNENDO I NOSTRI GENI E QUESTE INFORMAZIONI VERRANNO TRASMESSE DA UNA GENERAZIONE ALL’ALTRA. 

Attraverso le nostre scelte possiamo prevenire la comparsa di molte malattie e sfidare i monopolisti dell’industria alimentare, la cui unica preoccupazione è vendere del cibo che sia appetitoso. Mangiare consapevolmente è un diritto, ma anche un dovere perché come scrive il dottor Berrino “la gente ha potere ed è tempo che lo eserciti. Ha potere economico, ha il potere di non acquistare cibo spazzatura, di evitare l’uso di farmaci inutili, di contestare medici e amministratori ignoranti e collusi. La gente ha la capacità di capire che la salute non è la sanità, ma è l’equilibrio delle funzioni di tutti i sistemi che costituiscono il nostro organismo.”

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silvia c. silvia c.

Digestione Facile

Le cause di una cattiva digestione sono da ricercarsi principalmente nelle scorrette abitudini alimentari.

Anzitutto la scelta del cibo. Il cibo deve essere in grado di fornire energia, non di rubarla e chiaramente non deve ritardare lo svuotamento gastrico né infiammare le mucose. Per questo motivo andrebbero ridotti tutti gli alimenti a cui si è intolleranti e quei alimenti che sembrano in grado di  provocare una risposta infiammatoria. Le ricerche hanno proprio dimostrato che certi cibi attivano il sistema immunitario quotidianamente, dando origine ad uno stato di infiammazione a bassa intensità, spesso neanche avvertita dalla persona, che interessa sopratutto l’intestino e che per questo motivo diventa più permeabile alle tossine e agli antigeni alimentari. 

GLI ALIMENTI PRO-INFIAMMATORI SONO QUELLI INDUSTRIALI.

Altri alimenti sono i latticini, i fritti, i salumi le carni elaborate, i prodotti da forno, lo zucchero in tutte le sue diciture e le sostanze nervine come cioccolata e caffè. Oltre alla qualità del cibo, va controllata anche la quantità che viene assunta. Non si può mangiare a tutte le ore tenendo lo stomaco costantemente impegnato, anzi, spesso la sensazione di fame perenne altri non è che il sintomo di un’irritazione della mucosa gastrica, dovuta ad esempio ad una gastrite nervosa o cronica. L’iperalimentazione associata alla mancanza di movimento fisico e alla disidratazione, il consumo di pietanze elaborate e abbinate male, stracotte o troppo condite, la respirazione corta e superficiale, la costipazione, le alterazioni posturali e le turbe psico-emozionali, rallentano la digestione e a lungo andare danno origine a vere e proprie patologie. E’ necessario avere cura del proprio apparato digerente per poter godere di tutti quei benefici che da una buona e corretta digestione derivano, cioè la riduzione del dolore e della stanchezza, l’aumento sia delle difese immunitarie che dell’energia e quindi un miglioramento delle condizioni generali dell’individuo.

FARE SCELTE INTELLIGENTI QUANDO SI MANGIA E QUANDO SI FA LA SPESA. IL CIBO MIGLIORE E’ QUELLO PIU’ SEMPLICE, CHE HA SUBITO MENO MANIPOLAZIONI INDUSTRIALI. CIBO LOCALE - FRESCO - DI STAGIONE - NON CONFEZIONATO.

Una dieta che includa vegetali e frutta è una dieta che rifornisce il corpo di vitamine ed enzimi, elementi indispensabili per il funzionamento dell’organismo. Senza enzimi, senza vitamine né acqua le reazioni al suo interno non riuscirebbero ad avvenire in modo adeguato e la stessa trasformazione degli alimenti in sostanze assimilabili sarà compromessa. La semplicità del piatto non deve trascurare l’importanza del gusto, la mancanza di piacere delude il cervello facendolo sentire addirittura non sazio, né deve trascurare la necessità di variare spesso il menù, visto che il corpo ha bisogno di molte sostanze diverse e di fatto nessun alimento le contiene tutte quante. Inoltre, in tutti gli alimenti sono presenti, oltre che le sostanze utili anche quelle nocive, quindi un’alimentazione varia ostacola l’accumulo di elementi potenzialmente pericolosi contenuti normalmente nei cibi.

PER FAVORIRE LA DIGESTIONE E’ IMPORTANTE NUTRIRSI NEL RISPETTO DEI RITMI NATURALI DEL CORPO.

Anche gli organi digestivi hanno un proprio ritmo sonno-veglia, il primo a svegliarsi è il colon verso le 7, segue alle 9 lo stomaco e alle 11 il pancreas, proprio quando si inizia ad avvertire il primo languorino, il fegato è invece più attivo la notte. Se ne deduce che i meccanismi di digestione ed assorbimento sono operativi soprattutto durante il giorno, dalle 12 alle 20, si parla perciò di ciclo appropriativo, cioè quando bisogna mangiare per far fronte a tutte le richieste dell’organismo.  Dalle 20 alle 4 del mattino si parla invece di ciclo assimilativo, perché viene usato il cibo che è stato mangiato nel ciclo precedente e per questo è sbagliato mangiare troppo a cena o peggio fare degli spuntini golosi prima di andare a letto. Sempre in relazione ai ritmi è opportuno considerare anche quelli stagionali, questione che un po' cozza con le esigenze del consumatore moderno. Quando fa freddo l’organismo stesso ci chiede di mangiare zuppe, minestre, tuberi; bere una lattina presa dal frigo altro non fa che aggravare il lavoro del corpo, già impegnato nel mantenere la temperatura interna costante.

AVERE CONSAPEVOLEZZA DELLE RELAZIONI TRA CIBO, CORPO, STATO DI BENESSERE E MALATTIA E’ IL PRIMO PASSO PER FAVORIRE UNA DIGESTIONE ED UNA ASSIMILAZIONE DEGLI ALIMENTI OTTIMALE E COMPLETA.

Per fare un buon pasto occorre quindi  masticare con gusto del cibo semplice servito ad una giusta temperatura, consumato quando si è seduti composti a tavola, evitando dolci e frutta a fine portata. Garantire al corpo ciò che veramente gli serve, senza mai andare in debito calorico né eccedere nelle quantità o nella frequenza della consumazione delle pietanze. Trattare tutte le infiammazioni presenti nel corpo, specie quelle che colpiscono l’apparato gastrointestinale ed espellere quotidianamente le tossine accumulate. Infine, tutte queste attenzioni hanno bisogno di una mente serena, non risucchiata dalle preoccupazioni quotidiane e dall’ansia di non riuscire a fare tutto in tempo, perché una mente calma si riflette in un corpo calmo ed una digestione facile.

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silvia c. silvia c.

Pasti Equilibrati

Per far funzionare correttamente lo stomaco e l’intestino è necessario fare dei pasti equilibrati e altamente digeribili.

Fare un pasto equilibrato significa anzitutto scegliere con cura ciò che si compra, ponendo molta attenzione alla qualità del prodotto. Quando si sceglie bisogna ragionare così: meglio sfuso che imbustato, meglio DI stagione che FUORI stagione, meglio locale che importato, meglio cucinato da noi stessi che precotto, meglio fresco che surgelato, meglio deperibile e imperfetto piuttosto che bello all’apparenza, ma “avvelenato” dentro. Il piatto equilibrato deve soddisfare le richieste giornaliere dell’organismo. Il fabbisogno calorico viene definito come la quantità di energia, espressa in Kcal o in kJ, necessaria sia per mantenere il metabolismo basale, cioè tutte le funzioni vitali come ad esempio respirare, sia per svolgere le attività fisiche quotidiane. Il bilancio energetico si dice che è in equilibrio quando le calorie introdotte sono le stesse delle calorie spese. Ovviamente se le calorie introdotte superano le uscite, il soggetto ingrassa, mentre se sono minori di quelle consumate, il soggetto dimagrisce. Va però precisato che la quantità di calorie da assumere quotidianamente varia da persona a persona, a seconda del peso, dell’altezza, dell’età, del sesso, del livello di attività fisica svolta e dello stato generale di salute. 

LE DIETE DEVONO ESSERE PERSONALIZZATE E ADEGUATE AI BISOGNI REALI DELL’INDIVIDUO.

Oltre a controllare le quantità, è importante mangiare al momento giusto il cibo giusto, ripartendo le calorie correttamente. Visto che la colazione è il primo pasto della giornata, cioè quello che interrompe il digiuno notturno e che allo stesso tempo ci deve mettere in moto, dovrebbe apportare almeno il 20% dell’energia giornaliera. Chi fa una buona colazione la mattina ha una minore propensione a consumare diversi spuntini, spesso non sani, nell’arco della giornata, riesce più facilmente a mantenere il peso forma, è più efficiente a livello cognitivo ed è meno a rischio per la comparsa di alcune patologie come il diabete e la sindrome metabolica. Se non diamo da mangiare al corpo la mattina, l’energia necessaria verrà prelevata dai tessuti muscolari. Questo pasto deve essere completo e non troppo dolce, perciò sono promosse le uova, l’avocado, il pane integrale o di segale, i fiocchi d’avena e la frutta. Anche il pranzo deve fornire energia, perciò si può consumare una porzione di riso o di pasta, una piccola porzione di proteine e poi una porzione abbondante di verdure, il tutto condito con olio evo a crudo, se possibile. La cena, invece, dovrebbe essere un po’ più leggera e più ricca di proteine per poter rimpolpare e nutrire i muscoli affaticati. Tra i tre pasti principali si possono poi aggiungere due spuntini sani, uno a metà mattinata e uno a metà pomeriggio. I principi nutritivi di cui abbiamo maggiormente bisogno sono i carboidrati, le proteine e i lipidi.

I CARBOIDRATI

Facilmente assorbiti e utilizzati dall’organismo, i carboidrati sono la nostra principale fonte di energia e perciò vanno consumati sopratutto nella prima parte della giornata. SI DIVIDONO IN SEMPLICI E IN COMPLESSI. I primi si trovano nella frutta, nel latte, nello yogurt, nel miele, nelle bevande e nei dolci. I secondi, invece, sono dei macronutrienti polimerici, ovvero formati da più unità di monosaccaridi. Fanno riferimento a questo gruppo gli amidi, che abbondano nei semi, nei cereali, nei legumi secchi, nelle patate e la fibra alimentare, presente prevalentemente negli ortaggi, nei legumi freschi e nella frutta. La differenza tra i due tipi di carboidrati sta che quelli complessi richiedono processi metabolici e digestivi più lunghi per poter venire assorbiti. Quelli semplici, essendo facili da scomporre, rilasciano invece il glucosio nel corpo molto più rapidamente. Per questo motivo è meglio preferire i carboidrati complessi, specie quelli ricchi di fibre, poiché influenzano positivamente la glicemia, mantenendone i livelli stabili. 

PREFERIRE IL CONSUMO DI CEREALI IN CHICCHI E DI TUBERI, LIMITANDO I FARINACEI.

Le farine impiegano più tempo ad essere digerite, sono meno sicure in termini di tracciabilità del prodotto e poi di solito sono associate al lievito che può dare, in soggetti predisposti, problemi di fermentazione intestinale. I cereali ritenuti più sani e più nutritivi sono il riso integrale, il miglio, l’avena, l’orzo e il grano saraceno e nessuno di questi contiene il glutine, che è considerato piuttosto infiammante per il nostro organismo. Perciò quando si pianificano i pasti è importante includere quelle che sono le buone fonti di carboidrati complessi, senza farci ingannare da etichette e pubblicità varie che tentano di promuovere cibi in realtà non troppo sani. Non serve fare la guerra alle proteine animali o al numero di calorie assunte, quando poi ci si avvelena con esagerate quantità di zucchero e noi siamo abituati, fin da piccoli, ad ingurgitarne una marea: tutte le bibite, i succhi di frutta anche quelli con denominazione “senza zuccheri aggiunti”, dolciumi anche se fatti a casa, gli alcolici, alimenti dolcificati in maniera artificiale (edulcoranti e succedanei dello zucchero tipo E965 xilitolo,  E 421 mannitolo, E 965 maltitolo,  E 420 sorbitolo), tutti i tipi di zucchero (fruttosio, glucosio, lattosio, zucchero d’uva, maltosio, sciroppo di amido con fruttosio, sciroppo di mais, maltodestrine, mannitolo), i dolcificanti naturali (marmellate, miele, melassa, sciroppo d’acero, sciroppo di riso e sciroppo di agave), torte, biscotti, caramelle, frutta secca e candita, latticini, yogurt, piatti pronti (congelati, freschi, conserve), salse e sughi, aceto, cereali per la colazione, pane industriale, fette biscottate, cracker, insaccati, salumi, carni impanate e molto lavorate industrialmente. 

GLI ZUCCHERI ARTIFICIALI PROVOCANO CONTINUE E BRUSCHE OSCILLAZIONI DELLA GLICEMIA.

L'innalzamento dell’insulina, determinata dall'aumento del glucosio nel sangue, ha effetti deleteri sul corpo a lungo andare, può causare obesità, steatosi epatica, l'accumulo di colesterolo e di trigliceridi, malattie cardiache e circolatorie, oltre a determinare una vera e propria dipendenza da zucchero.

LE PROTEINE

Sono costituite da una catena di 23 diversi tipi di aminoacidi, di cui 8 sono definiti essenziali, in quanto devono essere necessariamente introdotti col cibo, visto che il nostro corpo non è in grado di produrli. 

LE PROTEINE SONO CONSIDERATE I MATTONI DELL’ORGANISMO E SVOLGONO NUMEROSE FUNZIONI AL SUO INTERNO.

Anzitutto, sono la componente principale di tutte quante le cellule. Hanno una funzione strutturale, costituiscono la massa dei muscoli, dei tendini, delle membrane e degli organi. Permettono la crescita e la riparazione dei tessuti corporei. Hanno una funzione regolatrice ed energetica che viene svolta dagli enzimi, senza i quali molti processi nel nostro corpo non avverrebbero, come ad esempio la digestione. Le proteine sono i componenti degli ormoni e degli anticorpi, permettono di mantenere in equilibrio il bilancio idrico corporeo, promuovono o inibiscono la coagulazione, trasportano le sostanze nel sangue (lipidi, vitamine, minerali, ossigeno), aiutano l'assorbimento di alcune vitamine e di alcuni antiossidanti, fungono da neurotrasmettitori e forniscono energia “di riserva”in determinate condizioni (il corpo non immagazzina scorte proteiche, però può smontare le proteine contenute nel muscolo per ricavarne energia). Le proteine dovrebbero costituire il 15-25% dell'apporto energetico giornaliero. Per una persona adulta con vita sedentaria il limite minimo è di 0,83 grammi di proteine per kg di peso corporeo al giorno. Considerata la loro utilità per la nostra salute è necessario che ad ogni pasto venga assunta una determinata quantità di proteine, per garantire sia un senso di sazietà prolungato sia la stabilità glicemica. 

UN INSUFFICIENTE APPORTO PROTEICO PUO’ CAUSARE PERDITA DI MASSA MUSCOLARE, DOLORI A CARICO DELL’APPARATO MUSCOLOSCHELETRICO, DIFESE IMMUNITARIE BASSE, LENTEZZA NELLA GUARIGIONE O NELLA CICATRIZZAZIONE DELLE FERITE, UNGHIE E CAPELLI FRAGILI.

Naturalmente anche un loro eccesso fa male, l’eccessiva produzione di scorie azotate derivanti dal catabolismo proteico potrebbe mettere sotto sforzo fegato e reni. Perciò, anche qui, nella composizione del pasto bisogna saper porre attenzione alla scelta delle proteine che si intende mangiare, perché appunto non sono tutte uguali. Ad esempio le proteine dell’uovo hanno un buon valore biologico e sono in grado di abbassare l’indice glicemico degli alimenti glicidici. Altre proteine salutari sono quelle del pesce e del pollame. Per quanto riguarda i legumi, questi rappresentano la fonte più ricca di proteine vegetali, però bisogna anche tener conto che il loro profilo aminoacidico si completa quando vengono associati ad una buona quantità di cereali integrali. Poi ci sono le proteine contenute nel latte e nei suoi derivati che sono piuttosto sazianti, ma a volte di difficile digestione, specie negli intolleranti. Ed in ultimo possiamo trovare tracce di proteine nella frutta a guscio, nei semi oleosi e in minor misura anche nei cereali. Per quanto riguarda la carne rossa e le carni lavorate è importante stare attenti alle quantità mangiate, un po’ perché contengono grassi saturi e un po’ perché possono essere presenti sostanze potenzialmente cancerogene, legate ai metodi di lavorazione, di conservazione e di cottura. Per questa ragione bisogna sempre associarle a tanta verdura, meglio se cruda, che con le sue vitamine, le fibre, l’acqua ed i suoi antiossidanti neutralizza l’acidità indotta dalle proteine animali e facilita lo smaltimento delle scorie azotate.

I LIPIDI

Hanno una funzione strutturale, in quanto componenti delle membrane cellulari. Fungono da riserva energetica, ci proteggono dal freddo e dai traumi, favoriscono l’assorbimento delle vitamine liposolubili A, D, E, K e dei carotenoidi. Sono i precursori di ormoni, di alcune sostanze regolatrici del sistema cardiovascolare, della coagulazione del sangue, della funzione renale e del sistema immunitario. 

SONO INDISPENSABILI PER LE MEMBRANE DELLE NOSTRE CELLULE E PER IL SISTEMA NERVOSO.

In base alla loro composizione chimica vengono classificati in grassi saturi, che sono principalmente di origine animale, i grassi insaturi, che invece abbondano nel mondo vegetale e vengono assunti con l’olio di oliva o la frutta secca ad esempio. Poi ci sono i grassi monoinsaturi, i polinsaturi, ai quali appartengono gli omega-3 e gli omega-6 ed infine i grassi trans, cioè quei grassi ottenuti con il processo industriale di idrogenazione. Il fabbisogno giornaliero di lipidi varia dal 20 al 35% e gli alimenti che ne contengono maggiormente sono i condimenti quali olio e burro, mentre verdura e frutta fresca sono i cibi che ne contengono di meno. I grassi si possono trovare anche nella frutta secca, nei semi di soia, nei formaggi, nel latte, nei dolci e nel pesce, specie quello che vive nei mari freddi. Per regolarsi nella scelta, bisogna tener presente che i grassi, sopratutto quelli animali, sono pesanti da digerire, perciò è bene acquistare prodotti di qualità, di condire possibilmente a crudo e di evitare il più possibile i cibi confezionati, perché appunto ricchi di grassi “cattivi”.

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silvia c. silvia c.

Una Relazione Sana con il Cibo

Mangiare salutare significa avere il controllo di quanto e cosa si mangia.

NON LASCIARE IL CORPO SENZA CARBURANTE

L’organismo va rifornito di energia quotidianamente e ha bisogno di una grande varietà di sostanze e di elementi per poter funzionare al meglio. Quello che entra nel corpo deve essere pari a quello che esce. Non si può mangiare meno del necessario, perché questo stato di deficit non solo è una delle tante cause degli attacchi di fame incontrollata, ma non fa bene alla salute. I digiuni prolungati provocano una perdita della massa magra, l’indebolimento del sistema immunitario e disturbi a carico delle diverse funzioni biologiche.

SUPERA L’ATTACCAMENTO AL CIBO

Mangiare tanto o troppo spesso è come mangiare poco, entrambi hanno effetti negativi sul metabolismo e sulla regolazione dell’appetito, perciò è necessario introdurre la quantità di calorie proporzionata al peso e al fabbisogno energetico. Le crisi di fame vanno frenate anzitutto scoprendo il proprio corpo e capendo di quanto e di cosa ha bisogno per stare bene, abbuffarsi non permette questa scoperta. Perciò non spizzicare ad ogni ora, non riempire gli scaffali di scorte, compra il necessario, fai una lista della spesa mirata ed obiettiva e rispettala. Usa piatti di dimensioni normali, fare il bis è percepito in modo diverso rispetto che consumare un’unica porzione messa in un piatto grande. E sopratutto non pensare continuamente a mangiare, perché già questa azione è sufficiente ad attivare i succhi gastrici e mettere il corpo in uno stato di allerta-attesa nei confronti del cibo.

DIVENTA CONSAPEVOLE

Di fronte al desiderio di mangiare occorre capire se si tratta di un bisogno fisiologico o di un falso appetito. La fame emotiva nasce bruscamente, esige una soddisfazione rapida e le fasi del suo ciclo sono abbastanza prevedibili. Tutto inizia da un’emozione spiacevole, ci si sente giù o ci si vuole sottrarre da qualcosa, non necessariamente qualcosa di importante, anche una questione banale tipo non ho voglia di fare questo compito perché è troppo difficile. A questo punto scatta il desiderio di sentirsi meglio e si inizia a pensare al cibo, più è dolce e gustoso e più ci appare terapeutico. Si mangia senza avere veramente fame, fino al punto di sentirsi in colpa per averlo fatto. Riconoscere le caratteristiche della fame emotiva aiuta a controllare l’apporto calorico, per questo molti nutrizionisti consigliano di tenere un diario dove monitorare i cibi consumati e le emozioni provate.

BASTA SOMATIZZARE

Il cibo è solo cibo e le emozioni hanno un nome specifico. Impara a riconoscere ciò che ti affligge, metti in atto strategie adeguate di coping, come ad esempio semplificare o delegare un lavoro considerato particolarmente complesso e pianifica ricompense di tipo cerebrale. Non si usa il cibo per sfogare la frustrazione o come ricompensa.

PIANIFICA LE PAUSE PASTO

Non si mangia facendo altro, si interrompe l’attività e ci siede composti a mangiare. Non saltare i pasti, oltre a disturbare l’equilibrio interno ha come effetto collaterale la tentazione di mangiare troppo al pasto successivo o di ricercare cibi ipercalorici. Mangia ad intervalli regolari. Sbagliatissimo saltare la colazione per poi rimpinzarsi a cena.

MASTICA PIANO

L’organismo non riesce a comunicare in tempo reale il momento in cui si è sazi se si mangia di fretta.

SCEGLI IL CIBO GIUSTO

Sceglilo locale e sceglilo di stagione, conterrà meno inquinanti chimici. Prediligi il cibo fresco a quello confezionato. Quando si deve acquistare un prodotto guarda l’etichetta, se leggi troppi nomi e pure strani meglio lasciarlo sullo scaffale. Varia il menù e prepara piatti semplici, ma gustosi perché se non si prova piacere è facile essere tentati dai cibi spazzatura. In più gli alimenti devono essere facilmente digeribili, per questo è preferibile evitare qualsiasi combinazione alimentare che potrebbe affaticare l’apparato digerente e quindi privare il corpo di energia. Pasti senza troppe calorie, ma con un alto indice di sazietà sono i migliori.

CONSIDERA GLI ALTRI BISOGNI PRIMARI

L’ipotalamo controlla sia l’appetito che la sete, perciò quando si avverte il primo languorino bevi un bicchiere d’acqua e aspetta 20 minuti, se scompare vuol dire che non ci sono delle reali necessità fisiologiche. Spesso la mancanza di energia è dovuta ad una scarsa qualità del sonno. Dormire poco fa aumentare sia il cortisolo sia la grelina, cioè l’ormone dell’appetito.

BILANCIA I MACRONUTRIENTI

Evita le monodiete e la pigrizia culinaria. Una buona alimentazione, capace di contrastare indesiderati attacchi di fame, deve includere un po’ di tutto. Cereali, sopratutto integrali, ortaggi sia crudi che cotti per apportare vitamine, sali e fibre, inoltre, proteine e grassi sani, specie gli acidi grassi omega-3. Cibi ricchi di acqua, di fibre e di proteine risultano più sazianti.

ABBASSA IL LIVELLO DI INFIAMMAZIONE

Una dieta basata prevalentemente su cibi impacchettati e pieni di conservanti/pesticidi/ormoni/antibiotici è una dieta pro-infiammatoria, perciò non ti nutre e ti leva le forze, modificando di conseguenza anche il tuo appetito.

CURA IL MICROBIOTA

Il microbiota ha un ruolo molto importante nel metabolismo corporeo e sembra anche sulla regolazione della sazietà. Un suo malfunzionamento causa disturbi dell’assorbimento e se non assorbiamo i nutrienti ci sentiamo deboli, cosa che ci costringe a mangiare di più, nonostante il problema non siano le quantità di cibo assunte, bensì l’incapacità dell’organismo di assimilarle.

RESETTA IL GUSTO

Il nostro palato, educato dal mercato alimentare, è sempre più abituato a gusti artificiali e a cibi troppo zuccherati o troppi salati. Questa condizione porta ad alimentarsi in modo del tutto scorretto e per questo motivo bisognerebbe disintossicarsi da certe sostanze, specie quelle che danno dipendenza, come lo zucchero.

RIMANI PULITO DOPO LA DIPENDENZA

Quando ci si disintossica da una sostanza si possono verificare delle crisi eliminative e di astinenza. La sospensione ad esempio degli zuccheri o del caffè provoca una serie di disturbi fisici, anche molto forti, come cefalee, stanchezza o insonnia. L’istinto spinge a reintrodurre queste sostanze per placare il disagio, ovviamente ritornando punto e a capo. Quindi è molto importante accettare questa fase delicata di pulizia un po’ dolorosa, ma che permette al corpo di riequilibrarsi.

OPTA PER SNACK SALUTARI

Tieni sempre a portata di mano della frutta secca in caso di crisi di fame. Per le voglie di dolce si può prendere della frutta oppure del miele. La carruba può essere un sostituto della cioccolata. Mentre mangiare lo zenzero toglie l’appetito.

ATTREZZATI IN CASO DI SPM

E’ stato dimostrato che gli estrogeni sono collegati all’insulina e chiaramente influenzano il tono dell’umore, predisponendo la donna ad attacchi di fame violenta nei giorni prima del ciclo. Andrebbero pertanto ridotti quei alimenti considerati iperinsulinici come dolci e latticini ed eventualmente assumere integratori a base di magnesio.

MANTIENI COSTANTI I LIVELLI DELLA GLICEMIA, DEL CORTISOLO E DELLA SEROTONINA

Non digiunare, non saltare i pasti, non fare attività fisica estrema, né consumare cibi acidificanti, tipo prodotti da forno, latticini e sostanze nervine. I picchi glicemici sono i maggiori responsabili dei ripetuti vuoti di fame che si hanno nel corso della giornata. Sono sconsigliate anche le diete iperproteiche.

MUOVI IL C*LO

Troppo comfort fa male. Fai esercizio fisico, meglio se all’aria aperta, così oltre che inibire l’appetito vengono liberate le endorfine in circolo favorendo il senso di benessere.

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silvia c. silvia c.

La Fame

La fame è un bisogno primario, un impulso che viene avvertito quando i livelli di energia nel corpo diminuiscono.

Il controllo dell’assunzione di cibo, al fine di mantenere l’equilibrio energetico interno, è una delle tante funzioni svolte dall’ipotalamo. In questa struttura, che rappresenta il principale punto di comunicazione tra il sistema nervoso e quello endocrino, sono presenti infatti  i centri della fame e della sazietà, il cui funzionamento è influenzato dalla presenza di determinati segnali provenienti dall’apparato gastrointestinale e dal tessuto adiposo e dalla liberazione in circolo di specifici ormoni e neurotrasmettitori. Gli ormoni principali sono quelli coinvolti nel controllo della glicemia, considerata tra i maggiori stimoli che intervengono sulla regolazione dell’appetito. Quando i suoi valori scendono sotto la norma scatta la fame, mentre quando salgono viene attivato il centro della sazietà. Questo meccanismo è governato da due ormoni, l’insulina e il glucagone, la cui attività dipende molto dalle abitudini alimentari. Consumare pietanze a basso indice glicemico e quindi riducendo i carboidrati raffinati, assieme alla corretta ripartizione dei macronutrienti, sono degli accorgimenti fondamentali  da mettere in atto per un efficace controllo della fame. Altri ormoni che sono legati all’assunzione di cibo sono la grelina, prodotta dallo stomaco, la colecistochinina, prodotta dal duodeno, specie dopo un pasto ricco di proteine e grassi, l’ormone della crescita, l’ormone tiroideo, gli estrogeni ed il cortisolo, che secreto dalle ghiandole surrenali ha un effetto iperglicemizzante. 

LO STRESS CRONICO ED IL DIGIUNO PROLUNGATO PROVOCANO UNA PRODUZIONE IN ECCESSO DI CORTISOLO, CHE A LUNGO ANDARE CAUSA UN AUMENTO DELLA PRODUZIONE DI SOSTANZE INFIAMMATORIE E SOPRATUTTO LO SVILUPPO DI UN’INSULINO-RESISTENZA ALL’INTERNO DEL CORPO.

L’insulino-resistenza non solo incentiva il senso di fame e l’accumulo di peso, ma è una condizione predisponente all’insorgere di diverse patologie come il diabete. Accanto alla glicemia, un altro stimolo in grado di influenzare l’appetito è dato dalla presenza di riserve lipidiche nell’organismo. Se queste scarseggiano vengono inviati dei segnali per attivare il centro della fame, mentre una volta saziato il corpo, viene rilasciato in circolo un ormone prodotto dalle cellule del tessuto adiposo chiamato leptina. Chiaramente se la leptina lavora male, a causa per esempio di un consumo quotidiano di cibi infiammatori come lo zucchero o i grassi trans e idrogenati, il messaggio non verrà inviato in modo corretto e l’individuo non riuscirà a rendersi conto di aver immagazzinato abbastanza energia. Per quanto riguarda invece i neurotrasmettitori coinvolti nel comportamento alimentare, il più noto è la SEROTONINA che viene prodotta dal sistema nervoso centrale e dall’intestino. Svolge una varietà di funzioni, migliora il tono dell’umore, regola la percezione del dolore, la motilità intestinale e l’appetito, favorendo il senso di sazietà. Di solito un’impellente voglia di cibo è associata ad una diminuzione dei suoi livelli. I carboidrati hanno la capacità di contrastare questa condizione, peccato che i carboidrati maggiormente consumati siano quelli complessi di tipo raffinato e cioè ad alto indice glicemico. La loro caratteristica è quella di venire digeriti in pochissimo tempo causando un brusco aumento dei livelli di insulina, il cui risultato finale è quello di regalare sì una sensazione di benessere energetico, ma del tutto temporanea e capace di indurre la persona, ormai assuefatta, a ricercare quei cibi in grado di dare questo stato di appagamento. 

UNA DIETA RICCA DI GRASSI E DI DOLCI E’ IN GRADO DI PROVOCARE DIVERSI SQUILIBRI A LIVELLO DELL’IPOTALAMO E A LIVELLO ORMONALE, CHE SI TRADUCONO POI IN UN CIRCOLO VIZIOSO: PIU’ SI MANGIANO QUESTI CIBI E PIU’ SI HA FAME, CREANDO UNA VERA DIPENDENZA.

Inoltre queste sostanze risultano essere particolarmente dannose per il microbiota. Praticamente la composizione del microbiota influenza il metabolismo, l’assorbimento dei nutrienti e persino il senso della fame. I batteri intestinali inviano segnali specifici al cervello, orientandolo nella scelta degli alimenti e promuovendo il rilascio degli ormoni della sazietà, a loro volta coinvolti nel rilascio dell’insulina. Ma allo stesso tempo queste popolazioni batteriche sono il risultato dei cibi ingeriti, infatti un’alimentazione molto sbilanciata determina modificazioni importanti sulla struttura dell’ecosistema batterico intestinale, provocando la crescita di alcuni ceppi di batteri detti “cattivi” a scapito di altri “buoni”.

UN’ALIMENTAZIONE SBILANCIATA NON E’ IN GRADO DI RIFORNIRE ADEGUATAMENTE IL CORPO.

Lo scarso introito di proteine e di grassi sani, la disidratazione, la carenza di vitamine e sali minerali allertano l’ipotalamo e spingono alla ricerca di cibo per poter rimediare a questi deficit. Spesso certe voglie si scatenano proprio per sopperire alle mancanze di determinati elementi, ad esempio se c’è poca disponibilità in circolo di triptofano, il cervello ci indirizzerà a consumare  più carboidrati oppure bassi livelli di magnesio spingono al consumo di cioccolata.

LE CARENZE NON SONO SEMPRE DI TIPO BIOCHIMICO, MA SPESSO SONO DI NATURA EMOTIVA. 

La mancanza di serenità interiore e l’incapacità di gestire la frustrazione sia psicologica che fisica, spesso e volentieri hanno come canale di sfogo il cibo e per questo ultimamente si parla molto dell’importanza di distinguere la fame emotiva da quella fisiologica. La fame fisiologica insorge gradualmente, dopo ore che non si è mangiato. Non è schizzinosa, qualsiasi cibo va bene purché plachi le fitte allo stomaco e termina una volta riequilibrato il livello energetico, lasciando un senso di soddisfazione. L’alimentazione emotiva si manifesta in modo diverso. Anzitutto è un bisogno che nasce all’improvviso, in assenza di reali necessità, è urgente e desidera cibi consolatori specifici, cioè ipercalorici, super gustosi e confezionati, pronti da mangiare subito in grandi quantità, fino a perdere il controllo nei casi più severi. L’abbuffarsi per affrontare una situazione che crea ansia, lascia dopo un forte senso di colpa e di disprezzo per sé stessi. Le nostre emozioni ed i nostri comportamenti alimentari sono stati studiati molto bene dall’industria del cibo, il cui obiettivo è vendere prodotti dall’aspetto e dall’aroma allettante, ma poveri dal punto di vista nutrizionale. L’aroma, anche se artificiale, crea un senso di aspettativa, di attesa a livello cerebrale. Il cervello perciò allerta il corpo e sopratutto l’apparato digerente per prepararlo ad accogliere il “carburante”in arrivo. Quindi aumenta la salivazione, la motilità gastrica, si attivano le forze digestive, ma tutto questo sforzo è un po’ a vuoto, visto che poi il cibo ingerito non soddisfa l’aspettativa dal punto di vista nutritivo. Purtroppo questa insoddisfazione spinge a mangiare di più e alla fine si mangia tanto e male.

LA PREVENZIONE DEI DISORDINI ALIMENTARI E DEGLI SQUILIBRI FISICI CHE DERIVANO DA UNA CATTIVA ALIMENTAZIONE INIZIA QUANDO SI E’ PICCOLI.

Genitori ossessionati dal peso oppure che ricorrono sempre al biscottino come premio o come tappo per calmare un pianto, condizionano negativamente l’apprendimento del comportamento alimentare nel bambino, in quanto si vengono a creare delle associazioni malsane nel cervello dell’infante, sopratutto perché in questa fascia di età l’atto di nutrirsi possiede dei forti significati simbolici e comunicativi. Basta pensare al fatto che quando il bambino nasce instaura la relazione più intima con la mamma, cioè con colei che lo ha nutrito nella pancia e che continua a farlo allattandolo. Educare il bambino alla discriminazione delle proprie emozioni e dei propri bisogni fisiologici, evitare di metterlo sotto una campana di vetro, ma piuttosto insegnargli strategie di coping per affrontare situazioni stressanti, regalargli momenti di felicità insieme, anziché caramelle e giochetti vari, sono tutte attenzioni necessarie per farlo crescere in modo sano e anche dei metodi validi contro l’uso compulsivo del cibo come strumento di gratificazione, di distrazione o di conforto nei momenti di difficoltà.

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silvia c. silvia c.

Disbiosi Intestinale

Non è una malattia, ma piuttosto è una condizione fisio-patologica dovuta alla rottura dell’equilibrio dell’ecosistema microbico presente nel tratto intestinale.

L’intestino, come del resto la pelle o la vagina, ospita tantissimi batteri e tra noi e questi microrganismi c’è un rapporto simbiotico, cioè traiamo reciproco vantaggio dalla vita in comune. “L'uomo è un super-organismo, il risultato della combinazione simbiotica del suo patrimonio genetico e del suo microbiota, un ecosistema batterico molto complesso con un elevato grado di diversità nelle specie che lo compongono e caratterizzato da funzioni metaboliche, immunologiche e fisologiche diversificate e specializzate”. (Ospedale pediatrico Bambino Gesù) 

LA COMPOSIZIONE DEL MICROBIOTA E’ UNICA IN OGNI INDIVIDUO ED E’ COSTITUITA SIA DA BATTERI CHE SI POSSONO DEFINIRE BUONI, IN QUANTO UTILI ALL’ORGANISMO, SIA DA BATTERI COMMENSALI O PATOGENI.

Queste popolazioni batteriche vivono in equilibrio sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, localizzandosi in modo preciso lungo il tubo digerente. I fattori che determinano la quantità e la qualità dei microorganismi sono la presenza di ossigeno,  l’acidità dell’ambiente e la peristalsi. Per questo motivo, si passa da poche centinaia di batteri nello stomaco - cioè un ambiente con pH acido, molto ossigeno e buona peristalsi - fino ad arrivare ad un’enorme quantità di batteri nel colon. La SIBO, ad esempio, è una forma di disbiosi (causata in genere  da prolungate terapie con inibitori della pompa protonica) in cui certi batteri aumentano o si spostano nell’intestino tenue, dove normalmente non sono presenti, provocando diarrea, dolore addominale e meteorismo.

NELLA VITA INTRAUTERINA SI FORMA IL PRIMO MICROBIOTA CHE E’ IN GRAN PARTE EREDITATO DALLA MADRE, LE CUI ABITUDINI ALIMENTARI AVRANNO UN IMPATTO FONDAMENTALE SULLA SUA COMPOSIZIONE.

La colonizzazione vera e propria dell’intestino inizia con il parto, segue poi con il contatto pelle a pelle con la mamma e con l’allattamento. Parto cesareo, latte artificiale, uno svezzamento poco attento e terapie farmacologiche non sempre necessarie nei primi tre anni di vita, quando la popolazione batterica è ancora molto instabile e poco varia, possono influire negativamente sull’ecosistema microbico. Solo dopo i tre anni il bambino avrà un microbiota simile a quello dell’adulto, in grado di svolgere tutte le funzioni per cui è predisposto, come quella di  favorire la biodisponibilità di certi nutrienti e la metabolizzazione delle calorie oppure come quella di regolare l’espressione del sistema immunitario e quindi di difendere l’organismo.  Pertanto, la configurazione microbica specifica di un individuo è dinamica e si modifica velocemente in risposta a tenui cambiamenti nel microambiente in cui risiedono i batteri. L’esposizione ad alcuni fattori può spostare la popolazione microbica verso un nuovo equilibrio, attraverso la perdita di specifiche specie e/o l’acquisizione di altre e questo nuovo equilibrio microbico può essere associato a uno stato di salute o di malattia. L’identificazione dei fattori che influenzano la composizione del microbiota è pertanto fondamentale per capire lo sviluppo di diverse patologie. Infatti il microbiota intestinale subisce aggressioni quotidiane da parte di microrganismi spesso patogeni che provengono dall’esterno, ma grazie a dei meccanismi di regolazione interna, riesce a mantenere il suo equilibrio, per questo esso non va inteso come qualcosa di statico, ma anzi è molto dinamico, costantemente in evoluzione e sempre pronto ad adattarsi ai continui cambiamenti. Quando questo stato di eubiosi viene alterato, sia a livello qualitativo o a livello quantitativo o entrambi, si parla di disbiosi. Le cause di disbiosi possono essere:

UNA DIMINUZIONE DELL’ACIDITA’ GASTRICA

A sua volta causata dall’invecchiamento o dall’uso prolungato di antiacidi.

L’ABUSO DI FARMACI

Sopratutto antibiotici, ma anche corticosteroidi, pillola anticoncezionale e lassativi.

I DISTURBI DELLA MOTILITA’ INTESTINALE

Come la costipazione cronica e anche tutte le malattie infettive possono dare problemi a livello intestinale.

I DISTURBI DEL SONNO

Con un conseguente aumento del cortisolo in circolo.

LA MALNUTRIZIONE

Dieta scorretta, l’eccessivo consumo di alimenti industriali e la mancata assunzione di fibre e di cibo crudo.

E’ SOPRATUTTO IL CIBO IL MAGGIOR RESPONSABILE DI QUESTA CONDIZIONE.

Un’alimentazione acidificante provoca la proliferazione di batteri patogeni e le variazioni del pH distruggono i batteri buoni. Questa situazione innesca a sua volta una serie di reazioni che alla fine provocano una compromissione della permeabilità dell’intestino, con produzione di metaboliti tossici e anche di sostanze cancerogene, il mancato assorbimento di calcio, di vitamina B12 e K,  aumento di anticorpi e dei fenomeni fermentativi e putrefattivi a livello intestinale. Le conseguenze sull’organismo si manifestano con la comparsa di patologie o disturbi ricorrenti specie a carico dell’apparato digerente come coliti, stipsi, diarrea, sindrome del colon irritabile, infiammazioni intestinali, dispepsia e reflusso, ma anche di tipo sistemico come disturbi uro-ginecologici, mal di testa, affezioni cutanee, stanchezza, disturbi ormonali e comunque una tendenza generale alle infiammazioni, alle malattie metaboliche (insulino-resistenza, ipercolesterolemia, obesità) e allo sviluppo di intolleranze e di allergie.

GLI ALIMENTI INGERITI DETERMINANO LA DIVERSITA’ DELLE SPECIE BATTERICHE PRESENTI NEL CORPO. LA COMPETIZIONE CHE SI CREA TRA LE DIVERSE POPOLAZIONI IMPEDISCE CHE UNA SOLA SPECIE DIVENTI INVADENTE E CHE RIVERSI NELL’ORGANISMO TUTTI I SUOI PRODOTTI DI SCARTO.

Le ricerche hanno dimostrato che quanto più sono numerose le specie batteriche presenti nell’intestino, tanto più una persona potrà godere di buona salute, mentre chi mangia molti cibi raffinati, vive una vita sedentaria, trascorrendo la maggior parte del tempo al chiuso, chi ha perso il contatto con la terra e con il mondo animale, diventando un maniaco dell’igiene e un consumatore cronico di farmaci, avrà invece una maggiore possibilità di ammalarsi. Quindi, la disbiosi altro non è che una perdita di questa varietà, di questa ricchezza. Noi abbiamo un forte bisogno di proteggere la biodiversità, sia dentro che fuori, perché essa è la base della sopravvivenza del nostro pianeta. Come le monoculture stanno uccidendo la terra, le diete poco varie uccidono l’intestino, ma fortunatamente possiamo prendere il controllo della situazione, iniziando col nutrire il nostro microbiota in modo giusto e sano, senza farsi sopraffare dalla forza dell’abitudine e della pigrizia.

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silvia c. silvia c.

Mal di Testa

Si parla di cefalea primaria quando il dolore stesso è la patologia. Le cause sono sconosciute e si distinguono tre tipi: l’emicrania, la cefalea a grappolo e la cefalea tensiva.

L’EMICRANIA è caratterizzata da un dolore pulsante, monolaterale che può durare dalle 4 ore fino a 3 giorni e che peggiora col movimento. Il soggetto durante gli attacchi riferisce il desiderio di rimanere disteso, meglio se al buio e in silenzio, questo perché il dolore spesso è associato ad altri sintomi quali la fotobia, la fonofobia, la nausea ed il vomito. Circa il 20-30% degli episodi di emicrania sono preceduti da una serie di sintomi neurologici chiamati aura emicranica. L’aura è caratterizzata da sintomi visivi, sensoriali e/o disturbi del linguaggio che appunto precedono il dolore di 30-60 minuti. Se in questo caso il dolore colpisce di più le donne, nella CEFALEA A GRAPPOLO sono gli uomini ad essere i più colpiti. Il dolore è molto intenso, concentrato nella zona oculare ed è associato a lacrimazione e congestione nasale. Infine, la forma TENSIVA, come suggerisce il nome stesso, è causata dalla contrazione/tensione dei muscoli del collo e delle spalle. Si presenta con un dolore gravativo-costrittivo solitamente localizzato sulla fronte o sulla nuca, può durare qualche minuto o anche per sette giorni, senza però impedire lo svolgimento delle normali attività. Le CEFALEE SECONDARIE, invece, sono provocate da altre condizioni tipo patologie, traumi, stati infiammatori, infezioni o disturbi vascolari che interessano la zona cerebrale, ipertensione e anche tumori. 

COMPRENDERE I FATTORI SCATENANTI DEL MAL DI TESTA E’ UTILE PER POTER GESTIRE AL MEGLIO GLI ATTACCHI.

Spesso la comparsa del dolore è il frutto di più triggers diversi che si verificano insieme per un certo periodo di tempo, per questo la loro identificazione è indispensabile al fine di prevenire gli episodi dolorosi. Ecco una lista di possibili triggers:

LA SCARSA QUALITA’/QUANTITA’ DEL SONNO

Dormire poco, dormire troppo, dormire alle ore sbagliate, dormire dopo mangiato, dormire in condizioni ambientali non adeguate.

LA DIETA E LE DIFFICOLTA’ DIGESTIVE

Nelle persone particolarmente suscettibili, l’ingestione di certi cibi o bevande può innescare l’attacco, come ad esempio l’alcol, il caffè, i formaggi stagionati, i salumi, la cioccolata, la frutta secca, alcuni pesci come i crostacei e i frutti di mare, i lieviti e certi prodotti alimentari contenenti determinate sostanze chimiche o additivi tipo il glutammato monosodico, i nitrati e l’aspartame. Attenzione anche a saltare o a ritardare i pasti poiché si crea una condizione di ipoglicemia capace di provocare la cefalea. Esistono poi i mal di testa da problemi gastrointestinali, cioè dovuti a stati di infiammazione, di intossicazione o di sovraccarico digestivo. Per cui le indigestioni, l’infiammazione da cibo, la dispepsia, la disbiosi, la costipazione cronica e la diarrea sono tutte situazioni che possono avere come conseguenza, oltre ad altri disturbi, anche il mal di testa.

LA DISIDRATAZIONE E IL MANCATO APPORTO DI VITAMINE E SALI

Il corpo ha bisogno di un determinato apporto di liquidi ed elettroliti per funzionare correttamente. La sudorazione o bere poco nell’arco della giornata non consentono il mantenimento dell’equilibrio idrico, che in persone predisposte, può manifestarsi con un attacco di cefalea. Come del resto accade qualora si abbia una carenza di ferro o di magnesio. Nel primo caso il mal di testa può essere accompagnato da vertigini e confusione e si manifesta perché arriva meno ossigeno al cervello. Il deficit di magnesio, dovuto in genere a stress e alle variazioni ormonali, provoca invece una costrizione e spasmo dei vasi sanguigni del cervello.

GLI ORMONI

L'emicrania è strettamente associata agli ormoni femminili. Molte donne riferiscono che i dolori iniziano alla pubertà e sono legati al loro ciclo. L’emicrania mestruale insorge tipicamente 1-2 giorni prima delle mestruazioni, può estendersi fino a 3-4 giorni dopo ed è dovuta proprio alla repentina alterazione dei livelli di estrogeni in circolo.

PROBLEMI DI PRESSIONE ARTERIOSA

Di solito l’ipertensione cronica è asintomatica, tuttavia durante le crisi si possono riscontrare forti mal di testa, emicrania accompagnata da aura, vertigini, senso di sbandamento e epistassi. Il mal di testa associato all’ipotensione è invece accompagnato da tachicardia, astenia e pallore.

DISTURBI A CARICO DEL NERVO VAGO

L’infiammazione del nervo vago può avere ripercussioni negative su tutto il corpo, in modo particolare può dare cefalea tensiva, formicolii al volto e alla testa, sindromi cervicali, debolezza e nausea.

LA CATTIVA MASTICAZIONE E LE PATOLOGIE DELLA MANDIBOLA

Tipo l’artrosi della mandibola, il bruxismo e anche i denti mal allineati.

VIZI POSTURALI, INADEGUATA ATTIVITA’ FISICA E PROBLEMI MUSCOLOSCHELETRICI

L’esercizio fisico intenso, soprattuto nelle persone sedentarie, può causare cefalea. Come anche le posture scorrette, specie se protratte nel tempo, ad esempio quando si lavora per ore seduti davanti al computer. Poi vanno menzionati tutti i dolori, i traumi e le patologie a carico dell’apparato muscolo-scheletrico tipo artrosi, osteoporosi, cervicobrachialgia, mal di schiena, cervicale, ernia.

RESPIRAZIONE SCORETTA

Può provocare irrigidimento della muscolatura cervicale ed in più l’inadeguata ossigenazione rende i muscoli maggiormente affaticabili.

L’ABUSO TECNOLOGICO E I DISTURBI VISIVI

Lo stare davanti ad uno schermo tutto il giorno fa male sia agli occhi sia alla testa.  Quando i muscoli oculari vengono sforzati a lungo si hanno affaticamento visivo e dolore agli occhi che a loro volta comportano mal di testa.

CERTE CONDIZIONI AMBIENTALI

Rumori e/o odori intensi, troppa o poca luce, i cambi di stagione, il vento, l’umidità, l’eccessiva esposizione al sole, le temperature molto calde o molto fredde e anche l’alta quota possono essere considerati dei triggers.

CAMBI DI ABITUDINE

Sopratutto per quanto riguarda le abitudini legate ai pasti, al sonno e al consumo di caffeina. Spesso i soggetti emicranici presentano gli attacchi o durante i viaggi, perché appunto ci sono delle inevitabili modifiche nella routine giornaliera o nei weekend, momento in cui predomina uno stato di relax dopo lo stress settimanale.

INFEZIONI VIRALI E PATOLOGIE DA RAFFREDDAMENTO

Non è chiaro se la malattia o l’infezione siano un fattore scatenante o se l'ammalarsi abbassi la “soglia di attacco” per cui sono necessari meno triggers per scatenare l’episodio doloroso. Il dolore, in genere, interessa il naso, i seni paranasali, gli occhi e le orecchie. E’ importante non far cronicizzare il raffreddore perché poi potrebbe evolvere in una sinusite, anch’essa causa di forti mal di testa e pesantezza facciale.

PRESENZA DI ALLERGIE, INTOLLERANZE ALIMENTARI, RINITE ALLERGICA

Chi soffre di allergie sembra essere più suscettibile ad attacchi di cefalea. Lo stesso vale per i soggetti intolleranti al glutine. Nelle intolleranze alimentari, nonostante che l’organo colpito sia l’intestino, si osservano una vastità di sintomi anche di natura extra-digestiva. L’infiammazione cronica e latente rende le cellule del cervello vulnerabili, l’aumento di tossine in circolo sovraccarica il fegato e si manifesta con frequenti attacchi di mal di testa. Nelle cefalee da intolleranza, solitamente, l’area colpita è la zona degli zigomi e intorno agli occhi, anche se non sono escluse altre parti della testa. Il dolore può accompagnarsi a nausea, vomito e ipersensibilità alla luce ed ai rumori.

ANSIA E AFFATICAMENTO MENTALE

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silvia c. silvia c.

Il Dolore

Il dolore è un’esperienza universale, poiché da tutti sperimentato, eppure non del tutto comprensibile a causa della sua estrema soggettività.

La IASP (International Association for the Study of Pain) definisce il dolore come “un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata a un danno tissutale reale o potenziale”. E’ importante distinguere il dolore dalla nocicezione, poiché sono due fenomeni diversi. La nocicezione è il processo nervoso grazie al quale uno stimolo potenzialmente nocivo per l’organismo viene captato da specifici neuroni sensoriali chiamati “nocicettori” e poi trasformato in un impulso elettrico che arriva fino al sistema nervoso centrale, dove viene tradotto in esperienza sensoriale. I nocicettori sono dei recettori specializzati nella decodificazione degli stimoli dolorosi che possono essere di natura meccanica, chimica oppure termica. I tipi di Nocicettori sono: cutanei, muscolari, articolari e viscerali. Il dolore non può essere dedotto solo dall’attività neurosensoriale.

IL DOLORE E’ UN’ESPERIENZA MULTIDIMENSIONALE, INFATTI POSSIEDE  UNA DIMENSIONE SENSITIVO-DISCRIMINATIVA, UNA DIMENSIONE EMOZIONALE-AFFETTIVA E UNA DIMENSIONE COGNITIVO-VALUTATIVA.

A livello fisico, una sofferenza anatomica o funzionale di un organo si manifesta con sensazioni dolorose che possono essere identificate in termini di localizzazione e di proprietà fisiche (intensità, qualità e durata) e che provocano nella persona l’attivazione di specifici atteggiamenti antalgici, che possono essere esacerbati dalla presenza di altre patologie fisiche. A livello emotivo il dolore si può manifestare, invece, con la comparsa di paure e stati d’ansia che ovviamente si riflettono sul piano somatico e che sono il frutto del ricordo di esperienze dolorose passate. Infine, la dimensione cognitivo-valutativa è molto condizionata dall’ambiente socio-culturale di provenienza della persona: le aspettative, le credenze, le interpretazioni psicologiche del danno, le motivazioni personali modificano la soglia del dolore e l’espressione della sofferenza. Riconoscere che la percezione del dolore ha questi tre livelli di elaborazione è fondamentale per poter sviluppare delle strategie di coping adeguate.

IL DOLORE E’ SEMPRE UN’ESPERIENZA PERSONALE INFLUENZATA A VARI LIVELLI DA FATTORI BIOLOGICI, PSICOLOGICI E SOCIALI.

Ogni persona vive il dolore in modo unico e la sua interpretazione varia a seconda del proprio vissuto, del contesto culturale di appartenenza e anche dall’educazione ricevuta da piccoli. Infatti molti comportamenti legati al dolore vengono appresi durante l’infanzia e modificati nell’età adulta in base alle esperienze vissute. Degli studi hanno rilevato che bambini di famiglie con una sintomatologia algica sono maggiormente predisposti a lamentarsi per il dolore. Pertanto l’atteggiamento che i genitori hanno verso il dolore, la malattia e la sofferenza in generale condiziona fortemente il bambino. Sviluppare una personalità ansiosa, con bassa autostima, pessimista, tendere a rimuginare e a catastrofizzare, vivere in un ambiente familiare difficile andrà ad influire negativamente sulla percezione del dolore e sui meccanismi di adattamento. 

NON ESISTE UNO STRUMENTO IN GRADO DI MISURARE IN MANIERA OGGETTIVA IL DOLORE CHE PROVIAMO.

Esistono però delle scale di misurazione che vengono normalmente usate in ambito ospedaliero. Queste scale di misurazione del dolore sono classificate in unidimensionali e multidimensionali. Le prime misurano esclusivamente l’intensità del dolore e le più utilizzate sono: la Numerical Rating Scale (NRS), Verbal Rating Scale (VRS) e la Visual Analogue Scale (VAS). Queste scale purtroppo non riescono a descrivere la complessità dell’esperienza dolorosa, visto che prendono in considerazione un solo elemento e questo le rende poco indicate in caso di dolore cronico. Le scale multidimensionali invece valutano anche le altre dimensioni del dolore. Tra le scale multidimensionali validate in italiano ci sono il McGill Pain Questionnaire (MPQ), il Brief Pain Inventory (BPI) e il Painad. La scelta dell’utilizzo di uno strumento piuttosto che di un altro dipende da una serie di variabili quali l’età della persona, il suo livello di istruzione e l’integrità delle sue funzioni visive-motorie-cognitive. A parte l’utilizzo di queste scale che viene fatto in ambito clinico, è fondamentale che la persona sappia raccontare il proprio dolore, una cosa che sembra facile e scontata, ma che in realtà non sempre lo è. Quando si descrive il dolore bisogna saper rispondere ad alcune domande:

DOVE E’ LOCALIZZATO?

In base alla localizzazione si parla di dolore somatico (può essere superficiale o profondo a seconda della provenienza: cute e mucose oppure ossa, articolazioni e muscoli) o di dolore viscerale, quando il dolore è causato dalla stimolazione dei nocicettori situati negli organi interni. Può manifestarsi in seguito a distensione dei visceri, tensione, compressione o infezione. In ultimo il dolore può irradiarsi, andando ad interessare più parti del corpo.

COME E’ INIZIATO?

E’ un dolore insorto all’improvviso oppure si è manifestato gradualmente? Può essere collegato al cibo, al clima, a certi movimenti oppure ad uno stato d’animo?

SAI DESCRIVERNE L’INTENSITA’ E LA DURATA?

Ad esempio da 0 a 10 quanto ti senti male? Questo dolore tende ad aumentare nel tempo? E’ costante oppure va e viene?  Ci sono dei momenti durante la giornata in cui è più forte, ad esempio di notte?

CI SONO DEI FATTORI CHE AGGRAVANO O ALLEVIANO IL DOLORE?

Per esempio lo svolgimento di attività fisica oppure il freddo? La borsa calda o l’assunzione di un analgesico sono di qualche sollievo? 

CI SONO ALTRI SINTOMI CONNESSI?

Quando il dolore è insorto sono comparsi altri sintomi come la nausea, la tachicardia, la sudorazione o altro ancora?

RIESCI A SVOLGERE LE TUE ATTIVITA’ QUOTIDIANE?

Riesci a mangiare? A dormire? A lavorare?

CHE TIPO DI DOLORE E’?

E’ un dolore sordo, bruciante, crampiforme, martellante, come una pugnalata, come un formicolio o come una scossa elettrica? E’ un dolore di tipo acuto o è cronico?

QUANDO IL DOLORE DIVENTA CRONICO PERDE IL SUO RUOLO PROTETTIVO E DIVENTA ESSO STESSO MALATTIA.

Di fatto il dolore è un importante meccanismo di difesa grazie al quale il corpo ci segnala che c’è qualcosa che non va. Il dolore acuto ne è l’esempio. E’ un dolore di breve durata, in cui solitamente il rapporto di causa/effetto è evidente e scompare con la riparazione del danno (o diventa un dolore acuto ricorrente quando si presenta periodicamente). Esempi di dolore acuto possono essere: traumi, infiammazioni, spasmi muscolari o un dolore secondario a procedure invasive. Invece, il dolore cronico si protrae oltre i tempi normali di guarigione di una lesione o di un’infiammazione, perdendo di conseguenza la sua funzione protettiva, tanto da diventare causa di disabilità. In genere è un dolore che dura più di tre mesi, che si auto-mantiene diventando patologico e può essere caratterizzato anche dalla presenza di fenomeni di sensibilizzazione come: l’iperalgesia (aumentata risposta percettiva agli stimoli nocivi) o l’allodinia (comparsa di dolore in seguito a stimoli normalmente innocui). In questo caso il dolore non può essere considerato un semplice sintomo, bensì un problema che richiede un approccio multidisciplinare capace di intercettare non solo il disagio fisico, ma anche quello psicologico-esistenziale-affettivo. Di fronte al dolore, soprattutto quello cronico, le persone reagiscono nei modi più svariati, c’è chi lo ignora, c’è chi si rassegna e si lascia andare, altri invece si battono tutti i giorni per trovare una soluzione.

IL DOLORE PUO’ DIVENTARE  UN’ESPERIENZA UNICA DI CRESCITA.

Un’esperienza dolorosa può aiutarci a fare un lavoro di introspezione, a dare un diverso valore alle cose o a cambiare le nostre priorità. Indagare sul senso della propria sofferenza può farci maturare come individui e a spingerci a vivere la nostra vita più intensamente e più consapevolmente, godendo di ogni momento che ci viene regalato. L’accettazione del dolore non è facile, ma si è visto che è un processo utile al fine di ridurre le reazioni emotive negative associate al malessere. 

E’ IMPORTANTE IMPARARE A GESTIRE LA PARTE PSICOLOGICA DEL DOLORE E A DIMINUIRE TUTTI I FATTORI DI STRESS. 

Il dolore ha il potere di catturare e trattenere l’attenzione, interferendo con il pensiero razionale.  Rimanere concentrati sul proprio male altro non fa che esasperarne l’intensità. Per questo motivo la distrazione è uno dei tanti metodi utilizzati per cercare di gestire e quindi di ridurre la percezione dolorosa. Tecniche di gestione dello stress, tecniche di rilassamento e di respirazione, mindfulness e terapie cognitivo-comportamentali sono tutti aiuti molto validi in caso di dolore, specie se cronico.

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silvia c. silvia c.

L’Infiammazione

E’ una risposta protettiva ad un danno subito, messa in atto dall’organismo con lo scopo di eliminare gli agenti nocivi responsabili del danno e predisporre il corpo alla guarigione.

La flogosi può essere locale, ad esempio quando si ha una piccola ferita alla pelle oppure può interessare l’intero organismo, diventando perciò sistemica. Inoltre, si possono distinguere due tipi di infiammazione, quella acuta - che si sviluppa solitamente entro minuti o ore e ha durata breve, al massimo qualche giorno - e quella cronica, che invece si instaura quando l’agente nocivo non viene adeguatamente eliminato. In questo caso il processo flogistico perdura nel tempo e possono coesistere fenomeni di infiammazione attiva, di distruzione tissutale e tentativi di riparazione. Le cause scatenanti possono essere:

LE INFEZIONI 

Che possono essere virali, batteriche, micotiche o parassitarie e che possono provocare un range vario di risposte: dalle infiammazioni acute lievi a quelle croniche sistemiche.

L’AGGRESSIONE DA PARTE DI AGENTI CHIMICI

Come nel caso dell’ulcera peptica, dove il succo gastrico erode la mucosa dello stomaco.

LA PRESENZA DI CORPI ESTRANEI

Tipo schegge o punti di sutura, ma anche di certe sostanze prodotte al nostro interno. Queste, se si depositano in grande quantità nei tessuti possono innescare una risposta infiammatoria come succede nell’aterosclerosi con i cristalli di colesterolo.

LA NECROSI TISSUTALE

Conseguente a ischemia, congelamento o radiazioni è una possibile causa di infiammazione.

FERITE E TRAUMI FISICI/MECCANICI

Per esempio le infiammazioni che colpiscono l’apparato muscolo-scheletrico; solitamente insorgono con una caduta, un colpo, una postura scorretta mantenuta a lungo. La rigidità muscolare ed il dolore cronico alla schiena o alle articolazioni determinano una maggiore produzione di sostanze infiammatorie.

RISPOSTE IMMUNOLOGICHE ALTERATE

Tipo nell’allergie o nel caso delle reazioni immunitarie rivolte verso i tessuti dell’individuo stesso, come ad esempio nelle malattie autoimmuni.

Indipendentemente dalla causa, l’infiammazione è caratterizzata da un’iniziale sequenza precisa di reazioni in grado di determinare il rilascio di mediatori chimici, capaci di modificare la permeabilità dei vasi sanguigni, dando luogo così a dei segni specifici che sono: 

il ROSSORE, dovuto all’aumento di sangue nell’area e alla vasodilatazione, il GONFIORE, conseguente alla formazione di essudato, il CALORE, perché si ha un aumento della temperatura secondario a vasodilatazione, il DOLORE, causato dalla pressione delle terminazioni nervose e dalle alterazioni biochimiche locali e la FUNZIONALITA’ LESA.

La presenza di questi segni spesso induce l’individuo ad assumere farmaci in grado di sopprimere qualsiasi stato infiammatorio, trascurando il fatto che questo stato è in realtà una cosa buona, poiché rappresenta un meccanismo di difesa dell’organismo e al contempo un mezzo di guarigione. Infatti l’infiammazione scatta proprio con l’intento di annientare l’agente lesivo, chiamando in aiuto le cellule del sistema immunitario, indispensabili per fagocitare i batteri ed i detriti cellulari e per promuovere la riparazione dei tessuti. Tutto questo processo leva parecchie energie, provocando una serie di effetti, anche sistemici: aumenta il catabolismo proteico, con conseguente debolezza muscolare e astenia, si verificano alterazioni del metabolismo lipidico, si ha leucocitosi ed eventualmente anche febbre, aumentano i livelli plasmatici di certi ormoni come quelli dell’insulina e del cortisolo. Ciò significa che se da un lato è giusto lasciar sfogare l’infiammazione e non ricorre subito ai cari FANS, dall’altro è anche vero che questo processo si deve spegnere ad un certo punto, perché se protratto provoca una sorta di stravolgimento dell’omeostasi corporea, con la comparsa di danni anche seri per l’individuo.

GLI ESITI DEL PROCESSO INFIAMMATORIO POSSONO ESSERE 3: LA GUARIGIONE, LA NECROSI DEI TESSUTI COLPITI O LA CRONICIZZAZIONE. 

L’infiammazione sistemica cronica, di solito, non dà particolari sintomi, per anni può rimanere del tutto silente, fino a quando le modificazioni ormonali/metaboliche indotte e lo sfinimento del sistema immunitario non mettono definitivamente ko tutto l’organismo. Le modificazioni ormonali più significative sono quelle che coinvolgono l’insulina e il cortisolo. La loro iperproduzione determina, a lungo andare, un abbassamento delle difese immunitarie ed una difficoltà a riparare i tessuti, rallentando così la guarigione, genera insulino-resistenza e crea quindi una specie di circolo vizioso che va ad alimentare sistematicamente l’infiammazione già presente.

L’ORGANO CHE PIU’ FACILMENTE TENDE AD INFIAMMARSI E’ L’INTESTINO.

La sua capacità di assorbimento e la sua attività immunoregolatrice vengono meno qualora siano presenti fenomeni di disbiosi o di alterata permeabilità intestinale. Il continuo contatto con gli antigeni alimentari crea alterazioni del microbiota, degli enzimi e del pH digestivo che inizialmente danneggiano la mucosa intestinale per poi aggredire l’intero organismo. A tal proposito bisogna tener presente che l’uomo moderno ha un genoma pressoché identico a quello posseduto dai nostri antenati, che però non avevano un apparato gastrointestinale programmato per digerire e assorbire i cibi moderni, spesso e volentieri privati della loro energia vitale, ma anzi carichi di sostanze chimiche. Le condizioni ambientali non sono più quelle di milioni di anni fa, lo stile di vita frenetico ed incurante dei cicli biologici naturali, il fumo, i farmaci, la sedentarietà, l’inquinamento, le radiazioni, le diete ad alto indice glicemico e purtroppo l’ingestione quotidiana di alimenti raffinati, poveri di omega-3 e di vitamine e di sali, incidono profondamente sulla nostra immunità naturale e acquisita, provocando dei veri e propri squilibri. L’infiammazione, dunque, è un campanello d’allarme (visto e considerato che alla base delle malattie in genere c’è uno di stato di flogosi persistente associato ad un pH corporeo acido) che invita ad un ripensamento delle proprie abitudini e del proprio stile di vita. Quindi è importante anzitutto proteggere l’intestino, curare adeguatamente qualsiasi infiammazione di tipo acuto, anche un banale raffreddore, garantendo un riposo adeguato, muoversi il più possibile, rinforzare i muscoli, ridurre drasticamente zuccheri e grassi idrogenati ed infine integrare la dieta con gli omega-3.

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silvia c. silvia c.

Puoi Guarire la tua Vita. Louise Hay

“Quanto spesso avete rinunciato ad elaborare un pensiero positivo nei vostri confronti?”

La filosofia di Louise Hay può essere riassunta con la frase: “ogni pensiero che abbiamo nella mente, crea il nostro futuro”. Quello che pensiamo di noi, del nostro corpo e della nostra vita alla fine diventa realtà e quando pensiamo un pensiero, le cellule ascoltano e a loro volta rispondono con l’invio di segnali specifici, spesso bollati come sintomi patologici. Con questa logica la Hay sostiene che siamo noi a creare ogni sintomo ed ogni malattia nel nostro corpo. Per esempio, quando scoppia un mal di testa vuol dire che si è stati eccessivamente critici con se stessi. Le persone che soffrono di emicrania sono le persone che vogliono essere perfette. I problemi gastrici dicono, invece, che si è stati incapaci di assimilare le nuove esperienze, di avere paura. Il sentirsi condannati può provocare persino la gastrite. 

LA SALUTE LA SI CREA CON IL PENSIERO.

Penso dei pensieri felici ed il mio corpo si sente bene, è vitale. Viceversa, un pensiero negativo provoca un malessere fisico e questo malessere non va zittito prontamente, ma piuttosto va ascoltato, perché il corpo ci sta parlando, ci sta dicendo che qualcosa non va, anzitutto, nei nostri pensieri e nei nostri sentimenti.

ESISTONO SENTIMENTI KILLER, QUELLI CHE CI FANNO AMMALARE E SONO IL RISENTIMENTO, LA DISAPPROVAZIONE, IL SENSO DI COLPA E LA PAURA.

Impediscono di aver fiducia, di abbandonarsi al fluire della vita. Questa incapacità a lasciarsi andare è tipica, ad esempio, degli stitici. Essere costipati significa che si teme che la vita non ci riservi abbastanza ed evidenzia un forte attaccamento al passato. Come l’intestino rappresenta fisicamente e mentalmente la capacità di espellere ciò di cui non abbiamo più bisogno, ogni organo simboleggia uno schema di pensieri fatti, di parole dette e di sentimenti provati. La schiena indica se ci sentiamo sostenuti e appoggiati, i genitali ovviamente sono espressione di come viviamo la sessualità e le relazioni.

IL DOLORE, QUALUNQUE TIPO DI DOLORE, E’ IL FRUTTO DEL SENSO DI COLPA CHE CERCA PUNIZIONE.

La stanchezza è in realtà la noia, la mancanza di amore per quello che si sta facendo, mentre le infiammazioni compaiono in caso di rabbia repressa, di collera e frustrazione. Se uno stato di malessere cronicizza è perché ci rifiutiamo di cambiare, perché non ci sentiamo al sicuro e la paura del futuro è troppo forte. Qualsiasi forma di dipendenza ci dice che stiamo fuggendo da noi stessi e che non sappiamo veramente in che modo amarci. Il cancro, infine, è causato dal profondo risentimento che ci divora, quando si coltiva odio, uno stato di non perdono protratto nel tempo. La corrispondenza tra mente e corpo fa riflettere sul fatto che siamo noi i responsabili di tutto quello che pensiamo e che i problemi per i quali tanto ci preoccupiamo sono in realtà gli effetti esteriori di pensieri interiori. Il libro spiega che i pensieri possono essere cambiati, siamo noi che scegliamo cosa pensare in questo momento e che possiamo lasciare indietro i vecchi convincimenti e le passate abitudini mentali, per creare così la nostra salute. 

L’IMPRESA E’ LIBERARCI DALLE OPINIONI DEGLI ALTRI E DI CONSEGUENZA ACCETTARSI TOTALMENTE.

“Spesso ciò che pensiamo sia sbagliato in noi è solo l’espressione della nostra individualità. Questa è la nostra unicità, noi siamo destinati ad essere diversi, se accettiamo questo non c’è competizione né confronto”, sostiene Loiuse Hay. Il modello vincente è una sorta di newborn lifestyle, poiché il neonato è capace di vivere nel momento, ama tutto di sé e ha il coraggio di esprimere le sue emozioni in libertà. Secondo Hay questo stato di forza e vitalità svanisce già nella prima infanzia per colpa degli adulti, “crescendo tendiamo a ricostruire l’ambiente emozionale dei primi anni della nostra vita familiare, tendiamo anche a ripetere nei rapporti personali lo stesso tipo di relazioni che abbiamo avuto con la madre o con il padre o con quelli che essi avevano fra di loro. Trattiamo inoltre noi stessi come ci hanno trattato i nostri genitori”. Significa che la maggior parte delle nostre critiche, dei nostri comportamenti e delle nostre idee sono il frutto delle convinzioni dei nostri genitori apprese quando eravamo bambini. Per questo, una volta capito il meccanismo del pensiero, come funzionano le nostre emozioni ed il nostro corpo, senza arrabbiarsi né spazientirsi, bisogna iniziare la pulizia mentale. 

I PENSIERI VANNO ESAMINATI E LE EMOZIONI RICONOSCIUTE, CHIAMATE CON IL LORO VERO NOME.

Non mi stupisco nel notare quanti  timori assillino la mia mente, le lamentele continue, l’angoscia per un futuro lontano e la frustrazione per quello che è stato e quello che non ho avuto.  Ma questa presa di coscienza non deve rimanere fine a se stessa. Il libro propone una serie di esercizi al fine di allenare il proprio pensiero e anche il proprio linguaggio ad una visione ottimistica della vita. Questo implica distanziarsi da qualsiasi fonte di negatività. A volte può bastare spegnere la televisione quando danno in onda brutte notizie e allo stesso tempo operare una sorta di conversione dei pensieri, appena si presenta un’idea negativa o viene espressa una critica bisogna fermarsi e abbandonarla o anche pronunciare con voce ferma: “Fuori!”. Abbandonare, lasciar andar via pensieri ed emozioni negative presuppone la voglia di perdonare ed è questa la soluzione finale che la scrittrice propone. 

PERDONARE NOI STESSI PER “NON ESSERE STATI BRAVI ABBASTANZA”.

Perdonare anche i propri genitori, il proprio compagno, il capo in ufficio, chiunque ci abbia ferito negli anni, poiché “ogni volta che date la colpa a qualcuno, voi state dando via il vostro potere perché state dando la responsabilità di come vi sentite a qualcun altro”. Se quello che vogliamo altri non è che sentirci bene, è ora di concentrarci su quello che il corpo dice, ascoltare i segnali e le indicazioni che ci manda, poiché i nostri malesseri in fondo sono degli incentivi, ci spingono a chiederci: quali pensieri posso pensare in questo momento per stare bene?

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silvia c. silvia c.

Wake-up Calls: la Malattia Cronica

Ci sono degli eventi o delle esperienze della nostra vita che ci forzano a fare una pausa e a riflettere su cosa stiamo facendo e sulla necessità di fare un cambiamento.

Comuni esempi di wake-up calls sono: una malattia, la rottura di un rapporto, la perdita di un lavoro, un problema finanziario o semplicemente il mancato raggiungimento di un obiettivo. A volte deve accadere qualcosa di brutto per farci risvegliare da questo stato di torpore cronico. Senza accorgercene perdiamo di vista le cose importanti della vita, perché troppo assorbiti e sfiniti dal trantran quotidiano. 

ESSERE COSTANTEMENTE OCCUPATI A FARE COSE, NON SEMPRE REALMENTE NECESSARIE, CI IMPEDISCE DI ASCOLTARE LA NOSTRA VOCE INTERIORE.

Ed è logico, dunque, che deve capitarti un problema affinché tu ti dia una svegliata. Quante volte è successo di ammalarsi perché in fondo era l’unico modo per poter smettere di fare un certo lavoro o evitare una determinata situazione? La malattia è uno degli eventi più destabilizzanti che possa capitare ad una persona. Sono state spese moltissime parole per tentare di definirla, molti ad esempio l’hanno descritta come la rottura del proprio equilibrio interno. Il dottor Braibanti ha detto:

“ESISTONO MALATI E NON MALATTIE. IL VERO LIBRO DEI MEDICI E’ IL MALATO. IN TUTTI I CAMPI DELLA MEDICINA IL MEDICO NON PUO’ IGNORARE CHE IL MALATO NON E’ UNA MACCHINA. ESISTE IN LUI UNA STORIA, UNA STORIA DI VITA, UNA STORIA FAMILIARE, TESTIMONIATA ANCHE DAI PARENTI CHE ATTORNIANO IL SUO LETTO”.

Il vecchio concetto di malattia come effetto di un’unica causa è stato da tempo sostituito con una visione multifattoriale in cui si ha l’interazione complessa di diversi fattori. La malattia, il dolore o un sintomo possono essere il risultato di un insieme di situazioni che si sono accumulate negli anni: lo stress prolungato, dispiaceri, la cattiva alimentazione, esposizioni ambientali nocive, un lavoro usurante, abitudini malsane e stili di vita inadeguati. Secondo Claudia Rainville, autrice del libro “Metamedicina 2.0. Ogni sintomo è un messaggio. La guarigione a portata di mano” il dolore, il malessere o l’affezione sono considerati segni precursori dell’incrinarsi dell’armonia in una parte dell’organismo, e far scomparire questi segnali senza ricercare l’informazione di cui sono forieri sarebbe come disinserire l’allarme antifumo dopo che ha rilevato un focolaio d’incendio. Ignorando l’allarme, rischiamo di trovarci nel bel mezzo delle fiamme, ed è precisamente quello che fanno coloro che inghiottono una medicina senza cercare di capire quale sia l’origine del segnale. Questo non implica automaticamente che sia necessario rifiutare una medicina che potrebbe darci sollievo: significa invece non limitarsi a voler cancellare il dolore o a voler far scomparire i sintomi, ma voler eliminare anche ciò che ha potuto originarli. 

PUO’ ESSERE UTILE NEL PROCESSO DI GUARIGIONE E ANCHE NEL PROCESSO DI CRESCITA RICOSTRUIRE LA STORIA DI UNA MALATTIA O DI UN MALESSERE CHE CI AFFLIGGE.

Ascoltare, riconoscere e decodificare i messaggi che il nostro corpo ci invia costantemente sono passaggi fondamentali per poter risalire alla causa dei propri malesseri. Tutto quello che censuriamo, reprimiamo, soffochiamo alla fine riemerge. Il corpo ha una memoria formidabile, ricorda tutto. E’ importante, ugualmente, tenere in considerazione il contesto in cui si è sviluppato un disturbo o una malattia e per questo è necessario imparare a vivere nel momento presente, ad essere consapevoli della nostra realtà e non soggetti passivi, come purtroppo spesso succede. Molte persone preferiscono evitare questo sbattimento e sono fiduciosi che una pillola risolva tutti i loro problemi, ma purtroppo non è sempre così, sopratutto quando si tratta di malattie croniche.

OGNI PATOLOGIA HA UN TERMINE CHE PUO’ ESSERE RAPPRESENTATO DALLA GUARIGIONE DELL’ORGANISMO, DALL’ADATTAMENTO DELLO STESSO AD UNA DIVERSA FISIOLOGIA O AD UNA DIVERSA CONDIZIONE DI VITA O DALLA MORTE.

A differenza della malattia acuta che si manifesta con segni e sintomi evidenti, in modo più o meno repentino e che può sostanzialmente essere considerata un fenomeno episodico e completo in sé, nella malattia cronica i sintomi, non sempre evidenti, perdurano nel tempo, in maniera costante o con fasi di remissione parziale/totale e di riacutizzazione e non necessariamente si ha come esito la guarigione. La persona è dunque costretta a convivere con la malattia, con importanti conseguenze soprattutto a livello esistenziale e sociale. Una malattia cronica ti può far perdere la sicurezza in te stesso e la fiducia nella vita e il dolore costante, le limitazioni e le restrizioni imposte possono sfinirti psicologicamente e rovinare i rapporti con le persone che ti sono accanto.

LA MALATTIA CRONICA INCIDE IN MODO PREPOTENTE SULL’IDENTITA’ DELLA PERSONA, CHE SI DEVE RIORGANIZZARE E ADATTARE A QUESTO EVENTO.

Per questo motivo il disturbo cronico non può essere assolutamente considerato solo dal punto di vista fisiopatologico, poiché la malattia cronica ha un impatto fortissimo sulla vita di ogni giorno: può renderti dipendente dagli altri, rendere difficile se non impossibile svolgere il proprio lavoro e ha un forte peso sul patrimonio economico. Affrontare una situazione del genere richiede un grande investimento personale, una ricerca delle proprie risorse interiori, la capacità di fare scelte attente e di attorniarsi di persone e professionisti in grado di starti vicino senza giudicare né criticare. Alcuni suggerimenti per poter gestire al meglio la convivenza con una malattia cronica sono:

RICONOSCI I MECCANISMI, I TRIGGERS E GLI EFFETTI DELLA MALATTIA.

Più sai come il tuo corpo e la tua malattia funzionano, più sarai capace di curarti e prevedere potenziali crisi. Sicuramente, può essere di grande aiuto tenere un diario su cui annotare quali situazioni aggravano oppure migliorano il tuo stato di salute. Per approfondire la natura della tua condizione può essere utile, oltre ovviamente che parlarne con il tuo medico di riferimento, leggere libri o frequentare associazioni e gruppi di supporto specializzati. Confrontarsi con persone che stanno vivendo la tua stessa situazione può aiutarti anche a dare cittadinanza a certe emozioni, che seppur negative sono del tutto fisiologiche.

TIENI D’OCCHIO IL FLUSSO DEI TUOI PENSIERI.

Una malattia cronica smuove tante cose interne, fa riflettere sul significato dell’esistenza e sulla natura dei rapporti che hai con gli altri. Genera dubbi e preoccupazioni che a loro volta impattano negativamente sullo stato emozionale. E’ piuttosto comune che persone affette da patologie croniche sviluppino forme di depressione o ansia che altro non fanno che amplificare i malesseri e peggiorare i rapporti con le persone che ti stanno vicino. Parlare con un psicologo o con un cousellor può aiutarti a fare chiarezza e a trovare strategie di coping utili per gestire lo stress.

SEGUI UN STILE DI VITA SANO.

La tentazione è lasciarsi andare, anche perché spesso, nonostante tutti gli sforzi, non si notano grandi miglioramenti. Eppure mantenere uno stile di vita sano, cioè: buona alimentazione e idratazione, regolare attività fisica e sufficiente riposo è importante per tenere a bada il livello di infiammazione.

TU NON SEI LA TUA MALATTIA.

Cerca di separare il tuo dolore da te stesso. Puoi essere consapevole dei tuoi sintomi e dei tuoi mali senza che questi diventino parte di te. Anche noi operatori sanitari dovremmo evitare di cadere nella trappola del “patologizzare” ogni cosa, anche comportamenti e sensazioni fisiche che sono del tutto normali e questa è una distinzione necessaria da fare per non sminuire mai il valore di una persona.

STAI ATTENTO A NON CADERE NELLE DIPENDENZE.

Quando si è costretti a convivere con una patologia cronica, l’eventualità di cadere nel tunnel delle dipendenze (alcol, fumo, abuso di sostanze, cibo…) è alto. E’ importante anzitutto essere consapevoli del rischio e poi di evitare l’isolamento. Quando si sta male si tende a declinare inviti, a stare da soli, spesso perché ci si sente un peso. Ma l’isolamento non è una soluzione, anzi è un fattore aggravante. Se i tuoi amici ti fanno sentire non accettato per via della tua malattia, non sono veri amici. 

NON COLPEVOLIZZARTI.

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